Anime e diritti

Uno sguardo a Lampedusa. Terra di accoglienza e di lacrime. Testimone di umanità perdute ma anche di mani tese. E solidarietà. Tanta.
Alessandra Ballerini (Avvocato, specializzata in diritti umani e immigrazione, consulente CGIL Genova e Terre des hommes )

La mia ultima visita a Lampedusa risale a luglio 2013. Nel Centro di Prima Accoglienza di Contrada Imbriacola erano illegittimamente “detenuti” 710 migranti: donne, uomini e bambini, ammucchiati in degradanti condizioni da oltre 10 giorni senza aver mai visto un giudice né un avvocato.
Io non ero stata autorizzata a entrare nel centro, ma abbiamo avuto la fortuna di incontrare comunque alcune di queste “anime salve”, scampate al mare e alla prigionia, mentre erano inginocchiati a pregare davanti alla chiesa dell’isola. Erano momentaneamente “evasi” dal Centro, sgattaiolati fuori dall’apposito buco del recinto. Un buco provvidenziale e simbolico. Rappresenta la falla del nostro sistema di cosiddetta “accoglienza”. Il Cpsa dovrebbe essere “aperto” e le persone dovrebbero esservi accolte e soccorse, non imprigionate per giorni e settimane, ammassate a centinaia in condizioni indecenti. A questo serve il foro nella rete. Se i diritti nel Centro non possono entrare, neppure quelli più elementari e fondamentali (libertà e dignità ad esempio) almeno alcuni tra i naufraghi, i più dinamici e intraprendenti, possono di tanto in tanto uscire. Così l’isola li può finalmente vedere. Belli, fieri, pacifici. Come l’isola che li ospita e molti dei suoi abitanti, anche occasionali.
A luglio, anche quest’anno, più di 50 ragazzi (ma anche diversi adulti) hanno deciso di trascorrere le loro vacanze partecipando al campeggio organizzato da Amnesty International per i diritti umani. Li avevo già incontrati nell’estate 2011 in piena cosiddetta “emergenza profughi”.
Mentre sull’isola susseguivano incessanti gli sbarchi, i campeggiatori dei diritti offrivano le loro testimonianze di accoglienza (quella vera) e empatia. Hanno sostato fuori dai centri (all’epoca era aperto anche quello dell’ex base militare Loran), salutato sbracciandosi i giovani prigionieri, hanno parlato di leggi e di diritti, hanno fatto domande e cercato risposte. Con sana curiosità e creativa intelligenza. Accoglienti, preparati e partecipi. Avrebbero voluto consegnare il loro saluto ai migranti detenuti nei centri, ma non gli è stato concesso. Volevano trasmettere la loro vicinanza ai coetanei migranti. Si sono ingegnati e poi hanno scritto questa lettera perché la leggessimo ai giovani migranti rinchiusi: “Siamo arrivati da diverse parti di Italia e d’Europa,/ siamo giovani e meno giovani,/ abbiamo provato a portarvi un sorriso,/ abbiamo provato a raggiungervi per conoscere il Vostro sorriso/ abbiamo provato a incontrarvi per ascoltare i vostri nomi e per darvi il nostro benvenuto,/ abbiamo guardato da lontano i vostri saluti e abbiamo risposto salutandovi:/ Volevamo correre, saltare il cancello e con un pallone conoscervi per condividere qualche istante sereno... ma non ce l’abbiamo fatta a far sì che il nostro sorriso potesse diventare anche il vostro.../ Noi, e tanti altri con noi, continueremo a sperare di ascoltare i vostri racconti,/ non smetteremo mai di chiedere i vostri sorrisi,/ continueremo a cercare il vostro abbraccio e non finiremo mai di chiedere di farci incontrare.../ Non possiamo venire lì,/ ma di certo non smetteremo mai di aspettarvi qui!”.

