POTERE DEI SEGNI

Il samaritano dell'ora prima

Di fronte alle nuove e vecchie povertà oggi in aumento, ricordiamo le parole
di don Tonino che ci invitava a bloccare la frenesia dell’accumulo e a condividere le ricchezze con gli ultimi.
Rosa Serrone

Il numero dei poveri è in aumento, invade le strade e la nostra vita. La classe media s’impoverisce, perde il lavoro, la casa e poi la serenità. Ai semafori i poveri lavano vetri, chiedono aiuto, vendono o si vendono. Tanti vivono in auto, sotto i ponti. La gente comune infastidita gira la testa e la povertà resta irrisolta: sfrontata e anonima nelle grandi città, vergognosa e con nome e cognome nelle piccole. “I poveri li avrete sempre con voi” è scritto, ma la loro presenza è la misura della nostra disumanità. Don Tonino, nel commento della parabola del buon samaritano, parla del “samaritano dell’ora giusta”, “di quello dell’ora dopo” ma anche “di quello dell’ora prima” ed è quest’ultimo che può dare una svolta radicale alla vita del malcapitato.
Ma da cosa cominciare? Ci devono pensare i governi? Che possiamo fare noi?
Don Tonino, nel libro “Articoli. Corrispondenze. Lettere. Notificazioni” (ed. Mezzina), propone: “È necessario che ognuno faccia una revisione globale della propria vita. Forse i parametri che la sorreggono sono di fabbrica antievangelica. Occorre sorvegliarsi sulle spese, controllare il denaro che entra, stabilire quale porzione dei propri soldi dare ai poveri, impegnare un po’ di tempo libero per loro in presa diretta, sperimentare tentativi di convivenza e di cassa unica.
È necessario bloccare la frenesia dell’accumulo, mettere a disposizione degli ultimi quello che sopravanza, rendere fruibili i nostri beni inutilizzati, aprire il guardaroba chiuso, affidare le campagne incolte, popolare le case sfitte, stanziare per i poveri i redditi fissi di alcuni beni.
Condividere con gli ultimi anche la ricchezza della comunità. Occorre fare chiarezza nei bilanci parrocchiali, diocesani, d’istituto. Adoperarsi perché le uscite in favore dei poveri siano più consistenti. Rivedere certe formulazioni tariffarie che danno l’impressione di una Chiesa interessata più alla borsa dei valori che alla vita dei poveri, e insinuano il sospetto che anche i sacramenti si diano dietro compenso segnato dal listino prezzi. Studiare le forme adatte per mettere in circuito di fruibilità terreni, case, beni, in genere appartenenti alla Chiesa. Esaminare il problema di come restituire agli ultimi case religiose vuote e conventi chiusi. Eliminare lo spreco delle feste che si fanno in nome dei santi o col pretesto di onorarli. Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudopovertà si camuffi il raggiro degli imbroglioni, che è molto meglio rischiare di mandare a mani piene nove impostori su dieci, che mandare via a mani vuote il solo bisognoso.
Infine, condividere con gli ultimi la loro povertà. Parlare il loro linguaggio. Entrare nel loro mondo attraverso la porta dei loro interessi. Aiutarli a crescere, rendendoli protagonisti del loro riscatto, e non terminali delle nostre esuberanze caritative o destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali”.
Un piano che, coniugando i tre verbi “denuncio, rinuncio, annuncio”, interroga ancora noi, le nostre comunità e i poveri stessi affinché, come nella Comunità di Gerusalemme delle origini, nessuno tra noi sia bisognoso. Sogni impossibili quelli di don Tonino o tracce per i nostri progetti di vita? Quante sono le esperienze taciute da minoranze silenziose che occorre raccontare? Ci sono tante storie belle di responsabilità caritativa collettiva e individuale! Se le conosci ti stupisci come quando vedi sulla Murgia un bosco nato dalle ghiande nascoste dalle ghiandaie.
Eppure... un albero che cade continua a far più rumore della foresta che cresce.

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