LETTERATURA

La tua fronte, Arturo

La storia dello scrittore tedesco Ludwig Greve, che nel 1944 venne nascosto e protetto da Arturo Paoli, dopo una rocambolesca fuga per mezzo mondo
braccato dai nazisti.
Francesco Comina

Ora è venuto il momento di dare a Ludwig Greve la tribuna che si merita. In Germania è uno scrittore che solo oggi comincia a rompere il guscio della marginalità, nonostante sia stato legato ai grandi autori del Novecento tedesco. E in Italia è citato sul solco biografico di Arturo Paoli come il giovane ebreo nascosto e salvato dal missionario toscano nel 1944 (per l’opera di aiuto e assistenza agli ebrei in fuga negli anni in cui infuriava il nazismo Arturo Paoli ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti fra cui il titolo di “giusto fra le nazioni” dallo Stato di Israale per aver salvato la vita al giovane studioso del talmud Yacov Gerstel).
Sull’amicizia fra Greve e Paoli lo storico berlinese Klaus Voigt ha pubblicato un libro nel 2006 con l’editore Carrocci dal titolo Ludwig Greve. Un amico a Lucca. Ricordi d’infanzia e d’esilio. La vicenda è ricordata anche nella biografia scritta da Silvia Pettiti nel 2010 dal titolo Ne valeva la pena. Eppure l’importanza di Greve nella letteratura tedesca del Novecento (e non solo) è più forte di quanto si possa immaginare. Forse più di quanto i critici abbiano avuto modo di evidenziare. Tutte le opere di Greve sono state raccolte per la prima volta quest’anno dall’editore Wallstein in un cofanetto di tre volumi dal titolo Autobiografische Schrifte und Briefe (scritti autobiografici e lettere), che è stato presentato il 30 settembre a Berlino nell’ambito degli incontri dello Yudisches Museum. E giustamente lo scrittore Ingo Schulze ha individuato in Greve una matrice letteraria simile a quella che si ritrova nelle opere dell’ungherse Imre Kértesz (premio Nobel per la letteratura), ossia una scrittura assediata dall’olocausto, plasmata dalla tragedia della persecuzione, incalzata dalla memoria di chi non c’è più ed è sparito fra i fumi del camino di Auschwitz simbolo e monito di ogni malvagità (il male non è mai banale direbbe Ágnes Heller).
Perché nella prosa e nella poesia di Greve il passato preme sul futuro e la speranza si bagna di quell’acqua che si è persa nel mare della disperazione e dell’annichilimento di un intero popolo. Insomma, Greve non ha mai scritto pensando a ciò che il mondo si sarebbe atteso dalla sua scrittura ma ha sempre scritto d’altro: “Come un fuggitivo che getta via passo dopo passo ogni suo avere, ho sempre cercato di tenere insieme l’abietto, pezzo per pezzo, cercando di ristabilire un precedente collegamento, un’amicizia, un contatto che non stava in nessuna mano: e quando rimedito a tutto ciò io ritrovo la mia identità”. (Warum schreibe ich anders? Perchè io scrivo d’altro?).

