La Terra dei fuochi
italiane e straniere. Prosegue il nostro viaggio nella militarizzazione del Sud Italia.
Campania Felix, il nome che gli antichi Romani avevano dato al fertile territorio della Campania. Ad esso, nel Medioevo, si sovrappose il nome di Terra di Lavoro, termine che ben sottolinea l’importanza che aveva per quelle antiche popolazioni il lavoro agricolo, da cui traevano il principale sostentamento. Quello stesso territorio che, negli ultimi decenni, si è trasformato in una discarica, con lo smaltimento illegale in siti improvvisati di migliaia di tonnellate di rifiuti di ogni genere, anche classificati come speciali, altamente pericolosi e spesso provenienti da Regioni del Nord Italia. Rifiuti illegalmente smaltiti da organizzazioni criminali prive di scrupoli, che inquinano terreni e falde acquifere e che, ricoperti di terra, diventano spesso terreni coltivati. Parte di quella Terra di Lavoro, compresa tra le province di Napoli e Caserta, prende oggi tristemente il nome di Terra dei Fuochi, dai roghi accesi dalla disperazione degli abitanti di fronte a montagne di rifiuti.
Tra rifiuti e basi
Hanno, quindi, ben poco da essere felici gli abitanti di questa Regione: ricerche recenti collocano soprattutto le province di Napoli e Caserta agli ultimi posti per qualità della vita. Ma non è purtroppo quello dei rifiuti il solo fattore di impoverimento di questa Terra; un’altra importante causa è, infatti, l’assurda militarizzazione del territorio, iniziata fin dal dopoguerra e perpetrata fino a oggi, con la presenza e la nuova costruzione di basi militari, spesso appartenenti a Forze Armate alleate.
Militarizzare, secondo il dizionario della lingua italiana, significa sottoporre a norme e a disciplina militare categorie di cittadini e imprese, per ragioni di difesa interna ed esterna, sottoponendo a presidio militare un determinato territorio. È proprio quello che succede: installazioni che spesso occupano zone di notevole rilevanza ambientale, come nel caso dell’isolotto di Nisida, sottratto per circa 60 anni alla popolazione civile. Alle circa 60 basi delle nostre Forze Armate si vanno ad aggiungere quelle delle basi militari di Stati Uniti e Nato. Oltre che sottrarre territorio, la presenza delle basi militari all’interno del territorio cittadino, rappresenta prima di tutto un rischio per la sicurezza dei cittadini costituendo dei possibili obiettivi in caso di conflitto o di azioni terroristiche. Le basi militari non italiane godono di extraterritorialità, cioè non sono soggette alla giurisdizione dello Stato italiano, sia per reati penali che amministrativi; inoltre, grazie a tale principio, godono di un regime fiscale agevolato e sottraggono ai territori circostanti risorse naturali come acqua ed energia.
Intere parti di territorio sottratto per cui l’Italia non riceve nessun tipo di beneficio, neanche in termini economici. Da non dimenticare, poi, i fattori di rischio ambientale: livelli di elettrosmog ben oltre i limiti di legge, per la presenza di antenne di ricezione sparse per il territorio; e rischio radioattivo, per la presenza di portaerei a propulsione nucleare spesso presenti nella rada del Golfo di Napoli, che costituiscono delle vere e proprie centrali nucleari galleggianti, navi che nei Paesi di provenienza non possono avvicinarsi alle città.
Una mappa
Analizziamo ora nel dettaglio queste “scomode presenze”:
- L’Esercito Italiano – esclusi comandi e stazioni locali dei Carabinieri – conta circa 50 caserme e basi operative, disseminate nella provincia di Napoli (19), Caserta (17), Salerno (11) e Avellino (1);
- L’Aeronautica Militare – oltre all’Accademia di Pozzuoli e alla Scuola Specialisti di Caserta, presenta in Campania il 22° Gruppo Radar (GRAM) di Licola, il 9° Stormo di Grazzanise e il 5° Gruppo Manutenzione Veicoli (GMV) di stanza a Capodichino;
- La Marina Militare, pur essendo la Campania un’importante regione marittima, presenta allo stato una scarsa presenza – eccettuati i porti nuclearizzati di Napoli e Castellammare di Stabia e la diffusa presenza della Guardia Costiera – delegando di fatto il controllo militare delle acque del basso Tirreno alla U.S. Navy e al Comando Marittimo della NATO, alle cui operazioni partecipano come componenti dell’Alleanza le unità della M.M. italiana.
