Dio e terra: una strana coppia
“Una vecchia barzelletta racconta di due pianeti che si incontrano nell’universo. Il primo chiede: Come stai?. L’altro risponde: Abbastanza male. Sono ammalato. Ho l’‘home sapiens’. Mi spiace. È una brutta cosa. Anch’io l’ho avuto. Però consolati, passa!”(1)
Sono in genere le grandi tragedie a far riemergere la domanda sulle verità ultime, il senso della vita, il destino dell’uomo, la sofferenza e Dio. Più facilmente Dio è all’inizio o alla fine, al momento della “creazione” o alla “fine del mondo”. Non è sempre stato così. La separazione tra il mondo e Dio è una caratteristica dell’età moderna e coincide con l’antropocentrismo, o meglio la superiorità dell’uomo rispetto alla terra. Vedremo che la posizione di Dio è simmetrica a quella dell’uomo, dove si pone l’uomo rispetto alla Terra, in posizione speculare si trova anche Dio.
La lettura antropocentrica della Bibbia
Ogni epoca legge la Bibbia in modo diverso, direi che ogni uomo, ogni gruppo sociale, ogni cultura leggono la Bibbia con la propria lente di ingrandimento. Alcuni testi dei racconti della Creazione, antichi 2500 anni, sono stati valorizzati nell’età moderna. “Riempite la terra e soggiogatela, dominate sugli uccelli del cielo e su ogni creatura vivente che striscia sulla terra”(Gen. 1,28). Nel secondo racconto l’uomo deve “coltivare e custodire”. “Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Salmo 8). Potenziando queste parti della Bibbia nel Rinascimento l’ “uomo sta al centro del mondo”. Pico della Mirandola (1496) cita il dotto islamico Abdallah “Nulla esiste al mondo che sia più splendido dell’uomo”. Per Bacone “sapere è potere”. A causa del peccato originale egli perse questo potere a cui Dio lo aveva destinato. Attraverso la scienza della natura e la tecnica egli ottiene la restituzione e il reinvestimento della sovranità e del potere che aveva nella condizione in cui fu creato”. Per Cartesio (1692) attraverso la scienza e la tecnica gli uomini devono diventare “signori e possessori della natura”. Egli distingue il mondo nella res cogitans dello spirito umano e nella res extensa della natura e pone le basi della moderna scienza naturale, cioè la riduzione della scienza a matematica, per cui il corpo umano è la “localizzazione” misurabile dell’anima. Non vi è alcun dubbio che questa visione abbia permesso una conoscenza della natura senza precedenti nella storia dell’uomo ed una serie di scoperte scientifiche grazie allo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate.
Prima dell’età moderna i racconti della Creazione erano oggetto di una lettura differente: “l’essere umano è l’ultima creatura di Dio e quindi è la più dipendente da tutta la creazione. Per la sua vita sulla Terra l’essere umano dipende dall’esistenza degli animali e delle piante, dell’aria e dell’acqua, della luce e dell’alternarsi del giorno e della notte, dal sole, dalla luna e dalle stelle, e senza di loro non può vivere.... Prima che essere imago Dei, l’essere umano è imago mundi, un microcosmo in cui sono integrate tutte le forme precedenti di vita”.
Secondo le tradizioni bibliche, Dio non ha infuso il proprio spirito divino soltanto nell’uomo ma in tutte le creature: Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono/ e ritornano nella polvere. / Mandi il tuo spirito, sono creati, / e rinnovi la faccia della terra (salmo 104). Lo spirito di Dio abita nell’uomo e in tutte le creature, per questo spirito comune l’uomo è immagini di Dio.
Mentre nella “lettura antropocentrica” della Bibbia poichè è Dio signore dell’universo, l’uomo, in quanto sua immagine, deve diventare il signore della Terra. Di tutte le analogie questa conserva solo l’onnipotenza. Nella “lettura ecologica” all’uomo compete una “umiltà cosmica” ed una considerazione attenta di tutto ciò che fa la natura, non quindi una arroganza del potere sulla natura e una libertà di fare di essa ciò che vuole. “Quando saremo consapevoli della nostra dipendenza dalla vita della Terra e all’esistenza degli altri esseri viventi diverremo da ‘divinità superbe e infelici’ (Lutero) esseri umani veramente umani. Il vero sapere non è il potere, ma la sapienza”.