La resistenza e il dolore
Il dolore è il materiale della poesia di Greve. Il dolore di esser vissuto fra i naufraghi in cerca di patria. Il dolore di aver perso il papà e la sorellina di quindici anni, catturati e internati in un lager e poi fatti sparire nelle camere a gas. Il dolore di vedersi chiudere tutte le porte della civiltà anche quelle lontane di Cuba e poi della Florida dove la famiglia Greve tentò disperatamente di trovare un varco verso la libertà che potesse scrollarsi di dosso l’incubo della prigionia e della morte (la nave St Louis con i novecento fuggitivi venne rispedita indietro e il carico di migranti si ritrovò ad Anversa). Ancora il dolore di trovarsi nel cuore delle deportazioni, nella clandestinità, cercando una terra possibile dove poter vivere liberamente (sembra di ripercorrere la fuga di un altro Ludwig, protagonista del romanzo di Erich Maria Remarque, Ama il prossimo tuo come te stesso, anche lui braccato dai nazisti negli anni più bui del nazismo: “Un pezzo di carta, soltanto un pezzo di carta è la nostra ancora di salvezza. I confini oramai sono la nostra patria”).
Nel 1942 Ludwig entra nella resistenza francese con il nome di Louis Gabier. Per alcuni mesi vive in un centro profughi a Parigi. Nel 1944 la famiglia si ritrova nuovamente insieme nel sud del Paese. Braccati dai fascisti devono perennemente fuggire. Entrano in Italia dalle montagne piemontesi. La mamma viene colpita da una granata e rimane gravemente ferita. I carabinieri si danno da fare per soccorrerla e per trovare un nascondiglio sicuro. Sembra che tutto si metta per il meglio quando all’improvviso, sulla strada per Cuneo, il padre e la sorellina Evelyn spariscono. Vengono catturati dai nazisti, imprigionati a Modena e poi trasferiti in un campo di sterminio della Germania. Alla sorellina dedicherà più tardi la poesia “Lucca, giardino botanico”. Al padre scriverà una delle liriche più intense e commoventi: “Basta il lutto? Respiro, trasporto / ringrazio le notti d’amore davanti alla tua tomba / e anche i bambini, mai stanchi / senti, ridono... Io vengo, padre /”. (Mein Vater)
Ludwig rimane solo con la mamma. Grazie all’interessamento di un parroco di Cuneo, don Raimondo Viale (anche lui giusto fra le nazioni per l’opera di aiuto agli ebrei in fuga dalla Francia) e ai contatti che questo sacerdote aveva sviluppato con alcuni membri del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), i due raggiungono Lucca. Ludwig viene accolto nel convento degli Oblati dove Arturo si prende cura di lui: “Mi accogliesti con quella ospitalità e cortesia – scriverà Greve più tardi nella lettera Ein Freund in Lucca, un amico di Lucca – con cui da sempre l’Italia ha disarmato i barbari… Mi hai conquistato soprattutto perché non ti sei mai risparmiato”.
Ludwig può contare anche sulla protezione del vescovo, che lo veste addirittura da frate e lo invita a servire alla messa: “L’appello cordiale del vescovo di Lucca diventò alla fine un bell’epilogo”. Finita la guerra si trasferisce in Palestina con la mamma. Vivono in un kibbuz vicino ad Haifa. Ludwig lavora come contadino e come rivenditore di biglietti per l’autobus. È di questi anni l’amicizia profonda e ricca di stimoli con lo scrittore Max Fürst. Nel 1950, attraverso la rete degli amici quaccheri, i due rientrano in Germania. Nel 1951 Ludwig ritorna in Italia per qualche anno per lavorare come traduttore alla Domus Pacis. Nel 1958 è nuovamente a Roma con una borsa di studio per l’accademia di letteratura tedesca Villa Massimo. E dal 1968 al 1988 dirige la biblioteca di Marbach.
Greve muore nel 1991 durante una nuotata a pochi metri dalla spiaggia dell’isola di Amrum nel mare del nord. Nel 1992 riceve, postumo, il prestigioso premio per la poesia Peter Huchel.

Le opere
Dalle opere di Greve emerge il tratto biografico della sua scrittura: “Tutto ciò che Ludwig ha scritto – ricorda la figlia Cornelia – lo ha scritto in primo luogo per se stesso, come riverbero di un bisogno interiore e come un desiderio di dare un segno di gratitudine agli amici che egli ha amato e ammirato”. Poetare era per lui un faticoso immergersi nelle pieghe di un passato carico di lacrime e denso di nostalgia. Ma anche nelle tantissime lettere scritte ad amici (fitta la corrispondenza con personaggi come Hannah Arendt, Wilhelm Lehmann, Günther Grass, Gottfried Benn) prorompe la storia che sta alle spalle di Greve: la fuga degli innocenti, il peso drammatico della libertà fatta a pezzi dalle perversioni del totalitarismo con i suoi appetiti genocidari. Ma ciò che rende ancora l’umano degno del suo nome è la carezza dell’amicizia, quella carezza fronte a fronte con uomini che sono arrivati perfino a mettere a repentaglio la propria vita per stendere una coperta di amore sulle spalle dei perseguitati. Arturo è per Ludwig l’amico che si è fermato davanti al dolore, come una visitazione: “(…) così a Lucca – il bastione difende ancora questa città – / e tu in una luce priva di sogni ti sei fermato Arturo e / fra i sassi, appena lavorati / hai posto la tua fronte sulla mia fronte” (Ludwig Greve, Freunde).

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