TESTIMONI

Il mondo che cambia

Tutti in transizione: cambiamenti in corso, famiglie che mutano e una Chiesa che stenta a leggere i segni dei tempi. Davvero colpa della secolarizzazione?
Giancarla Codrignani

Nessuno avrebbe immaginato che in Francia la più forte reazione contro la politica di Holland sarebbe stata non la disoccupazione e la frana dell’economia, ma il matrimonio gay. Non si sa se il fatto colpisca più i laici o i variamente credenti.
Comunque, in Europa, il pregiudizio omosessuale ha il suo punto di forza nella mentalità cattolica, dove ancora ci sono preti che parlano di malattia e di cure: il detto “non c’è più religione” conferma che, in un mondo che attraversa il più forte e rapido processo di transizione della storia, la conservazione clericale mette in crisi il messaggio che le è stato affidato. Che, in questo come in altri casi, non ha nulla a che vedere con i pregiudizi antropologici, ma, anzi, incrina le antiche certezze.

Paure
La parola che più impressiona i conservatori è “secolarizzazione”. Non si capisce perché, visto che è prevalentemente un loro prodotto. Giovanni XXIII ha lasciato parole memorabili ai profeti di sventura: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Per il Papa della Pacem in terris, infatti, era giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi e di coglierne le opportunità per “guardare lontano”.
Una Chiesa, che uno dei suoi migliori pastori giudicava in ritardo di duecento anni e non avanzava di un passo, ha evidente paura del futuro: è questo il “peccato” che causa gli abbandoni. Normalmente non si lascia né ciò che si ama né ciò che ci conviene: se vanno in crisi sacramenti e volontà di appartenenza, bisognerà domandarsene il perché.
Partendo dal versante laico, la Cgil-Nuovi Diritti e la Fondazione Critica Liberale da diversi anni mantengono un “osservatorio laico” che studia la secolarizzazione del nostro Paese. È uno strumento che, utilizzando non sondaggi e campionature, ma le fonti classiche dall’Istat al Miur, dalla Cei all’Annuario statistico della Chiesa cattolica, fornisce elementi generali di analisi, sia sull’evolversi degli atteggiamenti comportamentali degli italiani, sia della strategia ecclesiastica.
Non è una novità che i preti e i religiosi, maschi e femmine, calino senza che le nuove ordinazioni compensino le defezioni. Ma i battesimi nel primo anno di vita sono diminuiti, anche se in misura non costante negli anni, con punte che arrivano al 74,20% dei nati vivi nel 2009; certo, conta nel calcolo la presenza dei figli degli immigrati non cattolici e, con qualche probabilità (ma i cattolici non sono mai troppo informati), il disconoscimento del limbo come luogo reale di trasmigrazione dei bimbi morti senza battesimo. Le prime comunioni nel 1991 erano 553.485 (le cresime 616.809), mentre nel 2010 sono state 442.156 (le cresime 446.255).
Circa i matrimoni – la forma sociologica tradizionalmente più integrata anche per i laici nella pratica religiosa – quelli concordatari erano l’82,53 % nel 1991 e il 63,50 % quasi vent’anni dopo; se consideriamo solo il Nord Italia, nel 2011 i matrimoni civili hanno superato (51,7 %) quelli religiosi. I figli nati fuori dal matrimonio non sono più registrati dall’Istat per l’equiparazione giuridica dei bambini, ma al 2008 erano arrivati al 23,7 % dei nati.