“Per contrastare il cinismo dell’annientamento della vita, oggi diffuso nel nostro mondo, dobbiamo superare la crescente indifferenza e freddezza del cuore. La nuova mistica della vita dissolve questa paralisi interiore, le aridità dei sentimenti nei confronti della sofferenza altrui e l’abitudine a trascurare la sofferenza della natura. Chi incomincia ad amare la vita, la vita che condividiamo, questi si opporrà alla uccisione degli esseri umani ed allo sfruttamento della Terra, e lotterà per un futuro comune”. Pascal diceva che c’è uno “spirito geometrico” e uno “spirito del cuore”.
Per lungo tempo ha dominato in Occidente una spiritualità dell’anima e dell’uomo interiore.
“Chiudi le porte dei tuoi sensi/ e cerca Dio dentro, in profondità” scriveva il poeta mistico protestante Gerhard Tersteegen
“Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo. Mi immagino che certe persone preghino con gli occhi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sè. Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo tra le mani, credo che cerchino Dio dentro di sè” scriveva Etty Hillesum.
“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perchè tu eri dentro di me ed io fuori” scriveva Agostino.
La proprietà della Terra
Una lettura della Bibbia che anticipa il concetto di “bene comune” viene svolta da Giovanni Franzoni nella lettera pastorale “La Terra è di Dio”. Il titolo anticipa il contenuto che viene fondato sulla Bibbia e sulla tradizione. Le numerose citazioni dell’Antico testamento richiamano il concetto della Terra come esclusiva proprietà di Dio. “Ma Dio che crea dona e la terra la dona con liberalità all’uomo: ‘I cieli appartengono a Dio, ma la terra l’ha data ai figli dell’uomo’ (Salmo 115)”.
“Più che proprietà si deve parlare di ‘eredità’ di cui l’uomo è costituito depositario . Resta quindi originale la relazione intima che passa tra Dio e la terra e che è fondata sulla creazione e sulla costante divina presenza, per cui non sarebbe tollerabile qualcosa di contrario a Dio, senza essere responsabili di profanazione e dissacrazione”. Questo possesso di Dio impone all’uomo un comportamento che tenga conto di questa irrisolta relazione della terra con il creatore. Io vi ho condotto in una terra da giardino/ perchè ne mangiaste i frutti e i prodotti./ Ma voi, appena entrati, avete contaminato la terra/ e avete reso un abominio la mia eredità (Ger. 2,7)”.
La contaminazione avviene attraverso l’accaparramento della terra da parte di pochi prepotenti a danno degli altri pure figli di Dio. Significativo a riguardo l’istituzione dell’anno sabbatico (Es 21, 2 ss; 23, 10 ss; Lev 25, 1-7) “Come l’uomo anche la terra ha un culto da rendere a Dio: il suo riposo riproduce quello che fu il riposo di Dio all’inizio della creazione e che ora viene ripetuto dall’uomo”.
L’anno sabbatico consisteva nel dare ogni sette anni un riposo alla terra, tutti i debiti contratti verso un amico o in genere quello che si chiamava il ‘prossimo’ venivano condonati. Tutti coloro che per debiti fossero caduti in condizioni di schiavitù dovevano essere affrancati. Così si adempiva la volontà del Signore : ‘Non ci sarà tra voi alcun indigente o mendico (Deut. 15, 2-4)”. È difficile dire se l’anno sabbatico sia stato applicato. Vi sono richiami (1Mac 6,49-53) che ne ricordano l’applicazione pratica mentre il Levitico (26,34ss, 43) ne lamenta l’inapplicazione almeno per il periodo precedente l’esilio.
