Shopping militare
Il governo Letta. nel mese di ottobre, ha programmato la costruzione di 12 navi militari per un totale di 6,8 miliardi di euro. È un piano ventennale di finanziamenti straordinari previsti dalla legge di stabilità che però non compare nel bilancio della Difesa. Ce lo segnala il blogger del Fatto Quotidiano Toni De Marchi che aggiunge: “Questi finanziamenti sono stati pudicamente inseriti non tra le spese militari ma tra i sostegni ai cantieri navali. Sia mai che un Paese che fa solo rilassate missioni di pace in Afghanistan, Iraq e altrove e che fa solo pacifiche basi militari a Gibuti, pensi ad armarsi”.
Nel testo originale si motiva tutto ciò “al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi della sicurezza nazionale anche nel contesto degli impegni assunti dall’Italia in ambito internazionale” e anche allo scopo di “favorire il consolidamento strategico della base dell’industria nazionale navalmeccanica e cantieristica ad alta tecnologia”.
Il tutto si colloca in controtendenza all’interno di un piano di contenimento del bilancio statale in cui si sforbicia dappertutto.
La costruzione delle nuove navi da guerra è stata presentata come un’ancora di salvezza per l’ILVA di Taranto. Il 19 giugno 2013, infatti, il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi, nell’audizione alla Camera dei Deputati, ha dichiarato a proposito del piano di costruzione di nuove navi da guerra: “Vengo alla descrizione dei riflessi sull’industria. Innanzitutto, la cantieristica militare è il settore più redditizio per investire in quanto volano economico, industriale, culturale e sociale difficilmente uguagliabile. Coinvolge la più vasta gamma dei settori industriali, dal metalmeccanico siderurgico – il riferimento è facile, perché il 90 per cento dell’acciaio usato per le nostre navi proviene dall’ILVA – alla meccanica di precisione, all’elettronica, agli armamenti, alla robotica, ma anche agli arredi. Il campo di coinvolgimento, dunque, è amplissimo”.
Dopo le leggi Salva-Ilva arriva così il programma di piano militare Salva-Ilva, ben spiegato all’inizio di ottobre a La Spezia, quando l’ammiraglio De Giorgi aveva detto: “Basterebbe accendere tre mutui in tre anni, di 80, 120 e 140 milioni, per avviare un programma di costruzione di otto navi. Sono cifre alla portata del Governo, che permetterebbero anche di avviare un indotto importante e di dare una mano all’Ilva. Altrimenti, nel 2025 non saremo più una forza operativa”.
“Il piano dell’ammiraglio De Giorgi cerca alleati nell’industria”, annota il giornalista Gianluca Di Feo sull’Espresso. “Per il Paese, investire nella Marina in maniera più incisiva, significherebbe dare una forte spinta all’economia e all’occupazione, non solo alla sicurezza”, ha spiegato l’ammiraglio De Giorgi che aggiunge: “Pensiamo a un’eccellenza come Fincantieri e al fatto che nei suoi cantieri viene utilizzato per il 90% l’acciaio proveniente dall’Ilva, per capire cosa si può mettere in moto con una commessa. L’indotto è enorme, va dai sistemi d’arma agli arredi”.
L’ammiraglio garantisce che le navi che saranno costrui-te saranno innovative in quanto “un giorno potranno essere ospedali galleggianti in caso di calamità e il giorno successivo combattere una guerra ad alta intensità”.
Un giorno si salva una vita e il giorno dopo si fa la guerra, umanitaria s’intende.
Tutto ciò si colloca nello shopping militare che il governo Letta ha deciso di portare avanti, spiega Gianluca Di Feo sull’Espresso, con la scelta di “blindare” con due decreti legislativi “una spesa extra in nuovi sistemi militari per un totale di 975 milioni di euro: elicotteri, aerei, apparati elettronici per l’Esercito”.