SIRIA

Un nuovo inizio

Una pace nonviolenta è possibile. A partire dalla Siria, per tutti e in ogni contesto. L’adesione multicolore all’appello del Papa per una ricerca diplomatica della risoluzione del conflitto siriano lascia sperare in un nuovo movimento per la pace. Noi ci stiamo.
Sergio Paronetto (vicepresidente Pax Christi Italia)

La felice coincidenza tra il Congresso nazionale di Pax Christi (“È l’ora della nonviolenza”) e la dinamica nonviolenta innescata da papa Francesco (“Solo la pace realizza la pace”), conferma la bontà del nostro itinerario e ci spinge a operare in modo fiducioso, ampio e concreto. Probabilmente siamo davanti a un nuovo inizio per i credenti, per il dialogo ecumenico-interreligioso, per un nuovo umanesimo. Dopo aver ringraziato per la partecipazione alla giornata di digiuno-preghiera del 7 settembre, papa Francesco ha aggiunto: “L’impegno continua: andiamo avanti con la preghiera e con opere di pace”. È lui a indicare percorsi comuni nel paesaggio mediorientale: “Vi invito a continuare a pregare perché cessi subito la violenza e la devastazione in Siria e si lavori con rinnovato impegno per una giusta soluzione al conflitto fratricida. Preghiamo anche per gli altri Paesi del Medio Oriente, per il Libano, perché trovi la desiderata stabilità e continui a essere modello di convivenza; per l’Iraq, perché la violenza settaria lasci il passo alla riconciliazione; per il processo di pace tra israeliani e palestinesi, perché progredisca con decisione e coraggio. Preghiamo per l’Egitto, affinché tutti gli egiziani, musulmani e cristiani, si impegnino a costruire insieme la società per il bene dell’intera popolazione”.

Alimentare la luce
Nonostante le incoerenze (uomini di governo digiunanti continuano a organizzare la corsa agli armamenti), qualche luce si sta accendendo: una nuova consapevolezza circa l’inefficacia degli interventi militari; risveglio dell’Onu e della Conferenza di pace; accordo sulle armi chimiche; contatti Usa-Iran; attenzione al ruolo dei parlamenti; denuncia del commercio delle armi. Stanno riemergendo temi decisivi, cari a Francesco: la custodia del creato, il dialogo tra credenti e con i “non credenti” (la lettera a Scalfari è un contributo alla ricerca della pace), l’accoglienza (“servire, accompagnare, difendere”), l’ipotesi di aprire ai poveri i conventi vuoti. Così il Papa alla veglia del 7 settembre: “Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!... Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello – penso ai bambini – e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata”.

Coltivare la rosa
Per la Siria non basta, ovviamente, dire no all’intervento militare (lì la guerra dura da due anni nella interessata indifferenza internazionale, mentre alcuni gruppi pacifisti si sono avvitati nella loro paralizzante autoreferenzialità). Molti parlano della Siria, ma pochi hanno a cuore il popolo siriano in cui, come scrive Domenico Quirico, sta avvenendo una devastante mutazione prigioniera della crudeltà e dell’avidità!
Per il Consiglio ONU dei diritti umani è “un campo di battaglia in cui i massacri, commessi da ogni parte, vengono condotti in piena impunità”. Questa è la guerra oggi! Ma non si può considerare il Medio Oriente come lo scacchiere del gioco geopolitico tra potenze o i Paesi arabi. Occorre far emergere la forza politica della nonviolenza. Coloro che nel deserto siriano coltivano la rosa nonviolenta devono diventare protagonisti di ogni negoziato. Il governo italiano può renderli visibili. Tra essi, c’è anche il movimento Mussalaha (riconciliazione) che ha già ha coinvolto, con immensa fatica, sciiti, alawiti, sunniti, drusi, cristiani, arabi per la riconciliazione fra gruppi, famiglie e comunità (tra gli aderenti, il patriarca Gregorius III Laham e Agnès-Mariam de la Croix, superiora del monastero di Qara). Occorre aiutare un cantiere di riconciliazione (e di aiuti umanitari) per placare gli scontri in villaggi e quartieri, realizzare accordi di tregua, spazi militarizzati, momenti di incontro tra cristiani e musulmani. Si può far tesoro della cultura islamica di tolleranza, come quella del filosofo Jawdat Saided (“Azione nonviolenta”, maggio 2013).

