Le strade del cambiamento
“Desidero incoraggiare gli sforzi che la società brasiliana sta facendo per integrare tutte le parti del suo corpo, anche le più sofferenti e bisognose, attraverso la lotta contro la fame e la miseria. Nessuno sforzo di ‘pacificazione’ sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa”. Le parole di papa Francesco riecheggiano sotto la pioggia battente, ben oltre la frontiera della “comunidade” di Varginha, la favela a Nord di Rio de Janeiro, fino a qualche mese fa una delle zone off limits di Rio de Janeiro, dominata solo dalla violenza e dalla droga. A farla da padrone il crack, la “pedra” come la chiamano qui, derivato della cocaina con l’aggiunta di sostanze chimiche, così presente nella regione da aver trasformato interi quartieri in vere e proprie “Nazioni del crack”. Poi, nell’ottobre del 2012, il primo intervento radicale. Varginha viene occupata da unità della cosiddetta “Policia pacificadora”, ovvero un corpo speciale creato per “bonificare” le zone più a rischio della Cidade Maravilhosa in vista della Coppa del Mondo e delle Olimpiadi.
Una storia simile a quella delle altre 760 favelas di Rio – dove vive oltre un milione di persone, il 22% dei 6 milioni.
Papa Francesco ha rotto gli schemi previsti dal protocollo quando ha incontrato otto ragazzi provenienti da quattro diversi istituti di pena. I giovani hanno portato al Papa un grande rosario con palline di polistirolo per ricordare il massacro di Candelaria esattamente 20 anni dopo. Morirono 60 meninos de rua, per mano della polizia e oggi su ognuna delle palle, che facevano da grani del rosario, c’era il nome di uno dei giovani uccisi. E il Papa ha pregato per loro. Nel 1993, più di 60 “meninos de rua” vivevano per le strade del centro e dormivano intorno alla Chiesa della Candelora, nel Centro di Rio de Janeiro. Nella notte del 23 luglio di quell’anno, otto di loro furono uccisi dai poliziotti. Undici anni dopo, quattro uomini della Polizia Militare sono stati condannati, uno di loro a 309 anni carcere.
A loro Francesco ha detto più volte: “Mai più violenza nella vostra vita, solo amore. Mai più Candelaria”. Un grido papale che riapre una ferita nella coscienza del Brasile.
Negli anni Novanta sono stati uccisi 6.033 bambini di strada nello Stato di Rio, e solo otto persone hanno subito condanne per questi omicidi. I killer spesso erano poliziotti assoldati dai negozianti, come spietati giustizieri, per “ripulire” i quartieri dai piccoli senzacasa che sopravvivono nella miseria più totale rubando, facendo l’elemosina e sniffando colla per lenire i crampi della fame.
Jacyara Silva Paiva, avvocata e teologa, ha denunciato questi “squadroni della morte” che continuano a perseguitare ancor oggi il Movimento Nazionales Meninos/as de Rua nello stato dello Spirito Santo: l’occasione è stata il seminario “IV Congresso Internazionale di pedagogia sociale“; mi ha invitato Roberto da Silva, pedagogista e docente dell’Università di de São Paulo (USP) molto sui generis.
Dopo essere stato abbandonato dai genitori a tre anni, è stato rinchiuso nella Fundação Estadual para o Bem-Estar do Menor (Febem), un centro di “riabilitazione” che Amnesty international ha denunciato per la violenta repressione da parte della polizia di Stato. Roberto si è messo a studiare criminologia ed educazione per adolescenti privati della libertà e ha organizzato una Campagna internazionale di pressione che ha portato alla chiusura di Febem.
Nella stessa Chiesa della Candelaria di Rio, il 19 luglio è stata celebrata una messa dove Patricia de Oliveira, militante del movimento afro e sorella di Wagner dos Santos, uno dei sopravissuti della Candelaria, ha denunciato che “ricordare significa reagire, la polizia non può continuare a godere dell’impunità”. Per esempio, l’Istituto di Sicurezza Pubblica dello Stato di Rio ha registrato 101 omicidi legati all’intervento della polizia a Rio, fino al mese di maggio di quest’anno.
