POTERE DEI SEGNI

Una croce con le ali

La malattia non è il frutto dei nostri peccati. A noi è affidato il compito di credere che lo stare in croce sia solo una “collocazione provvisoria”.
Rosa Serrone

A Scicli una ragazza fa jogging sulla spiaggia su cui giacciono 13 corpi di naufraghi. Forse il dolore universale che i mass media raccontano rende insensibile al dolore del vicino? Tanti sono i samaritani, ma ci sono quelli che rifiutano di vedere e sapere per non soffrire. “Il dolore va ascoltato “ dice papa Francesco ad Assisi, perché nel sofferente c’è Cristo.
Don Tonino – il suo stemma: “una croce con le ali, una croce senza peso” – è attento al dolore degli altri: “Migliaia di volti spauriti a cui nessuno ha mai sorriso; membra sofferenti che nessuno ha accarezzato; lacrime mai asciugate; solitudini mai riempite; porte a cui nessuno mai ha bussato. E si potrebbe continuare all’infinito, in un interminabile rosario di sofferenze. È qui che Dio vive da clandestino. A noi il compito di cercarlo; di cominciare a bazzicare certi ambienti non troppo piacevoli, oltre la sacrestia; di lasciarci ferire dall’oppressione dei poveri, prima di cantare le nenie natalizie davanti al presepio”(A. Bello, Fiori tra le rocce, ed Insieme). Egli sa che ”il dolore, la morte, la malattia non sono stagioni permanenti della vita”, lo stare in croce è “collocazione provvisoria”. Quando prova il dolore morale e fisico, ne fa una cattedra. Nel febbraio 1993 don Tonino scrive agli ammalati riuniti in Cattedrale: “Se noi dovessimo lasciare la croce su cui siamo confitti (e non sconfitti), il mondo si scompenserebbe. È come se venisse a mancare l’ossigeno nell’aria, il sangue nelle vene, il sonno nella notte. La sofferenza tiene spiritualmente in piedi il mondo… Qualcuno potrebbe pensare questo e dire ‘Signore, cosa ho fatto io per meritare tutto questo?’, oppure, come dicono i nostri anziani, ‘tutti io te li ho messi i chiodi sulla fronte perché dessi a me tanto dolore?’. La malattia non è il frutto dei nostri peccati personali. Perché il Signore non dà la sofferenza e il dolore a seconda dei meriti e dei demeriti di una persona.” (Antonio Bello, Coraggio!, Lettera agli ammalati, ed. La Meridiana).
Durante la malattia, don Tonino moltiplica le sue energie, riceve in camera amici, fedeli e non, che cercano una parola buona, a tutti fa gli auguri, consegna un mandato, come i patriarchi. Nell’omelia della messa crismale dell’8 aprile 1993: “E poi la gente. Quando viene a trovarmi, in questi giorni della mia Pasqua, io rimango sempre più colpito dalle spalle. Come sono evocatrici di speranza le spalle degli ospiti quando prendono congedo da un ammalato e tu ti lasci prendere dall’invocazione: grazie Signore, perché al mondo hai messo questa gente. E ce n’è tanta, e sono i più!”. Sul dolore prevale la speranza! Scrive: “I dolori dell’agonia sono travagli di un parto imminente” . E l’affidamento a Maria, “esperta di quell’ora” allontana la paura della morte: “Piàntati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ora delle tenebre. Liberaci dallo sgomento del baratro. Pur nell’eclisse, donaci trasalimenti di speranza. Infondici nell’anima affaticata la dolcezza del sonno. Che la morte, comunque, ci trovi vivi!”(Maria, donna dell’ultima ora in Maria, donna dei nostri giorni, ed. Paoline). L’11 aprile 1993: “Vi benedico da un altare scomodo, ma carico di grazia. Vi benedico da un altare coperto di penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci. Sono le grazie, le luci, le voci dei mondi, dei cieli e delle terre nuove che, con la Risurrezione, irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovane.” (Antonio Bello, Ti voglio bene, Ed. Luce e vita).
Condividere il dolore “portando i pesi l’uno degli altri” crea solidarietà, moltiplica le risorse, dà sollievo, insegna a non procurare sofferenza. Sapremo condividere il dolore degli uomini, della Terra ed essere la loro “ala di riserva”?

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