Violenza contro le donne e femminicidio: una piaga sociale Italiana
Le statistiche ci dicono che, in Italia, “la violenza domestica/maschile è (sarebbe) la prima causa di morte per le donne fra i 16 e i 44 anni” (Rapporto ONU sul Femminicidio, In Palermo in marcia contro il femminicidio, Donne Viola, http://donneviola.wordpress.com/2012/07/22/palermo-in-marcia-contro-il-femminicidio/, nda).
Vale a dire, ogni otto minuti viene uccisa una donna: ne uccide di più l’uomo che non il cancro, gli incidenti stradali, le guerre. Con dati statistici che vanno dal 70 all'87 per cento a seconda della fonte, la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese (Amnesty International, Relazione sull’Italia della Relatrice Speciale dell’ONU sulla violenza di genere, www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5996).
E la situazione sembra peggiorare: secondo i dati di Telefono Rosa e Istat si è
Di fronte a numeri così impietosi verrebbe da pensare a realtà lontane da noi, nel tempo e nello spazio: “Una volta c’era il delitto d’onore”, “son cose che succedono, in India, Africa, nel terzo e quarto mondo!”… Sono dure le parole dell’inviata ONU Rashida Manjoo a proposito della violenza contro le donne in Italia: “La violenza è una forma di comportamento abituale e quella in casa è la forma più ampia che affligge le donne nel Paese e riflette un crescente numero di vittime di femmicidio da parte di partner, mariti, ex fidanzati [...] Purtroppo, la maggioranza delle manifestazioni di violenza non sono denunciate perché vivono in un contesto culturale maschilista dove la violenza in casa non è sempre percepita come un crimine; dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza; e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono appropriate e di protezione”. Un vero e proprio “femminicidio”.
Ma come può essere che succeda tutto ciò nella “civile” Europa, e, in particolare, nella “civile” Italia? Il fenomeno certamente è complesso e non si può banalizzare ricorrendo a facili moralismi e stereotipi. Rientra nella tipologia della violenza in generale e, da che mondo è mondo, la violenza ha sempre accompagnato la vita degli uomini. Ciò non ci può però portare alla conclusione del fatalismo e dell’immobilismo, al contrario ci deve spronare a un’azione sempre più incisiva e possibilmente efficace. Intanto l’azione di contrasto alla violenza sulle donne deve essere percepita e valutata per quello che è: una piaga sociale, un problema, appunto, che riguarda tutta la società, tutti noi e ciascuno di noi. Ben vengano le ricorrenze codificate come quella del 25 novembre, ma il rischio è proprio che di ricorrenza si tratti, che il problema assurga a dibattito generale relegato in quella data (come un pò succede per il giorno della Shoah). Soprattutto noi donne dobbiamo far sì che l’attenzione e l’azione di contrasto si sviluppino durante tutto l’anno. Per fortuna ci sono tanti gruppi e soggetti in generale che lavorano in tal senso.
Alla base c’è sicuramente un mal inteso senso del possesso. Il concetto della “donna oggetto” è diventato ormai proverbiale. Bisogna dunque affrontare il problema centrale: cambiare la mentalità degli uomini (e delle donne). Facile a dirsi.
Per arrivare a qualche risultato bisogna procedere sul doppio binario della repressione e dell’educazione. L’una senza l’altra non sono risolutivi. Il nostro Ministro della Giustizia (donna) ci rassicura che la legislazione in Italia c’è, addrittura è stata recentemente introdotta la querela non più retrattabile. Sarebbe anche senz’altro auspicabile anche una norma per perseguire lo stalking d’ufficio. Ma la cosa più importante e incisiva resta l’applicazione della pena. A detta dello stesso Ministro e secondo l’evidenza quotidiana, per mille motivi, la pena stenta a trovare la piana applicazione. Dunque, non tanto inasprimento delle pene, piuttosto una rigorosa applicazione delle leggi può diventare un buon deterrente.
Certo anche noi donne dobbiamo e possiamo diventare più incisive: vincere secolari paure e vergogne e denunciare, prendere atto che l’amore è bello ma che non sempre è eterno. Subire e tacere nella convinzione che l’amore prevalga non è la scelta giusta. Pinklola Estes nel suo libro Donne che corrono con i Lupi rivisita la storia della Piccola Fiammiferaia e scrive: “La donna congelata, priva di nutrimento, tende a elaborare continui sogni ad occhi aperti, sul “come sarebbe se”: un bel giorno…, se solo avessi…, lui cambierà…, quando sarò davvero pronta…, quando mi sentirò più sicura…, quando troverò un altro. Ma questa fantasia confortevole è una fantasia che uccide. E’ una distrazione seducente e letale dalla realtà.[...] Alle donne nella condizione della piccola fiammiferaia l’iniziazione è andata storta. Le condizioni ostili, che fanno parte dell’iniziazione, non servono per approfondire ma per decimare. Gli archetipi di iniziazione femminile sono: dare la vita, il potere del sangue, così come essere innamorate o ricevere un amore che alimenta e nutre”.
Nel libro Sottomesse: La violenza sulle donne nella coppia, l’autrice Marie-France Hirigoyen disegna un ciclo di violenza in quattro stadi: nel primo, Lui è teso, nervoso, irritabile, dice di avere “problemi quotidiani” e che Lei è la responsabile di tutti i suoi guai. Nello stadio successivo, di attacco, gli insulti e le minaccie fanno da prologo alla violenza fisica. Lei tace per paura di farlo arrabbiare ancora di più, colpevolizzandosi e ripetendo a se stessa che tabto passerà, Lui cambierà. Nel terzo stadio, arriva il pentimento, Lui dice: “ero sotto stress, avevo bevuto, mi hai provocato”. Lei lo perdona, non aspettava altro. La relazione va avanti nella convinzione di Lei che il suo amore vincerà tutto. E’ il momento in cui lo spazio privato ammortizza la violenza, la donna ritira la denuncia senza pensare che purtroppo a breve potrebbe essere uno di quei numeri nelle statistiche delle vittime della violenza contro le donne.
C’è poi un altro aspetto sovente sottovalutato: l’omertà. L’atteggiamento delle tre scimmie che non vedono, non sentono e soprattutto non parlano ha provocato profondi danni e tragedie infinite. L’omertà è connivenza con l’ingiustizia e la violenza. In tal senso il vicino di casa della donna violata è corresponsabile se non altro moralmente.
Da tutto questo deriva una conseguenza ineludibile: sia che si tratti della donna –vittima sia dell’uomo-carnefice si deve agire soprattutto sul binario dell’educazione, della cultura dell’individuo. Oggi si parla di “agenzie educative”: è ad esse che spetta il compito principale di questa azione educativa. Fra esse, la scuola deve avere il coraggio, lo stimolo, la convinzione e l’appoggio per affrontare questa grande sfida.
In tal senso voglio segnalare un progetto che in questo momento è in attuazione in Italia: è la Campagna “INDIFESA” rivolta alle scuole superiori di primo grado curato da “Terres des Hommes” e “Soccorso Rosa”. Tale progetto si prefigge di cogliere gli stereotipi nei pre-adolescenti. Stereotipi che, data la giovane età dei soggetti coinvolti, non sono ancora strutturati: stereotipi che giustificano la violenza e che vanno dunque contrastati mediante l’ insegnamento del rispetto reciproco e della possibilità e necessità di risolvere i conflitti in modo non violento.
Solo così il femminicidio potrà diventare un fatto del tutto marginale.