Il bosco di san Francesco
Tra realtà e sogno.
Parlare di bellezza: perché? Lanciare, su una rivista che ha fatto dei problemi della pace la sua ragion d’essere, una rubrica per seguire forme ed esperienze del bello: con quali motivazioni?
Credo che il progetto di aprire uno spazio periodico dedicato alla bellezza su Mosaico di pace, in apparenza sorprendente, trovi consonanza con alcune idee già espresse nel dossier a più voci “La bellezza salverà il mondo” (a cura di Nicoletta Dentico, Mosaico di pace n.2/2013). In esso la curatrice affermava che “vogliamo vedere la bellezza finalmente re-integrata come orizzonte operante della polis, categoria fondativa della visione di società che aspiriamo a costruire, nell’interesse delle generazioni future”. E, nello stesso dossier, si richiamava la valenza sia individuale che collettiva della bellezza, la quale può diventare oggetto esplicito della costruzione sociale di una città o di un ambiente, ponendo in evidenza che essa è il completamento di una società giusta: la bellezza, come afferma H. Gardner, rappresenta una delle ragioni principali per essere vivi e condividere con altri la gioia di vivere.
Non solo parole
Dunque, vorremmo parlare qui di Bellezza, anche con la B maiuscola, assumendone consapevolmente i rischi. Il primo azzardo è quello connesso all’impiego di una parola così comune. In un contesto sociale che in questi anni ha compromesso seriamente l’uso della parola, specialmente nel mondo politico e dei media, non è facile rivalutare la precisione e la ricchezza semantica di certi termini, anche in una lingua così ricca di sfumature e possibilità espressive come l’italiano. L’uso improprio e offensivo del linguaggio – che è una istituzione molto fragile e indifesa – ha impoverito e banalizzato il ricorso a parole che sono o dovrebbero essere veicoli di valori profondi e tali da esigere grande rispetto: come ad esempio amore, amicizia, cuore, ragione, o anche libertà, verità, giustizia, democrazia. Nel caso del bello e della bellezza, si vorrebbe riprendere a usare questa parola in un modo non banale e debole ma forte e appropriato, avendo fiducia che essa possa farci riscoprire esperienze di vita gratificanti e irrinunciabili per il nostro essere persone vive, che aspirano alla pienezza o ad una elevata qualità della vita. Il secondo rischio mi sembra si colleghi al pericolo di utilizzare il tema del bello in chiave estetizzante, facendone cioè una sorta di idolo, un assoluto staccato da ogni altra considerazione e scala di valori condivisi: questo potrebbe riguardare la bellezza del corpo come le espressioni artistiche, la natura come la scienza o altri elementi del quotidiano.
Si tratta allora di avere il semplice coraggio di nominare la bellezza senza banalizzarla né assolutizzarla, avendo fiducia che sia possibile parlarne come di un’esperienza alla portata di tutti. Siamo convinti che occuparci di bellezza sia importante, se non essenziale, in una società che si trova in uno stato di crisi acuta, non solo economica e di risorse ma di strumenti culturali per la comprensione del reale, per aiutare i suoi membri a condividere percorsi di ricerca.
In questa logica, la rubrica si sforzerà non solo di esporre idee sul tema, in particolare sulle connessioni tra il bello e le discipline che più se ne sono occupate (filosofia, estetica, teologia, storia dell’arte, scienze naturali). Parleremo di luoghi, ambiti e contesti in cui sono presenti elementi o tratti di bellezza, senza trascurare la bellezza morale, quella che fa riferimento a singole persone che hanno trasmesso una testimonianza in grado di accendere il cuore. Di volta in volta offriremo degli esempi o dei racconti di bellezza a cui accostarci. Iniziamo con un luogo prossimo ad Assisi.