In fuga
Intanto, loro, i migranti, non hanno mai smesso di arrivare sulle nostre coste.
In fuga da Somalia, Eritrea, Etiopia, Mali, Siria, Egitto, Libia... Uomini e donne e minori sbarcati miracolosamente vivi. Sono scappati dal loro Paese dopo essere stati feriti con pistole, coltelli, bastoni o cocci di bottiglia. Hanno visto e subito violenze di ogni tipo e natura. Hanno perso casa, lavoro, amicizie e affetti in pochi minuti. Sono stati inseguiti e imprigionati. Sono stati torturati, minacciati, violentati e insultati in ogni modo. Per questioni etniche, religiose, sociali e familiari. Sono sopravvissuti a tutto. Sono scappati con ogni mezzo: a piedi o nascosti su camion. Hanno attraversato mari e deserti. Sono partiti in 100 e arrivati in 10. E poi di nuovo braccati, imprigionati e picchiati, e imbarcati su barche di fortuna. Incastrati l’uno sull’altro, a centinaia. Notti e giorni sul mare, nel buio, nel freddo, senza cibo né acqua. Loro e nostro malgrado verso l’Italia. Sono questi i profughi che teniamo rinchiusi nel Centro di Contrada Imbriacola.
Di loro cerco di parlare, ospite, anche quest’anno, nel campeggio di Amnesty. Di loro e delle nostre leggi contro di loro.
Parliamo insieme di come sono, negli anni, cambiate le nostre norme in materia di immigrazione e di come la legge 94/2009 (c.d. pacchetto sicurezza), entrata in vigore l’8 agosto 2009, si aggiunga ad altri provvedimenti legislativi, già adottati in materia di immigrazione negli ultimi anni, che avevano già compresso i diritti fondamentali dei migranti.
Parliamo del cosiddetto “rea-to di clandestinità”, che sancisce il binomio: irregolare = criminale. L’art. 10 bis del Testo Unico Immigrazione introdotto con la legge 94/2009 punisce, infatti, chi faccia ingresso o permanga in Italia privo di permesso di soggiorno. La legge non prevede immediatamente la pena detentiva, ma una sanzione penale pecuniaria (il pagamento di un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro) che difficilmente può essere riscossa nei confronti di una persona senza soldi, conto in banca, residenza né proprietà alcuna.
Il reato di clandestinità, che punisce i migranti non per quello che fanno ma per quello che sono, ovvero stranieri temporaneamente privi, loro malgrado, di permesso, ha come conseguenza nefasta l’obbligo, posto a carico dei pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, di denunciare la persona che commette questo reato, ovvero il migrante “colpevole” di non possedere un permesso di soggiorno.
È da notare come molto spesso si diventi irregolari, quindi, per legge, criminali, senza aver fatto nulla: si può perdere il permesso di soggiorno perché non si ha più un lavoro. Altro caso è quello dello straniero che da minorenne diventa maggiorenne: i bambini sotto i 18 anni non possono essere considerati irregolari, sono minori e, dunque, inespellibili e degni delle tutele previste dalla Convenzione di New York del 1989. Quando un ragazzo straniero compie 18 anni rischia, se non era titolare di un permesso di soggiorno, di entrare nella categoria “irregolari”.
La legge sull’immigrazione rende difficile, se non impossibile, ottenere il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno o di un visto di ingresso regolare. Chi entra in Italia per motivi di turismo, ad esempio, non può convertire il suo titolo di soggiorno in permesso per motivi di lavoro e, scaduti i 90 giorni dal suo ingresso in Italia, deve fare rientro nel proprio Paese anche se in Italia ha trovato lavoro. Unico modo per ottenere un permesso di soggiorno per lavoro (tranne i casi di sanatoria) è fare ingresso con un visto per motivi di lavoro dopo aver attivato la lunghissima, farraginosa e illogica procedura delle assunzioni internazionali.
O, ancora, si pensi alla legge sulla cittadinanza che, prevedendo lo jus sanguinis, non consente a chi nasce in Italia da genitori stranieri di ottenere dalla nascita la cittadinanza italiana.
Oppure, si consideri l’art. 22 comma 11 del Testo Unico Immigrazione, norma che ha causato, per migliaia di lavoratori stranieri che hanno perso il lavoro a causa della crisi economica e sono rimasti disoccupati per più di 12 mesi, la perdita automatica del titolo di soggiorno e dunque la conseguente “clandestinità”.
La normativa in materia di immigrazione è zeppa di sistemi di criminalizzazione dello straniero e anche la normativa concernente le espulsioni ha subito molte modifiche, quasi tutte peggiorative. Basti pensare che i tempi di detenzione nei Centri di Identificazione ed Espulsione sono stati prolungati fino a un massimo di 18 mesi con la legge 129/2011.
Eppure gli esseri umani non dovrebbero mai essere considerati “illegali”.
Invece, il numero altissimo di stranieri in carcere o nei Cie, frutto di una scelta politica che si traduce in procedure repressive, costose e insensate, ci mostra chiaramente come il processo mediatico-politico-legislativo di criminalizzazione degli immigrati stia causando danni inammissibili per la nostra democrazia.
La percezione di maggiore insicurezza, che alcune forze politiche e alcuni mass-media creano ad arte, produce una maggiore repressione nei confronti degli stranieri e la detenzione penale o amministrativa diventa lo strumento principale, se non l’unico, d’intervento “istituzionale”. L’integrazione è evidentemente un’altra cosa e, senza una politica che investa su questo, non può esserci nessuna vera sicurezza.
Parlare dei diritti dei migranti non vuol dire essere “buoni”, ma solo ricordare il segreto dei diritti umani, ovvero la loro universalità e indivisibilità: i diritti o valgono per tutti o non valgono per nessuno.
Chi si occupa dei diritti degli altri non lo fa perché è buono. Lo fa perché è consapevole che, occupandosi dei diritti di altri, di chiunque, si occupa e tutela i propri.
Come si legge nel Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei Centri di Accoglienza e Trattenimento per migranti in Italia della Commissione per i diritti Umani del Senato “non può esistere nessuna Costituzione, nessuna legge, in nessun Paese del mondo che possa prevedere che una donna o un uomo possano essere privati della propria dignità. E questo è il cuore della questione dei diritti umani da cui tutti i passi successivi dipendono: alzare una barriera in difesa della dignità della persona che non possa essere oltrepassata per nessuno, nemmeno per il peggiore degli assassini”. Tantomeno per delle persone, spesso poco più che bambini, colpevoli solo di fuga.
I campeggiatori di Amnesty lo sanno bene. Da loro nasce questa versione geniale del Padre Nostro.
Migrante Nostro,
Che sei nei centri,
Sia rispettato il tuo nome.
Venga il giorno in cui ovunque la terra ti accolga,
Ti sia restituita
la tua Dignità.
Come in mare,
così in terra.
Che non ti sia negato
il pane quotidiano.
Perdona a noi la violazione
dei tuoi diritti.
Come noi ci impegniamo
a non esserti più debitori.
E non ricorriamo
ingiustamente
alla detenzione,
ma liberiamoti dal mare...
Amin
(Gian Marco Giuliana con l’aiuto di Helena Caruso)
Questi ragazzi così belli e creativi sono la nostra Italia migliore, da difendere e far crescere.
Ogni volta che torno da Lampedusa penso a loro.
E ricomincio a sperare.

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