Basi alleate
Ma, come accennavo prima, al di là delle strutture della “difesa” italiana, la Campania spicca per la massiccia presenza di basi e comandi “alleati” e statunitensi, che occupano, fin dall’immediato dopoguerra, aree-chiave della nostra regione, sottraendole alla giurisdizione e al controllo delle amministrazioni civili, rendendola un formidabile bersaglio strategico, trasformando questo territorio in una delle succursali globali del Pentagono di Washington.
Provincia di Napoli
• Ischia: Antenna di telecomunicazioni USA con copertura NATO.
• Lago Patria (Comune di Giugliano) NATO, Comando JFC (Sud Europa e Africa)
•Licola (Comune di Giugliano): antenna di telecomunicazioni USA.
•Napoli Capodichino: US NAVY, COMUSNAVEUR – AFRICOM, Comando VI Flotta USA.
•Napoli Camaldoli: antenna di due radio della Marina USA (uso civile).
• Napoli Bagnoli: NATO, ex Comando JFC Naples; Comando NRF.
Provincia di Caserta
• Carinaro – Grazzanise, base saltuaria USAF (aeronautica USA) - NSA e ospedale US NAVY
• Baia Verde (Comune di Castelvolturno – CE), zona radar della NATO
• Mondragone/ Monte Massico, ex base USA e NATO (sotterraneo antiatomico)
Provincia di Avellino
• Montevergine, Stazione di comunicazioni USA.
Provincia di Salerno
• Persano, poligono di tiro dell’E.I. utilizzato anche dalla NATO
Nel gennaio del 2006 si costituisce a Napoli, su impulso del Nodo Lilliput e del locale Punto Pace del Movimento Pax Christi, una rete organizzativa denominata Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio. Nato da un gruppo di lavoro tematico, cerca di raccogliere l’esperienza del coordinamento per la pace e smilitarizzazione del territorio sorto nel gennaio 2003 dalla collaborazione di gruppi, associazioni, studenti e altre fette della società civile col comune scopo di organizzare una Campagna forte e omogenea contro la minaccia della guerra a favore del disarmo, Campagna che prenderà il nome di “Sottraiamo le Basi alla guerra”.
Campagna che non si ferma alla semplice denuncia della guerra, ma ne sottolinea il carattere economico e strumentale proponendo il disarmo dell’economia e delle città invase da basi militari, ma anche da una nuova forma di militarizzazione che cancella gli spazi di democrazia.
Il metodo e gli strumenti sono nonviolenti e si comincia a lavorare tracciando un percorso per diffondere idee di pace, solidarietà e cooperazione a partire dalla richiesta di ritirare i soldati italiani da tutti i teatri di guerra. Le azioni scelte sono volte a contrastare la produzione, la commercializzazione, lo stoccaggio di tutte le armi: leggere, belliche, di distruzione di massa, e parallelamente mirano appunto a “togliere le basi alla guerra”. Una delle denunce è la presenza nel golfo di Napoli di un porto militare Usa per il controllo di quasi tre continenti: la Campagna contro il blackport ha alternato momenti di informazione e sensibilizzazione con azioni di pressione sulle autorità locali e nazionali.
Fase molto importante del lavoro del comitato è stata la pubblicazione di un volume dal titolo: “Napoli chiama Vicenza”, il cui scopo è far conoscere in maniera dettagliata la situazione del territorio campano, sottolineando, poi, come sia importante fare rete con altre realtà nazionali e non, a partire da una collaborazione con Vicenza e la rete di donne e uomini che in essa si sono mobilitati contro la base Dal Molin.