Lo strumento militare
Sono molti anni ormai che nel nostro Paese un dibattito serio e approfondito sul modello di difesa non si svolge nel luogo idoneo a ospitarlo, ovvero il Parlamento: risale addirittura all’anno 1991, infatti, dopo la prima Guerra del Golfo, la presentazione da parte del ministero della Difesa di un volume dalla copertina azzurra intitolato “Modello di difesa. Lineamenti di sviluppo delle Forze Armate negli anni Novanta”. Fortemente influenzato dal concetto strategico dell’Alleanza Atlantica, quel modello, proposto dai vertici militari, richiedeva numerose e complesse riforme, con costi difficilmente sostenibili per essere concretizzato.
Difesa
Per la prima volta si esplicitava la possibilità dell’impiego delle nostre FF.AA in qualsiasi parte del mondo venissero messi in pericolo i nostri interessi economici: per tale strategia si chiedeva il varo di un sistema di reclutamento misto tra leva e volontari e numerosi sistemi d’arma per armare i “professionisti” così da permettere il loro utilizzo al di fuori dei confini nazionali. Viste le difficoltà, il progetto non venne discusso e fu accantonato ma le riforme che esso prevedeva vennero ugualmente approvate: nel 1977 la legge di riforma dei vertici militari, nel 1999 l’ingresso delle donne nelle FF.AA, nel 2000 la trasformazione dell’Arma dei Carabinieri in quarta Forza Armata e la progressiva professionalizzazione delle Forze Armate con l’obiettivo ambizioso di schierare 190.000 militari a regime nell’anno 2021.
Tale modo di procedere ha tuttavia creato uno strumento militare inefficiente e costoso, dal momento che oggi abbiamo raggiunto un organico di circa 177.000 militari, oltre 94.000 dei quali sono graduati e poco più di 80.000 di truppa, un esercito nel quale i comandanti sono più dei comandati. Con tutti questi uomini e donne con le stellette abbiamo, però, serie difficoltà a inviare nelle missioni all’estero più personale degli attuali 6.500 soldati schierati nello scacchiere internazionale, un personale al quale si fornisce con molta difficoltà una formazione adeguata e molti mezzi militari sono fermi per mancanza di carburante o pezzi di ricambio, nonostante la spesa complessiva abbia superato, per l’anno corrente, la consistente cifra di 24 miliardi di euro.
La riforma
Per mettere mano a questa situazione ovviamente non si è seguito l’iter che sarebbe stato logico, ovvero discutere prima quale fosse il tipo di modello di difesa necessario per il nostro Paese e solo dopo decidere lo strumento adatto per realizzarlo, ma si è scelto di dare una delega al Governo per la ristrutturazione delle FF.AA., delega oggi affidata al nuovo ministro della Difesa Mario Mauro.
Con una velocità insolita per il Parlamento per temi così importanti, a pochi giorni dallo scioglimento delle Camere (11.12.2012), la Camera dei Deputati ha approvato la legge delega del Ministro–Ammiraglio Di Paola per ristrutturare le Forze Armate, con un passaggio veloce, senza modifiche, per trasformarla subito in legge, visto che il Senato l’aveva già discussa, apportando alcune modifiche, la più sostanziale delle quali era stata il rafforzamento del controllo parlamentare sui programmi di ammodernamento e rinnovamento della Difesa.
Obiettivo principale della legge delega è riportare in equilibrio le spese della Funzione Difesa destinando il 50% dei fondi al personale e ripartendo il restante 50% tra esercizio e investimento, mantenendo il bilancio allo stesso livello e trasferendo i fondi risparmiati dai tagli al personale e alle strutture all’acquisto di nuovi sistemi d’arma, senza portare un euro nelle disastrose casse dello Stato, salvo i pochi risparmi provenienti dalla Spending Review.
Per ora non esistono garanzie che tale riforma mantenga i costi al loro stato attuale: partendo proprio dai tagli del personale, ad esempio, la legge delega prevede una riduzione del personale militare da 180.000 a 150.000 unità e del personale civile da 30.000 a 20.000 entro il 2024. Secondo il Governo questo comporterà a regime un risparmio sui costi del personale di 2,2 miliardi di euro, da spostare nell’operatività e nell’investimento. Gli strumenti individuati per raggiungere l’obiettivo lasciano tuttavia molto perplessi dal momento che la mobilità del personale tagliato e ricollocato in altre amministrazioni implica che queste ultime ne paghino gli stipendi con un inevitabile aggravio per le casse dello Stato; lo strumento dell’aspettativa per riduzione quadri lascia invece il militare a casa con il 95% dello stipendio facendo risparmiare allo Stato appena il 5% dello stipendio e forse sarebbe di maggiore utilità collettiva trovare dei lavori socialmente utili nei quali impiegare i militari.
Ci sarà poi una riduzione del 30% delle strutture e la cessione delle caserme non più utilizzate, ma anche in questo ambito sono tanti anni che si parla di cessione degli immobili dismessi dalla Difesa, senza che tuttavia sia stato venduto molto. Si parla infine di “rimodulazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d’arma” per avere uno strumento “più ridotto ma di elevata qualità”.