La famiglia in transizione
Separazioni e divorzi registrano fasi diverse, ma non ci sono famiglie veterocattoliche che non comprendano figli divorziati o conviventi. Piaccia o no, se l’istituzione famiglia è in trasformazione, il modello cattolico è in caduta libera. D’altra parte la contraccezione, la pillola del giorno dopo e gli aborti (anche la fecondazione assistita, ma all’estero) persistono, sia pure in fasi contraddittorie, sia per la presenza delle immigrate, sia per una privacy che sta riproducendo la clandestinità, questa volta senza donne morte e ferri da calza. La tendenza a privatizzare scelte psicologicamente molto faticose è secondata anche dall’obiezione di coscienza che paralizza le strutture pubbliche. La crociata cattolica – che produsse l’opposizione di due terzi del Paese favorevoli alla “maternità libera e consapevole” – continua con la diffusione dei “centri in difesa della vita e della famiglia” (da 487 nel 1991 a 2.385 nel 2010) a beneficio solo della doppia morale: si fa ma non si dice. Intanto, sui temi della sessualità e della procreazione la Chiesa cattolica non evangelizza, anche se ripensarli (nel Vangelo la famiglia non è neppure menzionata) aumenterebbe la conoscenza di un contesto in cui anche l’ambito civile spesso ignora il rispetto della corporeità umana. A danno, soprattutto, delle donne.
Il mondo dell’educazione ha sempre interessato le Chiese. La scelta concordataria del 1984 dimostra che il Vaticano affida allo Stato la trasmissione della fede che andrebbe affidata alle famiglie e alle parrocchie. La cosiddetta “ora di religione” – oggi più apprezzabile per la presenza di docenti laici – fluttua, ma mantiene un 90 % di partecipazione.

Sussidiarietà?
Non sono poche le istituzioni sanitarie e assistenziali cattoliche. Mentre per le prime basta ricordare l’eccellenza e la disinvoltura gestionale del San Raffaele di don Verzè, l’assistenzialismo degli enti cattolici è in crescita (da 4.805 a 6.777 tra il 1991 e il 2009). Dietro i numeri si cela il pericolo grande che la sussidiarietà significhi che “lo Stato fa ciò a cui il privato non arriva”, vale a dire l’assistenza al posto dei diritti, la beneficenza e non la condivisione cristiana.
La considerazione introduce la questione dell’“otto per mille”. Anche in questo caso i dati sono altalenanti – per l’aumento degli introiti fiscali e per il meccanismo legale che li rende irrecuperabili per gli ultimi anni – ma è diminuito il numero dei firmatari a favore della Chiesa cattolica. Il presidente della Cei, cardinal Angelo Bagnasco, anche se attribuisce al reddito variabile degli italiani le diminuzioni delle sottoscrizioni, non smentisce che l’ultimo dato, relativo alle dichiarazioni dei redditi del 2010, registri l’82,01 %, con un calo degli introiti di 116 milioni di euro. L’istituzione, comunque, anche in ragione dell’assorbimento delle quote di chi non segnala alcuna opzione e delle libere donazioni, non impoverisce. D’altra parte favorisce la fidelizzazione alle “opere cattoliche” l’ottima pubblicità fatta in tutte le TV sulle finalità dei finanziamenti. Forte è l’impegno a sostenere l’istituzione attraverso la carta stampata e l’attività editoriale e audiovisiva (Radio Maria in testa), mentre è ancora non verificabile l’uso delle nuove tecnologie. Più impressionante la quantità dell’informazione clericale fornita attraverso le reti pubbliche e private e la parzialità rispetto alle altre confessioni (Protestantesimo e l’ebraica Sorgente di vita sono trasmesse in notturna) e religioni.
Sembra un’ovvietà che chi detiene un potere intenda consolidarlo e rafforzarlo con i mezzi in uso. Si dà però il caso che la Chiesa non sia un’istituzione secolare, ma si rifaccia al messaggio vincolante di un Vangelo, che impone non l’obbedienza all’autorità ecclesiastica ma la libertà dei figli di Dio. In tempi recenti il Concilio Vaticano II ha rovesciato la gerarchia, mettendo il popolo al vertice di una gerarchia di servizio. Oggi il nuovo Papa tocca i temi scottanti del potere che non condivide almeno nei metodi, ma esprime anche il potere consolatore del “sacro” poco congeniale al teologo dogmatico Ratzinger. Contemporaneamente escono saggi di autori, non solo laici, che mettono in crisi la sopravvivenza dei dogmi religiosi inconciliabili con le conoscenze scientifiche del micro – così come del macro – dell’universo, della natura, dell’umano. Sembra che non sia molto il tempo per salvare il cristianesimo. E per evitare di renderlo, magari dopo una contraddittoria ripresa della devozione, estraneo alle genti.

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