L’anno del ‘Giubileo’ che ricorreva ogni cinquant’anni consisteva nella redistribuzione delle terre che per qualche motivo avevano cambiato di proprietario. “Nell’anno del Giubileo ciascuno tornerà nei suoi possessi (Lev 25,13)”. Ritenere in proprio le terre dell’altro e disporre a piacere è dissacrare la terra, profanarla, sottrarla al dominio di Dio, porsi quindi in condizione non solo di immoralità sociale ma religiosa, cioè praticamente negare Dio nelle sue concrete manifestazioni. L’ineguaglianza sociale infrange la solidarietà sacra che contraddistingue il popolo in quanto tale e riguarda ogni individuo in esso”.
“Guai a coloro che.../agognano ai campi e se li rubano,/ alle case e se le prendono;/ e fanno i tracotanti col padrone e la sua casa, /con l’individuo e la sua proprietà” (Mi. 2,1ss). La proprietà di Dio della terra ha una finalità ben precisa “Presso di te non ci sarà alcun povero; poichè Iddio certo ti benedirà nella terra che Jahve tuo Dio sta per darti in eredità” (Deut 15,4).
Con la stessa finalità e consapevolezza si struttura la prima comunità cristiana descritta in Atti degli apostoli in più punti: “costoro avevano tutto in comune; vendevano i loro possedimenti ed i loro averi e li dividevano con tutti a seconda delle loro necessità” (2,44,ss); “avevano un cuore solo ed un’anima sola, nè alcuno considerava proprietà sua ciò che aveva, ma tutto era loro comune” (4,32). “Chiunque infatti possedeva o terreni o case li vendeva e ne portava il ricavato agli apostoli, si distribuiva a ciascuno secondo il suo bisogno (4,34 ss). Per questo “non c’era alcun indigente tra loro” (4,34).
La lettera di Franzoni dopo una ricca ricognizione del Nuovo testamento, illustra tale visione della proprietà della Terra nella tradizione patristica. “Occupano per i primi i beni comuni e , per averli occupati per primi, li fanno propri. Ma se ciascuno prendesse solo ciò che è richiesto per suo uso e lasciasse il resto (ciò che è superfluo) a chi è nel bisogno, nessuno sarebbe ricco, nessuno povero”.
Trent’anni dopo Franzoni “ri-tratta”, come egli stesso scrive la sua Lettera pastorale introducendo nuovi elementi come quello per cui non solo la terra, ma anche i cieli, gli oceani e l’acqua sono di Dio. E premette alcune utili precisazioni sulla religione e sulla scienza. Intanto chiarisce che la sua riflessione da La Terra è di Dio fino a Anche il Cielo è di Dio ha come comune denominatore la destinazione universale dei beni del creato e intendeva “affermare il diritto dei poveri ad un condizione di vita libera e degna attingendo le proprie risorse dai beni del creato” ed “evidenziare la responsabilità dell’umanità intera, e dei cristiani in particolare, di fronte al problema della fame, del sottosviluppo e della deprivazione di valori culturali che colpiva molte popolazioni della terrà”. “Questo indipendentemente dal ricorso a metafore religiose o a testi biblici. Intendo dire che il ricorso al linguaggio religioso.....non vuole essere una affermazione di esclusiva nell’interpretazione dell’universo; i credenti che ricorrono al simbolismo religioso non sanno nulla più degli atei o degli agnostici in fatto di verità e di giustizia...Non è quindi una verità storica o scientifica che posso trarre dai testi religiosi, ma solo indicazioni di vita. Cerco nei libri del popolo ebraico, negli scritti della tradizione apostolica “cristiana” e nel Corano – senza trascurare , nei limiti del possibile, altre aree religiose o anche soltanto etiche come quella buddista – ove vi sono narrazioni di eventi di salvezza, frammenti di esperienza nel divino, testimonianze di purezza di spirito o comunque di attraversamento sapienziale dei percorsi scientifici e razionali”.
