Una denuncia coraggiosa

Alidad Shiri
Fonte: Pubblicato sull’Alto Adige del 21 agosto 2013

L’Afghanistan è un Paese con una cultura storico religiosa vissuta da tutti i suoi diversi gruppi etnici. Dopo la caduta dei talebani, l’arrivo della comunità internazionale è stata una spinta per un cammino di modernizzazione che ha portato il Paese alla ricerca di una Costituzione liberaldemocratica. Si è così aperta una fase nuova per andare oltre il vecchio sistema, i cui cardini erano la religione, l’anzianità e il capo clan. Tutto veniva deciso da queste autorità senza discussioni. Un esempio della novità che si è fatta strada in quest’ultimo decennio è il lavoro delle donne e la loro presenza nell’impegno politico in Parlamento. Ma è molto contrastata dai signori della guerra che si sono infiltrati nell’Assemblea parlamentare. La società attuale è divisa in due parti, ma non secondo l’antica divisione dei due gruppi religiosi, sciiti e sunniti, che pure rimane; infatti la moderna divisione passa attraverso un nuovo ideale confine che comprende da una parte i giovani intellettuali che credono in valori universali quali la pace, la convivenza, il valore della cultura e rifiutano la guerra, mentre dall’altra rimangono i gruppi fondamentalisti e la gente che si lascia da loro condizionare, che credono alla forza come soluzione dei problemi, come avviene in questi giorni in Egitto, e usano la religione per fini di potere. Il presidente Karzai da più di dieci anni al potere, non è riuscito a migliorare la situazione sociale e politica, è in fondo succube di questi vecchi capi che dettano legge. Non ha in effetti alcun potere, tanto è vero che lo chiamano “il sindaco di Kabul”. Per fortuna non può più candidarsi alle prossime elezioni ormai vicine. Non gli auguro certo la pena di morte, come non la auguro a nessuno, anzi possa avere una vita lunga che gli permetta di vedere un Paese cambiato dall’impegno di tanti giovani, che non sia più costretto a lasciare uscire tanti suoi figli profughi per il mondo, come me e altri amici. Vivendo fuori dal mio Paese originario, l’Afghanistan, tengo tuttavia i contatti con giovani impegnati che desiderano ricostruire il tessuto politico e sociale del nostro Paese su valori nuovi, superando quelli tradizionali. Proprio uno di questi uomini pieni di speranza, un giovane appena laureato in sociologia all’università di Kabul, il dott. Azim Basharmal, così scrive in una lettera aperta, sincera e coraggiosa al Vicepresidente di Karzai: “ Signor Vicepresidente Khalili, noi siamo la generazione degli impoveriti e sfruttati, ci sentiamo stranieri nel nostro Paese, siamo stati umiliati, la fame e la sete del nostro popolo l’abbiamo vista con i nostri occhi. Il deserto arido di Taftan e Zahedan l’abbiamo percorso con i nostri piedi nudi. Nel deserto sono rimaste le impronte delle nostre sorelle e dei nostri fratelli minori. In qualsiasi cimitero del mondo si trovano sepolture dei nostri cari, in qualsiasi mare grande o piccolo abbiamo dei dispersi. Il dolore del mio popolo lo porto dentro ancora vivo. Nei campi fascisti iraniani di raccolta profughi abbiamo vissuto l’inferno. Ho visto all’Università di Kabul ragazze con gli occhi pieni di lacrime, che non osavano parlare, perché non avevano i soldi per pagare la tassa necessaria per sostenere gli esami. Ho visto a Ghazni i profughi tornati dall’Iran per disoccupazione, dopo tanto tempo in cui avevano lavorato. Li ho visti comprare pane secco che intingevano nell’acqua per nutrire i loro bambini. Ho visto studenti che soffrivano da due settimane perchè non avevano il denaro (corrispondente a cinque euro) per andare dal medico. Ho visto ragazze e ragazzi che erano venuti a Kabul per l’esame di ammissione che per giorni e giorni sono rimasti senza cibo perché non avevano i soldi per comprarsi neanche il pane. Conosco vedove che fanno le lavandaie per crescere i loro orfani.
E tu, tranne la tua poltrona, il tuo ufficio, la tua villa, non vedi altro! Invece io vedo ogni giorno lungo la strada centinaia di fratelli e sorelle che chiedono l’elemosina, io vedo migliaia di giovani laureati disoccupati che lottano per vincere la fame, mentre tu hai messo i tuoi uomini, vecchi comandanti analfabeti, al posto che dovrebbero occupare loro nelle istituzioni. Eppure tu, così attaccato al trono, dovresti essere il rappresentante di questi mendicanti e disoccupati, invece non hai neanche guardato una loro minima ferita. Signor Vicepresidente, se tu fossi una persona diversa, con dignità, ti saresti dimesso, invece di stare in silenzio come adesso pensando alla tua poltrona. Noi abbiamo sofferto, al contrario tu e il tuo seguito avete rubato e mangiato. Sto scrivendo con le lacrime tutto questo, il mio vissuto e quello dei miei cari, ma tu non hai lasciato entrare dentro di te i loro problemi. Ho sentito che vuoi costruire un’Università con i soldi iraniani, dandole il nome del profeta sciita Imam Hussen. Uomo disumano, vergognati! Non fare del nostro Paese un altro Libano, un ‘altra Siria! Sai quali conseguenze può avere questa tua decisione! Questo è il mio consiglio per te: una volta nella vita prendi una decisione da uomo, vergognati!”.

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