Ricordo con emozione quella stessa piazza il 6 gennaio 2001: insieme a 134 adolescenti e giovani di tutta l’America Latina abbiamo celebrato il Giubileo rivoluzionario. “Il progetto si chiama Pachacutik che in quechua vuol dire cambiamento del mondo. Rimettere il debito. Sono venuti in Italia i ragazzi brasiliani ballando la capoeira per denunciare il debito sociale che provoca la problematica dei bambini di strada, poi siamo andati noi in Brasile e abbiamo presentato un documento finale nella piazza di Rio de Janeiro, alla Candelaria dove sono stati ammazzati otto ragazzini di strada, una piazza simbolo di questa mattanza” sottolinea il fondatore delle comunità di Capodarco, don Franco Monterubbianesi.
Il gigante si è svegliato
Tutto è cominciato a causa dell’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici a Sao Paulo nello scorso giugno: da 3,00 a 3,20 reali. Come dire: da 1,60 euro a 1,85 euro. E a capo delle manifestazioni che sono seguite non c’era alcuna grande organizzazione di massa – un partito, o un sindacato, come quello dei metallurgici di Sao Paulo che, negli anni Ottanta vide l’emergere del dirigente operaio Luiz Inácio Lula da Silva – ma un movimento fino a ieri semi-sconosciuto: ‘Passe Livre’ (biglietto gratis).
Nel 2005, al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, con la partecipazione di gruppi distribuiti in tutte le città, è stato fondato il Movimento Passe Livre (Mpl). Si trattava di piccoli nuclei che agivano sulla base di quattro principi: orizzontalità, autonomia, federalismo e a-partitismo, ma non anti-partitismo.
Il 20 giugno 2013 è una giornata storica con due milioni di manifestanti nei cortei in tutto il Brasile, da San Paolo a Rio, da Belo Horizonte a Porto Alegre. Quando la gente ha cominciato a invadere i grandi viali, tutto il Brasile sapeva che le grandi opere del Mundial fanno parte di una riforma urbana segregazionista architettata dal capitale finanziario.
Il vescovo emerito di Duque de Caxias, dom Mauro Morelli, espressione della Chiesa dei poveri storicamente potente nella Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), gioisce: “Sono felice di vedere i giovani in piazza. Aiuta le persone a maturare nell’esercizio della cittadinanza”.
A Dilma Rousseff – la prima donna presidente del Brasile – si rimproverano le spese faraoniche in vista dei Mondiali, a scapito della qualità dei servizi sanitari ed educativi, e la gigantesca corruzione, vero buco nero delle risorse statali. Il costo dei mondiali ammonta a 13 miliardi di dollari, quello per costruire stadi moderni a 3.500 milioni.
Il movimento Copa pra que (Il mondiale per chi?) accusa il governo di aver sfrattato migliaia di famiglie per far posto a parcheggi e nuove strutture che ospiteranno i tifosi di tutto il mondo.
João Pedro Stedile (Movimento Sem Terra) chiede “una riforma politica di grande respiro, che come minimo istituisca il finanziamento pubblico della stessa Campagna, il diritto alla revoca dei mandati e plebisciti popolari auto-convocati, ma anche l’approvazione del progetto di democratizzazione dei mezzi di comunicazione. Per farla finita con il monopolio della Globo e perchè il popolo e le sue organizzazioni popolari abbiano un ampio accesso alla comunicazione, possano creare i propri mezzi di comunicazione, con risorse pubbliche”.
La presidente della Repubblica Dilma Rousseff (che ha diffuso nel suo web istituzionale il mio articolo “O clamor da juventude marginalizada no Brasil na Jornada Mundial da Juventude“ pubblicato dall’agenzia Adital) ha risposto alle mobilitazioni proponendo varie iniziative: una consultazione popolare sulla riforma política, l’inserimento della corruzione tra i reati “odiosi”, l’investimento di 50 miliardi di reais (oltre 17 miliardi di euro) nel trasporto pubblico urbano, l’aumento delle risorse per l’istruzione, in particolare destinandovi le royalties petrolifere.
Davanti all’entusiasmo di 3 milioni di giovani nella spiaggia di Copacabana, papa Francesco ha concluso la Giornata Mondiale della Gioventù facendo appello alla mobilitazione delle nuove generazioni con “l’onda rivoluzionaria della fede”, insistendo che “nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo! Ognuno, secondo le proprie possibilità e responsabilità, sappia offrire il suo contributo per mettere fine a tante ingiustizie sociali”.