“Il fatto che le fonti del mio pensiero sulla destinazione universale dei beni siano religiose nulla toglie al rispetto dovuto al pensiero laico che ha cercato di fondare, con gli strumenti del pensiero filosofico prima e quindi con quelli del diritto internazionale, la stessa dottrina dei beni comuni – Global Public goods (UNDP, Oxford University Press 1999) definendo le risorse del pianeta, dello spazio esterno e dell’universo come res communis omnium (cosa comune di tutti) e non come res nullius (cosa di nessuno). La differenza è sostanziale perchè governare, utilizzare e salvaguardare una realtà di comune pertinenza suppone convenzioni internazionali, ratificate da tutti gli stati, pena una sanzione risarcitoria. Se invece i beni non ancora in regime di proprietà privata o di sovranità nazionale fossero cosa di nessuno, potrebbe farsi valere il principio, che in effetti a tutt’oggi copre la pirateria nell’universo, res nullius est primi occupantis; la cosa di nessuno è del primo che la occupa di fatto. In questo caso è evidente che i soggetti, Stati nazionali o grandi società multinazionali, che hanno le tecnologie ed i capitali per farlo, possono occupare, usare o anche danneggiare ciò che è diventato loro per occupazione.” (6)
Franzoni fa poi come esempio di rivendicazione laica sul diritto a un bene comune la battaglia del Gruppo di Lisbona, autorevolmente rappresentato da Riccardo Petrella per un’equa e giusta utilizzazione dell’acqua. Per questo si chiede un Patto sull’acqua accettato dai governi e ratificato dai parlamenti e un Tribunale dell’acqua che possa avere poteri reali. “Citando il secondo Forum mondiale dell’Aia (17-22 marzo 2001), Petrella afferma la necessità di distinguere, per quanto riguarda la risorsa ‘acqua’, la nozione di bisogno da quella di diritto. ‘Tra queste due concezioni, bisogno e diritto – dice Petrella – esiste una differenza fondamentale: il concetto di diritto implica che la collettività riconosca che è sua responsabilità creare le condizioni – finanziarie, politiche, sociali ecc. – affinchè l’accesso all’acqua possa essere esercitato...Quando invece parliamo di bisogno necessariamente passiamo a una concezione che implica l
Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985
Agostino, Confessioni, Città Nuova 1965
Giovanni Franzoni, Lettera Pastorale “La Terra è di Dio” (9 giugno 1973), in G. Franzoni, La Terra è di Dio. Testo, commenti, ritrattazioni, edizioni Con Nuovi tempi, Roma 2003.
Basilio, Homilia VI in Illud Lacae.
Eric Metaxas, Bonhoeffer. La vita del teologo che sfidò Hitler. Fazi Editore, Roma 2012
Nicola Riccardi, L’uomo custode del giardino: i beni che Dio ci ha donati, in Alday Josu M, ed. I beni dei consacrati a servizio della missione, Ancona , Milano, 2010, 93-112
Tim Gorringe, Le chiese e i cambiamenti climatici. Il Regno – Documenti 13/2012, 441-448
Ernesto Balducci, Francesco d’Assisi, Giunti Firenze-Milano 2004
Abraham Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri, Torino 1995
John C Eccles, Il Mistero Uomo, Il Saggiatore. Milano, 1979
Contro il “Dio dei buchi”
Nella tradizione protestante del novecento un autorevole rappresentante come Dietrich Bonhoeffer si rendeva conto che la religione standard aveva reso Dio piccolo, gli aveva riconosciuto il controllo solo sulle cose che noi non potevamo spiegare. Che quel Dio della ‘religione’ era solo il ‘Dio dei buchi’, il Dio che si occupava dei nostri ‘peccati segreti’ e dei nostri pensieri nascosti. Ma Bonhoeffer rifiutava un Dio ridotto. Il Dio della Bibbia era Signore su tutte le cose, su ogni scoperta scientifica. Era Signore non soltanto su ciò che non sapevamo, ma su ciò che sapevamo e scoprivamo attraverso la scienza. Si chiedeva se non fosse tempo di portare Dio in tutto il mondo, e smettere di fingere che egli volesse vivere solo in quegli angoli di religiosità che gli erano stati riservati: ‘mi sembra sempre come se volessimo soltanto timorosamente salvare un po’ di spazio per Dio; - io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma nella forza, dunque non in relazione alla morte ed alla colpa, ma nella vita e nel bene dell’uomo. [...] La Chiesa non sta lì dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio’. La teologia di Bonhoeffer aveva sempre mostrato una propensione a sottolineare la realtà dell’incarnazione; non rifuggiva dal mondo, ma vedeva in esso la felice creazione di Dio che doveva essere goduta e festeggiata, non solo trascesa. Secondo questa visione, Dio aveva redento il genere umano attraverso Gesù Cristo, ci aveva ri-creato ‘buoni’. Dunque non dovevamo liquidare la nostra umanità come qualcosa di non spirituale. Come aveva già detto, Dio voleva che il nostro ‘sì’ a lui fosse un ‘sì’ al mondo da lui creato”(7)
