CONVEGNI

Trauma e sogno nel mondo plurale

Per il 71° Corso di studi cristiani organizzato dalla Cittadella di Assisi, un confronto tra teologi e antropologi sul senso del fare ed essere comunità
nel mondo globale. La testimonianza di padre Enzo Bianchi sulla fiducia
e sul principio della comunità.
Fabio Dell'Olio

Ad Assisi, capitale mondiale del dialogo ecumenico, si sono intrecciati ancora una volta percorsi, esperienze e speranze collettive, dal mondo laico a quello cattolico, pronti a mettersi in gioco nella costruzione di un nuovo alfabeto comunitario, seguendo la stella dell’utopia di “un altro mondo possibile”. L’occasione è stata il Corso di studi cristiani, appuntamento giunto alla sua 71° edizione, e organizzato in Cittadella dal 20 al 25 agosto scorso da Pro Civitate Christiana in collaborazione con Exodus e Comunità ecumenica di Bose.
Voci diverse a confronto, naturalmente inclini all’ascolto di esperienze corali di comunità che non enfatizzano i propri percorsi, mettendo a servizio degli altri i vissuti e le crepe inevitabili del “trauma”, ma anche lo slancio esaltante del “sogno”. Con questa premessa, alcuni tra i maggiori filosofi, antropologi, teologi e giuristi contemporanei, come padre Ermes Ronchi, Paolo Ricca, Raniero La Valle, Carlo Gubitosa, Paolo Berdini, Cristina Simonelli, Sergio Labate, lo scrittore Eraldo Affinati, Enzo Bianchi, hanno dialogato con Tonio Dell’Olio, presentando diversi “profili di comunità”.

La fiducia innanzitutto
L’attesa testimonianza di padre Enzo Bianchi,per esempio, ha posto al centro della riflessione il tema della fiducia, come fondamento di comunità. “Il tema della Comunità – ha spiegato il priore di Bose – si è imposto con forza negli anni Cinquanta del secolo scorso,rappresentando l’emblema di speranza, utopico, di tutti i popoli dell’Occidente. In questi anni, infatti, hanno preso il via molti itinerari comunitari, che prima erano pressoché inesistenti in un continente lacerato dalle guerre mondiali. L’apice dell’esperienza comunitaria – continua padre Bianchi – coincide con gli anni Sessanta quando la prima forza globalizzatrice fu la Chiesa cattolica con il Concilio”. Poi nell’era della postmodernità la forma più importante dell’essere comunità consisteva nel “prendere la parola”, come avveniva nei movimenti studenteschi e operai in Francia come in Italia e in altri Paesi europei. Ma, a partire dagli anni Settanta, irrompe nella scena politica la violenza: c’era un’esasperazione dell’individualismo tanto che ciascuno voleva che i propri desideri valessero come diritti. È perciò agli anni Settanta che risale la prima crisi della comunità. Qui il consumismo si nutre di individualismo e viceversa. È in atto una crisi dell’orizzonte comunitario che porta agli inizi degli anni Novanta al declino della comunità.

Il rischio del settarismo
“Oggi non vediamo alcuna possibilità di orizzonte comunitario né a livello politico, né economico o sociale” – ha denunciato ancora padre Bianchi.
“In questo periodo storico – ha continuato il priore – iniziamo ad avvertire l’esigenza di comunità. Nella Chiesa vediamo due grandi ostacoli alla realizzazione della comunità. Le comunità che hanno passato gli anni Settanta, Ottanta e Novanta hanno assunto una forma settaria, sono autoreferenziali, chiuse al confronto. Qui vige la regola del capo assoluto e il dominio si manifesta nel disordine finanziario e nel disordine sessuale. C’è stata una deriva, quella del comunitarismo, che fa assumere alla comunità un assetto autoritario. Questa comunità si autoconserva, teme il confronto e ha una forte identità. Così si passa dalla soggettività all’individualismo e dal localismo al settarismo”.
Poi Enzo Bianchi riporta il suo sguardo analitico al presente e aggiunge: “Temo che il movimento per rifare la comunità si possa fare solo con l’educazione. In Italia abbiamo queste risorse? Noi ci muoviamo verso il modello della cultura americana, che afferma che il bene comune coincide con la felicità individuale. Invece nella cultura cristiana il principio fondamentale deve essere il bene comune, non la felicità personale. Se mettiamo la felicità individuale al centro di tutto, saremo autorizzati a perseguirla a scapito di quella altrui. In tutta questa crisi sappiamo che esiste una grave crisi di fede per la Chiesa, mentre per la società si tratta di una crisi di fiducia. Il problema della società occidentale è il venir meno della fede. I quotidiani parlano di crisi di fiducia nei mercati finanziari e nel domani. Ma come è possibile avere fiducia nel mercato se abbiamo smarrito persino il sentimento stesso della fiducia? Anche nei rapporti personali si riflette oggi questa crisi: chi crede ancora che sia possibile oggi una storia d’amore? L’evangelista Giovanni dice che “se uno dice di credere al Dio che non vede, ma non crede al fratello accanto è un bugiardo”. La comunità non nasce né si sostiene per conoscenza, né sull’amicizia e neanche con l’amore. La comunità nasce e si sostiene solo sulla fiducia”.
In un tempo di sogni sbagliati, traditi, sconfitti, di relazioni lacerate, di opposizioni irriducibili che mettono alla prova la volontà di dialogo e di pace condivisa, l’esortazione di padre Bianchi invita a fondare il bisogno di comunità sulla ricerca di questa merce rara chiamata fiducia.

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