Il Bosco di Assisi
Assisi è un luogo unico tra i tanti meravigliosi che ospita l’Italia centrale con i suoi borghi rimasti quasi intatti dal Medioevo. Assisi riesce a suscitare nel visitatore di oggi un senso di stupore, non solo per il patrimonio artistico eccezionale che racchiude e per il paesaggio mirabile in cui è inserita tra la valle spoletina e il monte Subasio, ma per la memoria storica viva di Francesco, quell’alter Christus di cui anche l’agnostico non può non accorgersi percorrendo la città e osservandone il carattere, il genius loci. Sopra una delle porte di accesso campeggia la benedizione ad Assisi, Benedicat tibi Dominus, Sancta Civitas: io penso che Francesco, il poeta che aveva cantato con i versi dei trovatori e si era innamorato di Madonna Povertà, volle benedire in Assisi tutte le città, e non solo quelle del suo tempo, ma ogni città attraverso il tempo.
La città medievale trovava il suo complemento nel paesaggio che la circondava e la integrava armoniosamente, attraverso i coltivi e i boschi. Ora, grazie al meritorio lavoro compiuto per anni dal Fai, l’apertura del Bosco di San Francesco, a lato della Basilica superiore nel versante che dà sulla valle del Tescio, consente di integrare lo splendore artistico e architettonico di Assisi con un inedito accostamento al paesaggio umbro. Varcando la porta di accesso che si apre dal piazzale della Basilica si entra nella Selva attinente al Convento di San Francesco e si è subito invitati a camminare nel bosco ceduo, scendendo sul sentiero che è rallegrato in autunno da un’esplosione di ciclamini. Verso il fondo della valle è stato restaurato il Monastero duecentesco di Santa Croce, abitato fino al XIV secolo dalle monache benedettine e che ora offre, accanto al Centro di accoglienza dei visitatori, un piccolo giardino simile a quello che poteva esistere un tempo. Si procede ancora con un itinerario di mezz’ora in un paesaggio restaurato con cura, tra alberi, mulini e torri, per arrivare alla conclusione del sentiero in una radura solitaria dominata dall’alta visione della Rocca Maggiore. Qui l’intuizione-formula del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, sperimentata con il simbolo grafico dell’infinito in diversi ambiti e recentemente in una grande esposizione al Louvre di Parigi, trova la sua realizzazione forse più suggestiva, in un’opera originalissima di Land Art. I tre cerchi, che sono stati tracciati sulla radura dallo stesso artista per mezzo di un aratro trascinato dai buoi, sono inquadrati in un complesso mirabile di centoventuno ulivi messi a dimora: essi circondano e proteggono il segno dei tre paradisi, quello della natura, quello della cultura-tecnica e il terzo che rappresenta una proiezione ideale e spirituale per l’uomo di oggi. Al centro della radura una grande asta di acciaio specchiante, alta dodici metri, simboleggia l’unione tra il cielo e la terra.
Già soverchiati in precedenza dalla bellezza di Assisi, si resta letteralmente senza parole dopo aver concluso il percorso a piedi attraverso questo Bosco di San Francesco, che non è solo un complemento paesaggistico della città ma è anche l’invito a meditare con un atteggiamento di raccoglimento e di silenzio favorito dagli stessi itinerari e dalla loro articolazione. In questo luogo si è portati a riflettere sulla storia del mondo, che sarebbe stata ben diversa se, molti secoli fa, Francesco non avesse sentito quella singolare vocazione a cui rispose con assoluta disponibilità, vivendo il vangelo sine glossa. A riflettere sulla bellezza del mondo, che ci viene offerta qui in una declinazione debordante di natura, paesaggio, arte antica e arte contemporanea; e in particolare sulla bellezza del paese in cui abbiamo avuto la fortuna immeritata di nascere o di vivere. A riflettere, infine, sul senso della bellezza che ci porta alla Bellezza perché ne è segno, perché ogni luogo che sia bello e compiutamente armonioso ci suscita il ricordo ancestrale e il desiderio insopprimibile di un Paradiso a cui siamo chiamati.