Fermare l’inutile massacro
Nonostante tutto, è l’ora della nonviolenza come principio operativo nella varietà delle sue espressioni (formative, civili, religiose) e nell’efficacia della sua dimensione economica, giuridica e politica. È il momento di ridare centralità a un’Onu rinnovata, fedele al suo mandato, e di attivare con determinazione gli strumenti del diritto internazionale. Per i cattolici è bene conoscere-attuare il magistero ecclesiale che, da alcuni decenni, propone un cammino di nonviolenza per “andare risolutamente verso l’assoluta proscrizione della guerra e coltivare la pace come bene supremo, al quale tutti i programmi e tutte le strategie devono essere subordinati” (G. Paolo II, 12.1.1991). Per questo Francesco definisce le guerre “un inutile massacro” e gli interventi militari “una vana pretesa” (lettera a Putin, 5.9.2013), introducendo un tema fondamentale: il commercio degli armamenti. Le guerre, in sostanza, si fanno per vendere le armi (l’Italia è il primo Paese europeo che vende armi in Siria e dintorni). Finalmente la denuncia aperta del commercio delle armi può rientrare nel cuore dell’azione ecclesiale. La Siria è un esempio di come possano coesistere flussi d’armi del mercato legale, nero e grigio: una galassia in cui orbitano criminalità organizzata, società off-shore, banche, compagnie private, governi, imprese, servizi logistici, servizi segreti, militari. Finite le guerre jugoslave, 8 milioni di armi leggere hanno varcato le frontiere, dirette in Libano e in Siria, grazie all’intelligence saudita, giordana e statunitense. “Dopo la guerra del 2011, c’è stato in Libia il peggior saccheggio di armi che la storia militare conosca, dieci volte peggio che in Iraq. Armi che hanno alimentato i combattenti jihadisti in Mali, Sinai, Nigeria, Gaza e Siria. Americani ed europei non hanno mosso un dito per arginare questi flussi illegali. Non meno illegali sono le forniture iraniane alla Siria e a Hezbollah” (“l’Avvenire” 3.4 e 10.9.2013; “Unimondo”, “Opal”).

Una nonviolenza persuasiva
La nonviolenza può diventare efficace e persuasiva se, oltre l’autismo patologico di partiti e movimenti, diventa: - politica nazionale, per la Costituzione e lo stato di diritto e internazionale, per una disarmata “responsabilità di proteggere”; - economia, per una finanza pubblico-sociale e uno sviluppo basato su disarmo, giustizia e beni comuni; - ecologia, per la cura del territorio anche contro l’azione delle mafie; - vita quotidiana, per città amiche, famiglie senza violenza, buone pratiche di cittadinanza; - realtà ecclesiale, per una teologia nonviolenta e il dialogo per un nuovo umanesimo. Un cammino comune può attivare: - itinerari formativi tipo “la scuola ripudia la guerra!” o “la pace è un’arte che si impara” (T. Bello); - Campagne per disarmo e Servizio Civile anche come difesa nonviolenta; - blocco degli F35; - riconversione civile della presenza militare in Afghanistan; - riduzione di produzione e commercio delle armi, servitù e basi militari (che useranno anche i droni); - percorsi di spiritualità della pace; - Commissioni diocesane “Giustizia e pace; - potenziamento della Campagna “Ponti e non muri”; - abolizione dei cappellani militari; - preparazione della Giornata mondiale della pace 2014 e del centenario della I guerra mondiale (“inutile strage”).
Un lavoro immenso e bello. Il tempo sembra propizio. Molto dipende dall’azione di ognuno di noi.
“È possibile per tutti”. “Sì, lo vogliamo”.

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