I caccia
Quando il Ministro-Ammiraglio ha annunciato che l’Italia avrebbe acquistato solo 90 cacciabombardieri F35 anziché i 131 previsti al momento dell’adesione al progetto, sia il Pentagono che l’azienda produttrice Lockeed Martin hanno avvisato che, a causa dei tagli fatti dall’Italia e da altri Paesi, il prezzo unitario di ogni aereo, oggi pari a circa 130 milioni di euro, sarebbe salito ancora e quindi il risparmio potrebbe essere molto relativo.
Ma i cacciabombardieri F35 sono solo la punta di un iceberg di un programma di ammodernamento dello strumento militare italiano certamente velleitario rispetto alle vere esigenze di una difesa conforme al nostro dettato costituzionale. In assenza di un modello di difesa di riferimento, infatti, lo shopping delle nostre FF.AA prosegue senza sosta visto che proprio in questi giorni la Marina ha annunciato la volontà di acquistare 12 nuove unità da 3.500/4.000 tonnellate con 90 uomini di equipaggio, armate di un cannone da 127 millimetri e uno da 76 millimetri, più altri sistemi d’arma modulari a seconda del tipo di missione, unità in grado d’imbarcare due elicotteri NH-90 e dotate di una stiva modulare. Le “Fremm semplificate” avranno un costo di circa 2,4 miliardi di euro, ma emerge anche la richiesta dell’Aeronautica di acquistare nuovi Droni (aerei senza pilota).
Nessuno valuta però le reali esigenze delle nostre FF.AA. come dimostra il caso della portaerei Cavour, costata 1,4 miliardi di euro, fino ad ora usata per la missione umanitaria ad Haiti, missione però probabilmente avente fini promozionali per l’industria bellica, e in questi giorni per un’iniziativa “sanitaria”.
Sono, infine, oltre 70 i programmi attualmente approvati e in cantiere per l’ammodernamento delle nostre Forze Armate.
Investimenti
Come dimostra la tabella che indica i principali sistemi d’arma che il nostro Paese è in fase di acquisizione, non c’è solo l’F35, ma tanti altri mezzi sui quali ricadono forti dubbi in merito alla reale utilità e costi, a partire dalle 10 Fregate FREMM. Se sommiamo ai fondi spesi direttamente dalla Difesa per l’investimento quelli presenti al ministero dello Sviluppo Economico per il 2013 per nuovi sistemi d’arma, il nostro Paese spende la non trascurabile cifra di 5,7 miliardi di euro.
È evidente che, a fronte della crisi economica che non permette di aumentare le spese militari come vorrebbero le Forze Armate e l’industria bellica, l’unica soluzione resti quella individuata nella delega al Governo dove, stabilizzando le spese per la Difesa (di per sè un aumento, visto che gli altri settori subiscono tagli pesantissimi), si taglia il personale e si spostano le risorse sui sistemi d’arma. Questo delinea però, in concreto, un Nuovo Modello di Difesa perché le operazioni di peacekeeping necessitano di uomini preparati, mentre per le guerre occorrono sempre più aerei in grado di bombardare, possibilmente anche senza i piloti. Per questo il pilastro centrale voluto dal ministro-ammiraglio Di Paola è la portaerei Cavour con imbarcati gli F35, per proiettarci in giro per il mondo a bombardare. Ma gli F35 sono aerei net-centrici, cioè in grado di interagire con tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio dati a disposizione sul luogo del conflitto, circostanza che significa mantenere una stretta dipendenza dall’attore principale di questo sistema, cioè gli Stati Uniti: di fatto il nostro modello di difesa non si discute in Parlamento, ma viene delineato da una parte dall’Alleanza Atlantica e dall’altra dall’industria bellica.
Sulla stessa linea sembra orientarsi anche il neo ministro Mario Mauro che, intervenendo presso le Commissioni Difesa di Camera e Senato per presentare le sue linee programmatiche, ha chiesto di “superare l’approccio ideologico” sul dibattito sull’F35. “Voglio ricordare” – ha detto il Ministro – “come le spese per la Difesa non sono banalmente un onere per la collettività: oltre ad essere funzionali ad assicurare un bene primario irrinunciabile, esse sono anche in grado di contribuire al nostro sviluppo tecnologico e industriale”.
Forse l’ideologia alloggia proprio in chi, senza definire il modello di difesa di riferimento, ha già deciso che alcuni sistemi d’arma siano fondamentali, addirittura utili per garantire la pace, come sostenuto dal ministro Mauro per l’F35, senza preoccuparsi che verso certi progetti esiste perfino l’ostilità di molti militari, ma soprattutto di un gran numero di cittadini italiani che vorrebbero impiegare le ingenti risorse finanziarie destinate all’acquisto dei cacciabombardieri per “difenderci” dalla crisi.