L’uso della terra contro la povertà
La riflessione francescana sul tema ha collegato strettamente il ruolo dell’uomo nel giardino con la povertà e la disoccupazione. Nicola Riccardi (8) parte dall’immagine biblica dell’uomo custode del giardino come primo legame col mondo dopo la sua creazione. “La custodia del mondo affidata all’uomo implica un governo responsabile dello stesso. Egli è chiamato a condivider con l’intera famiglia umana ‘quella casa comune che è la terra, prefigurata dall’immagine del giardino. Solo nella condivisione l’uomo travalica la propria solitudine e superando l’egoismo, nell’accoglienza dell’altro, sperimenta un’ulteriore verità su di sè: ‘non è bene che l’uomo sia solo’ [...] Nell’incontro con l’ ‘altro’ ciascuno è chiamato a limitare il proprio desiderio di espansione che, se privo di controllo, può raggiungere atteggiamenti di disprezzo, di rifiuto nei confronti della persona altrui. E’ sempre attuale, come degrado dei rapporti interpersonali, la parabola del ricco epulone cieco al bisogno di Lazzaro, suo prossimo”
La sensibilità della Chiesa Francese
La Chiesa Cattolica francese recentemente ha istituito un gruppo di lavoro su “Ecologia e Ambiente” che ha pubblicato un interessante documento definito dallo stesso gruppo “preliminare”, cioè aperto a contributi ulteriori soprattutto dei laici. (9) “Il modello di crescita consumistica dei paesi sviluppati e da alcuni anni anche dei paesi emergenti, non è ‘duraturo’. Esso porta all’esaurimento delle risorse naturali, ai cambiamenti climatici, alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi. Inoltre facendo aumentare il prezzo dell’energia e delle materie prime, rende sempre più difficile uscire dalla povertà, specialmente a tanti paesi africani. Il problema è grave e causa grandi incertezze e profondi squilibri per il futuro delle nostre società”
“L’uomo è al centro della natura. Noi cristiani amiamo affermare che è protagonista nel progetto creatore di Dio. In altri termini, non deve accontentarsi di subire il degrado dell’ambiente nel quale vive. Con le sue scelte di vita, con il suo rapporto con gli uomini e le cose e con la visione del futuro che immagina egli è l’artefice di ciò che questo diviene. Lo è anche per la sua volontà di sovrintendere al modo in cui utilizza i beni di cui dispone, e per la sua attenzione a non accaparrare per sè questi beni, ma a condividerli con i suoi fratelli, gli esseri umani di oggi e quelli delle generazioni future”
“Se comprendiamo il mondo e la nostra umanità come il frutto di un dono creatore continuo, capiamo che la creazione non ci appartiene ma che essa ci dà da vivere”.
“Nel primo racconto biblico della creazione la presentazione dello shabbat mette in luce un atto creatore che non si riduce al ‘fare’. Lo stabilire un ritmo che marca il tempo è offerto come una via di liberazione:la felicità non si riduce al possesso dei beni, ma suppone anche una presa di distanza dalle cose che permette di meglio valutare ciò che vale veramente”
“La tradizione cristiana riconosce il posto specifico ed eminente che l’uomo occupa nella creazione. Dare la priorità all’uomo non significa disprezzare la natura, ma piuttosto trovare un buon equilibrio contrassegnato dalla reciprocità. Ossia costruire una relazione ove ciascuno (la natura e l’uomo) dà e riceve dall’altro. E’ a questo che ci invita il libro della Genesi, in cui si narra che l’uomo è posto nel giardino per custodirlo e farlo fruttificare”
“Le vittime principali della crisi ecologica rischiano d’essere ancora una volta le popolazioni più fragili, oltre alle generazioni future che non hanno la possibilità, oggi, di difendere il proprio diritto alla vita. Queste nuove fragilità chiamano a creare nuove forme di solidarietà”.
