CHIAVE D'ACCESSO

Terre rare

Guerra, alcune cose che non ci dicono. E ciò che noi possiamo fare.
Alessandro Marescotti (a.marescotti@peacelink.it)

Perché si fa la guerra oggi?
In questi anni di impegno ambientalista sulla questione dell’Ilva credo di averlo capito.
Ma prima vediamo i dati.
Il sito ambientalista consoGlobe (www.consoglobe.com) cita un documento della United Nations Conference on Trade and Development nel quale si stima che le miniere di ferro chiuderanno i battenti entro il 2087 in quanto terminerà la possibilità di estrarre il minerale in modo utilizzabile per applicazioni industriali. Per l’acciaio inossidabile andrà ancora peggio in quanto il nickel è destinato a esaurirsi tra il 2040 e il 2064. Studiosi come Lester Brown (del World-Watch Institute) sono ancora più pessimisti e si aspettano che le riserve di ferro dureranno una sessantina d’anni. Altri parlano di riserve per un secolo. Ciò nonostante oggi si vuole produrre più di quanto il mercato non ne richieda: si parla infatti di “eccesso di capacità produttiva” dell’industria siderurgica. Si stimola perciò la domanda puntando sulla costruzione di nuove auto e di palazzoni di cui non vi è bisogno, promuovendo anche grandi opere inutili che richiedono molto acciaio.
Siamo stati fino a ora abituati a collegare la guerra al petrolio. Ma, se guardiamo il versante delle materie prime, si scopre che lo scenario che si prospetta è quello di un progressivo esaurimento del ferro e dei minerali rari. Consiglierei la lettura della voce “terre rare” su Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Terre_rare).
Attorno alle “terre rare” (in inglese “rare earth elements” o “rare earth metals”) nascono tensioni enormi. Scrive Simone Pieranni: “Nel 2009 negli States scoppiò un gran casino quando il Congresso chiese al Government Accountability Office di verificare la dipendenza statunitense dall’importazione di terre rare. Il grande pubblico capì via via di cosa si trattava, quando vennero spiegati gli utilizzi militari delle terre rare (visori notturni, munizioni di precisione, missili, ad esempio)”.
Non tutti sanno cosa c’è sotto l’Afghanistan. “Si trova in Afghanistan – scrive Marina Perotta su Ecoblog – la più grande riserva di litio. È forse per questo che le truppe militari di mezzo mondo non vanno via? Le fonti da cui ricavare litio sono assai rare e questo è il principale componente per la costruzione di batterie ad alta efficienza, come quelle usate per i cellulari, ma anche per le auto elettriche”.
E poi c’è il gas di scisto, una vera e propria corsa all’oro. Scrive Peppe Croce: “Con il termine di shale gas, o gas di scisto in italiano, si intende il gas naturale intrappolato nelle rocce poco porose ad alta profondità. Si tratta di gas a tutti gli effetti, in buona parte metano, che però non si trova in un normale giacimento e, di conseguenza, non basta trivellare un pozzo tradizionale per tirarlo fuori. Per estrarlo si usano due tecniche: la trivellazione orizzontale e il fracking idraulico”.
La tecnica comporta dei rischi ecologici. Fino a quando gli Stati Uniti faranno accettare questi rischi ai propri abitanti? “Negli ultimi anni lo shale gas – continua Peppe Croce – è stato il protagonista indiscusso degli scenari energetici, soprattutto negli Stati Uniti dove è partita una nuova corsa all’oro che ha portato alla trivellazione di centinaia di pozzi per estrarre gas di scisto”. Mi fermo qui. Non occorrono spiegazioni. Faremo la guerra per sempre.
A meno che non costruiamo un modello sostenibile di sviluppo basato sul risparmio, il recupero, il riuso, il riciclaggio e la riconversione.
Mi hanno stupito le tante persone che ho incontrato e che non comprendono come la lotta per la chiusura dell’Ilva sia prima di tutto una lotta per la pace oltre che per la salute e l’ambiente.
Alcuni mi chiedono se l’Ilva produca acciaio per le armi. Non è questo il problema: la guerra non è provocata dalle armi, ma da questo sviluppo.

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