Un nobel contro le armi
Le aspettative, le promesse sottintese, gli auspici.
L’11 ottobre il Presidente del Comitato norvegese per i Premi Nobel ha annunciato che il Nobel per la Pace per il 2013 è stato assegnato all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC). Non c’è dubbio: un’organizzazione, l’OPAC, che ha come obiettivo quello di liberare il mondo da una categoria di armi di distruzione di massa, rientra sicuramente nel quadro delle volontà di Alfred Nobel, che si impegnò per il disarmo in tutte le sue forme.
Nobel era un chimico; prima di convertirsi alla causa della pace, si era illuso che la sua invenzione, la dinamite, sarebbe diventata tanto potente che nessuno Stato avrebbe più fatto ricorso alla guerra. Si sbagliava naturalmente, e la storia ci ha insegnato che nessuno strumento di morte ha conseguenze così catastrofiche che gli Stati – e recentemente le organizzazioni non statuali – sceglieranno autonomamente di non utilizzarlo. Le considerazioni etiche o morali non sono sufficienti, servono leggi e strumenti giuridici internazionali. La storia internazionale del XX secolo è segnata dagli sforzi di persone e di organizzazioni che si impegnano a costruire dei quadri giuridici, da fare approvare agli Stati, per ridurre i livelli di barbarie, per trasportare l’umanità verso un mondo in cui non prevalga la legge del più forte. Ed è stato anche grazie al Premio Nobel per la Pace che molte di queste iniziative hanno potuto svilupparsi. Insomma, il chimico Nobel convertito al pacifismo avrebbe approvato l’assegnazione del premio a un’organizzazione il cui obiettivo è l’eliminazione delle armi chimiche.
Il tempismo del Premio intende forse sottolineare uno sviluppo positivo della tragedia siriana: il momento in cui la minaccia di bombardamenti aerei da parte degli USA è rientrata. Speriamo che sia un segnale del fatto che la Comunità internazionale abbia finalmente appreso la dura lezione dall’Iraq: meglio le ispezioni sotto gli auspici di un ente competente delle Nazioni Unite piuttosto che una giustizia sommaria esercitata da uno sceriffo autonominato.
L’OPAC ha condotto oltre 5.000 ispezioni in 86 Stati. Sono 189 gli Stati, più la Santa Sede, che hanno ratificato la Convenzione per la proibizione delle armi chimiche, anche se sappiamo che ratificare una convenzione non significa necessariamente adempiere a tutti gli obblighi che tale adesione comporta. Della Siria si è parlato molto, perché ha aderito solo il mese scorso: gli altri Stati che rimangono ancora fuori sono Israele e Myanmar (che hanno firmato, ma non ancora ratificato), Angola, Egitto, Corea del Nord, Sud Sudan. Il Comitato norvegese dei Nobel ha correttamente sottolineato nel suo comunicato che non tutti gli Stati possessori di tali armi hanno ancora assolto ai loro obblighi di smantellamento.
Secondo le statistiche pubblicate dall’OPAC, suoi funzionari hanno verificato la distruzione di 57.740 tonnellate di agenti chimici, ovvero dell’81% delle riserve mondiali. Per capire l’enormità delle riserve, basti pensare che il quantitativo di agente nervino che sta sulla punta di uno spillo è sufficiente a uccidere un uomo adulto con un’esposizione di soli pochi minuti. E le riserve mondiali ammontavano a oltre 71mila tonnellate!
Queste cifre ci ricordano che la pace non si realizza solo con le belle parole e le buone intenzioni: la pace richiede moltissimo impegno e duro lavoro.
È necessario, tuttavia, ricordare che l’OPAC è emanazione degli Stati membri. L’elemento chiave essenziale per liberare il mondo dalle armi e dal militarismo è la volontà politica. Per generarla, però, non c’è alternativa all’educazione alla pace e alla mobilitazione della società civile del mondo, sì da esercitare una pressione informata sui governanti.
E questo concetto vale ancora di più nel caso delle armi biologiche, per le quali è stata approvata una Convenzione per la proibizione, ma non sono ancora stati concordati i regolamenti attuativi che disciplinino le procedure di verifica. Educazione alla pace e mobilitazione sono tanto più necessari per quanto riguarda le armi nucleari, dove siamo ancora lontani dall’approvazione di un Trattato universale per la totale proibizione. Già nell’annunciare il Premio assegnato all’OPAC, il Presidente del Comitato norvegese del Nobel Jagland ha auspicato che il mondo riesca ad arrivare a uno strumento giuridico che metta al bando le armi nucleari. Come con le armi chimiche e biologiche, ciò che è davvero cruciale è il processo di delegittimazione. Nel momento in cui un tipo di arma viene dichiarato illegittimo, allora può iniziare il percorso dell’eliminazione.
È da tanto tempo che l’umanità aspetta che si arrivi a un trattato internazionale che metta al bando le armi nucleari. Dalla primissima risoluzione delle Nazioni Unite, infatti, che nel gennaio del 1946 – prima ancora che fosse costruito il Palazzo di Vetro – affermò che gli Stati membri dovranno fare ogni sforzo affinché le terribili armi che avevano (l’anno prima) distrutto Hiroshima e Nagasaki non venissero mai più utilizzate. L’umanità, però, non ci è ancora riuscita, perché le armi nucleari hanno un potere politico enorme, sono uno status symbol.
Adesso forse sta partendo un nuovo percorso. Si tratta della cosiddetta iniziativa umanitaria, promossa da un gruppo di Stati comprendenti Norvegia, Sud Africa, Nuova Zelanda, Messico, Svizzera, che usa un’argomentazione nuova: tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e che abbiano ratificato le convenzioni di Ginevra e la Dichiarazione dei diritti umani, ecc. hanno il dovere di portare assistenza alle vittime di qualsiasi azione bellica. Ma nel caso delle armi nucleari le conseguenze sarebbero talmente catastrofiche (le atomiche non rispettano la distinzione tra militari e civili, non rispettano i confini nazionali, non sono limitabili nel tempo, ma hanno effetti per molto tempo e anche per molte generazioni, ecc.) che nessuno Stato, nessuna organizzazione della comunità internazionale sarebbe in grado di apportarvi rimedio. Ergo: per rispettare i propri obblighi gli Stati devono far sì che nessuna arma nuclea-re venga mai utilizzata. E il modo più sicuro è di prevedere che vengano tutte messe al bando e poi smantellate e distrutte.
Esattamente come si sta facendo oggi con le armi chimiche, grazie al lavoro dell’OPAC.