I protestanti
Tim Gorringe, teologo anglicano docente alla Università di Exeter, nella conferenza annuale della organizzazione Operation Noah nel 2011 ha sostenuto che i cambiamenti climatici costringono la chiesa a una presa di posizione comune e senza cedimenti, perchè – analogamente a quanto avvenuto nel secolo scorso rispetto al nazismo o all’apartheid – costituiscono un’emergenza che raggiunge il cuore stesso della fede cristiana e ciò per almeno tre ragioni: perchè essi escludono dal benessere una parte dell’umanità; perchè derivano da un uso antiumano delle risorse della terra e perchè presuppongono una fedeltà idolatra alle pretese dell’economia globale.
Il francescanesimo
Ernesto Balducci interpreta in chiave attuale il pensiero e la prassi di Francesco di Assisi il quale comprende la soggettività di tutto ciò che esiste. “L’umanesimo del dominio, quello che amava porre gli esseri dell’universo in un rapporto di dipendenza gerarchica, in forza del quale il superiore aveva per natura il diritto di usare ed abusare dell’inferiore, viene meno anche perchè la consapevolezza scientifica ci ha rivelato il nesso tra tempo ed energia: la storia durerà finchè dureranno le risorse energetiche, che, una volta usate, non si rinnovano per intero, decadono in parte nell’inerzia (entropia) cioè nella morte. Siamo dentro una parabola di rapida curva discendente. Se è morto il dio dei metafisici è morto anche il “dio della storia”. Il futuro è affidato all’uomo e l’uomo della civiltà dei consumi, già perchè consuma, lo abbrevia, nega di fatto l’esistenza delle generazioni future. È la bancarotta degli umanesimi ed è il segnale della necessità di una svolta che potremmo definire, utilizzando una endiadi di moda, come il trapasso dalla civiltà dell’avere alla civiltà dell’essere, dalla civiltà la cui legge evolutiva è la competizione, alla civiltà la cui legge, imposta non più soltanto dalla coscienza, ma anche dalla scienza, è l’amore per tutte le creature viventi e perfino per quelle che verranno. Su questo spartiacque entropico, l’amore diventa un postulato scientifico!” L’universo sottratto per un momento al “procedimento astrattivo che mi conduce al concetto di una cosa, me ne dà il possesso mentale” ha un’altra faccia, quella di “una infinità di ‘soggetti? che mediante il gioco degli scambi trovano nella coscienza umana la loro autocomprensione risolutiva”.
“Le cose hanno dei loro ‘segreti’, gli animali hanno una loro ‘lingua’, l’uomo ha un intelletto (e un linguaggio corrispondente, logos) che per lo più non percepisce quei segreti e quella lingua solo perchè l’intenzione intima che lo percorre è quella del dominio”.
“È scomparsa dall’universo la gratuità, il moto ineffabile della contingenza che rimanda ad una specie di libertà creativa, anteriore al mondo e all’uomo, dentro la quale l’uomo si muove, effimero tra cose effimere. Effimero e tuttavia segnato dalla regale missione di custodire, usandone con rispetto di sè e di tutti i suoi fratelli, l’inesauribile efflorescenza di un dono, che tale resta anche quando la nostra ragione, chiusa nel perimetro di una esperienza limitata, non ne percepisce l’utilità, anzi anche quando quel dono ha l’aspetto dell’evento doloroso come la ‘morte corporale’”.
“Dio è la verità, così diceva Gandhi, ed è una verità da intendere non come oggetto della mente, ma come orizzonte della coscienza. Una volta che la coscienza abbia fatto riaffiorare in sè la verità ‘antica come le montagne’, e cioè che la vera natura dell’uomo è di non commettere violenza contro nessuna creatura, allora la coscienza si trova faccia a faccia con l’Amore non violento per eccellenza che è Dio, la cui onnipotenza è una onnipotenza sui generis, non assomiglia cioè a quella di un uomo potente, ma a quella dell’amore inerme. Chi cerca Dio come se fosse un oggetto possibile della mente, non lo trova, perchè già si trova in atteggiamento di dominio (l’uomo soggetto dinanzi a Dio suo oggetto) e, se lo trova, non si tratta di un Dio, ma di una finzione della mente che ha lo scopo di legittimare tutte le pretese di dominio dell’uomo”.
