Basta violenza, attacco in Siria sarebbe un disastro come in Iraq
In Iraq, continua a salire il numero delle vittime di una serie di attentati che hanno devastato Baghdad oggi, dove si contano oltre 70 morti e 200 feriti. È l’ennesimo atto della violenza tra i sunniti e gli sciiti iracheni. E un appello a mettere fine a sanguinose faide e soprattutto a scongiurare un intervento armato in Siria arriva dal patriarca di Babilonia dei Caldei,
Louis Rapahel I Sako, al microfono di Francesca Sabatinelli:
R. - La sicurezza è peggiorata negli ultimi due mesi, anche in vista delle elezioni (le politiche del 2014 ndr), inoltre a incidere è anche la situazione in Siria e in Egitto; tutto questo gioca sul terreno iracheno, come in Libano. Questo preoccupa molto noi cristiani e anche gli altri, perché non ci sono spiegazioni a tutto questo male. C’è una lotta tra sciiti e sunniti: nell’area mediorientale ognuno vuole imporsi ed avere il potere, non c’è un vero dialogo. E ciò che accade viene sfruttato da fuori. Ci sono anche forze straniere dietro queste lotte per indebolire gli islamisti fondamentalisti e per dire che non possono governare così. È accaduto in Egitto e adesso in Iraq, in Siria, in Libano. C’è una lotta tra i musulmani ma è un po’ “fabbricata”; non si sa il perché visto che tutti sono musulmani e prima vivevano insieme... Ora il sentimento della popolazione viene sfruttato dai politici: non si parla più di un’unica cittadinanza, tutti siamo cittadini, ma si parla di Fratelli musulmani, sunniti, sciiti e drusi. E non finirà…
D. – Forse siamo alla vigilia di quello che sembra ormai un attacco nei confronti della Siria. Cosa significherebbe?
R. – Per me sarebbe un disastro! Abbiamo avuto anche noi lo stesso scenario. Trovare delle scuse è molto facile, ma devono cercare anche la verità e la giustizia se vogliono raggiungere una soluzione. La guerra non aiuta mai, anzi complica la situazione. Noi, in Iraq, dopo l’invasione degli americani, dopo dieci anni, dove stiamo andando? Dove va il Paese? E’ diviso, ci sono problemi di sicurezza, di lavoro, di corruzione, tutto viene creato in maniera “confessionale”. Dove sono la democrazia e la libertà? Sono questi i progetti? Se l’Occidente vuole aiutare questi Paesi a trasformarsi in democrazie aperte, devono educare la gente, e non con le bombe! Devono pensare anche alle conseguenze per la Siria ma anche per l’Iraq, per il Libano e per l’Iran. È facile bombardare un Paese, dopo però bisogna fare i conti con la coscienza.
D. – Bombardare la Siria in questo momento completerebbe un processo di destabilizzazione che forse si vuole adottare per tutta l’area geografica?
R. – Complicherà ancora di più la situazione perché ci sono già divisioni tra gruppi etnici e politici. Si parla dell’opposizione (in Siria ndr) ed è vero che c’è un’opposizione, ma ci sono anche jihadisti e altri gruppi, l’opposizione non è unita. Perché non aiutano a trovare una soluzione politica? Perché vogliono solo una soluzione militare?
D. – Qualche giorno fa l’arcivescovo di Erbil, nel Kurdistan iracheno, mons. Bashar Warda ha lanciato un appello, perché è difficilissimo sostenere tutti i rifugiati siriani che stanno arrivando nel Nord dell’Iraq…
R. – Durante una mia recente visita pastorale sono andato in 40 villaggi nel Nord del Kurdistan, lì la Chiesa e anche la gente aiuta questi profughi, ma sono numerosi. Penso che il governo curdo abbia dei progetti per accoglierli e aiutarli. Io rivolgo un appello per la pace, la stabilità ed il dialogo. Il dialogo è una soluzione civile degna dell’uomo e non la guerra! La guerra è sempre cattiva e non risolve i problemi, anzi li complica profondamente, mette barriere tra gli uomini e tra i gruppi. Meglio aiutare a raggiungere una soluzione politica, positiva, nella quale tutti possono essere integrati.