“Il cosmo di Francesco è lo stesso cosmo della scienza e della filosofia ma svelato nella sua dimensione ultima, di cui scienza e filosofia non hanno titoli per occuparsi. Il cosmo è un’isola e Dio è l’oceano che la circonda: la scienza e la filosofia esplorano l’isola e i suoi confini, Francesco contempla l’oceano e, dentro l’oceano, la vita dell’isola che senza oceano non ci sarebbe. L’immagine mi viene da Wittgenstein che scrisse anche: ‘Il senso del mondo deve trovarsi fuori di esso. Non come il mondo sia è ciò che è mistico, ma che esso sia’. Mistico: cioè non riducibile a nessuna ragione dimostrativa, ma tale che lo si intuisce o no”.
Gli scienziati contemporanei
Einstein in una intervista a Berlino nel 1930 dichiarò “Le idee più belle della scienza nascono da un profondo sentimento religioso, in assenza del quale resterebbero infruttuose. Io credo inoltre che questo tipo di religiosità che attualmente si avverte nella ricerca sia l’unica esperienza religiosa creativa della nostra epoca”.
Parlando del suo sentimento religioso che chiama “religiosità cosmica” si espresse così: “Le grandi figure religiose di ogni epoca si sono distinte per questo particolare sentire, cui sono estranei la visione dogmatica e la concezione di Dio a immagine dell’uomo, e sul quale di conseguenza le varie chiese non possono fondare la loro dottrina [...] Ma in che modo questa religiosità cosmica può comunicarsi dagli uni agli altri, se non dà luogo a una precisa concezione di Dio e ad una teologia? Io credo che la più importante funzione dell’arte e della scienza sia appunto di risvegliarla e di tenerla in vita, in coloro che di essa siano recettive. Per questa via si giunge a una visione dei rapporti tra scienza e religione molto diversa da quella usuale. Se ne ripercorriamo la storia, saremmo tentati di considerarle inconciliabili e per un motivo molto semplice. Chi è fermamente convito che la causalità sia un principio assoluto e continuamente operante non può, neppure per un momento, pensare a un essere che interferisca nel corso degli eventi [...] Un tale individuo non sa che farsene della religione della paura e neppure di una morale religiosa o di una religione sociale [...]È pertanto facile capire come mai la Chiesa abbia sempre osteggiato la scienza e perseguitato gli scienziati. Ribadisco tuttavia che è una religiosità cosmica il motivo più nobile della ricerca scientifica [...] Qualcuno ha detto, non del tutto a torto, che in questa età materialistica coloro che fanno seriamente della scienza sono le uniche persone profondamente religiose”.
Nel 1939 a Princeton in un seminario teologico chiarì la sua idea di una mancanza di conflitto tra scienza e religione: “Durante l’ultimo secolo e parte del precedente fu convinzione generale che esiste un contrasto insanabile tra la conoscenza e la fede. Nelle menti più evolute prevalse l’opinione che la fede dovesse cedere in misura sempre maggiore alla conoscenza: una fede che non riposava naturalmente su essa era superstizione e in quanto tale doveva essere combattuta [...] Il punto debole di una tale concezione tuttavia è che le convinzioni necessarie e determinanti per il nostro comportamento e il nostro giudizio non si possono trovare semplicemente seguendo le collaudate vie della scienza. Il metodo scientifico infatti non ci può insegnare nulla oltre al modo in cui i fatti sono collegati e si condizionano tra loro. L’aspirazione a una tale conoscenza oggettiva è tra le più elevate di cui l’uomo sia capace e certo non mi sospetterete di voler sminuire le conquiste e gli sforzi eroici dell’uomo in questo campo. Eppure è ugualmente chiaro che la conoscenza di ciò che è non apre direttamente la porta alla conoscenza di ciò che dovrebbe essere. Si può avere la conoscenza più chiara e più completa di ciò che è, e tuttavia non riuscire a dedurre da questa quale dovrebbe essere la meta delle nostre umane aspirazioni”.
Quindi a New York nel 1940 in una conferenza su scienza filosofia e religione presso il Jewish Theological Seminary chiarisce ancora meglio il suo pensiero.
“Anziché porre la domanda di che cosa sia la religione, preferisco chiedermi che cosa contraddistingue una persona autenticamente religiosa: questi è colui che , al meglio delle sue capacità, si è affrancato dai gravami dei desideri egoistici per dedicarsi a quei pensieri, sentimenti e aspirazioni che abbiano un significato puramente superindividuale. Ciò che conta a mio avviso è l’intensità di questo contenuto nonchè l’essere profondamente convinti della sua importanza primaria, a prescindere dai tentativi fatti di riferirli a un Essere divino: altrimenti Budda e Spinosa non si potrebbero considerare essere religiosi. Una persona religiosa è devota nel senso che non ha dubbi circa il significato e la grandezza di quegli oggetti e fini che trascendono la singola persona e non necessitano, nè sono suscettibili, di un fondamento razionale [...] E la scienza può essere creata solo da coloro che sono integralmente convinti delle aspirazioni verso la verità e verso la comprensione. Ma questa sorgente di sentimento nasce dalla sfera della religione, alla quale appartiene anche la fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell’esistenza siano razionali, comprensibili, cioè, con la ragione. Non riesco a concepire un vero scienziato senza una fede profonda”.
Un altro grande scienziato della mente umana, John C. Eccles esprime così la relazione tra fede e scienza a proposito dell’evoluzione: “Quando ripercorro con l’immaginazione quel processo evolutivo immensamente lungo che fu governato, come ci informano dogmanticamente, soltanto dal caso e dalla necessità, mi trovo a mettere in questione un dogma asserito con tanta fiducia. Come scienziato riconosco la necessità della critica alle teorie scientifiche, specialmente quando è in gioco la pretesa della certezza scientifica. In queste conferenze, per quanto è possibile, ho seguito la storia materialista della nostra origine anzi della mia origine. Ma sorgono in me gravi dubbi. Come atto di fede, scientifica, quella storia ci chiede molto. Il grande romanziere francese Francois Muriac ha detto con spirito che essa richiede un atto di fede maggiore che per ‘ciò in cui noi, poveri Cristiani, crediamo’. Come ho detto all’inizio, nel contesto della teologia naturale, io credo in una divina provvidenza che opera su e al di sopra degli accadimenti materialisti dell’evoluzione biologica. Questa credenza mi vale il marchio di finalista. Non dobbiamo asserire dogmaticamente che l’evoluzione biologica nella sua forma attuale è la verità ultima. Dobbiamo piuttosto credere che essa è la vicenda principale e che in qualche modo misterioso esiste una guida nella catena contingente che ha portato fino a noi. [...] Siamo entrati nella nuova era della creatività umana che ha dato il mondo della cultura. Questo passo avanti era assolutamente imprevedibile. Era completamente distinto dall’evoluzione biologica sebbene legato ad essa da interazione reciproca. Inoltre l’evoluzione biologica aveva una logica evolutiva di funzionamento del tutto propria”.
Conclusioni
La riflessione “ecologica” nella teologia che qui viene richiamata in modo assolutamente divulgativo e largamente insufficiente, è nata nel secolo scorso nel mondo protestante e solo recentemente ha coinvolto l’episcopato cattolico d’oltralpe. In Italia ritroviamo in Balducci e in Franzoni una precoce riflessione tanto profonda quanto purtroppo minoritaria.
La visione “antropocentrica” dell’era moderna appare insufficiente a spiegare i randi tempi dell’abuso della Terra e dei conseguenti cambiamenti climatici seguiti alla rivoluzione industriale.
I credenti non hanno alcun vantaggio conoscitivo rispetto a questa questione che dovrebbe diventare una palestra di confronto e di scambio tra confessioni e visioni culturali e anche un terreno di possibile e necessario punto di incontro.