Il grido degli oppressi
In uno scenario di straordinaria accoglienza e di calore, quello del Centro di accoglienza e promozione culturale Ernesto Balducci di Zugliano, abbiamo incontrato, in esclusiva per i lettori e le lettrici di Mosaico di Pace, Leonardo Boff, grande teologo, tra i padri della Teologia della Liberazione. Gli abbiamo rivolto alcune domande, per abbozzare con lui un excursus degli ultimi anni della Chiesa e per accennare alle nuove possibili prospettive che si intravedono. Per una liberazione autentica, delle persone e dei popoli.
Papa Francesco è un latinoamericano, un Papa “nuovo” e vicino alla gente. Cosa ne pensa? Quali sogni ha lei nel cassetto? Quali urgenze per la Chiesa di oggi?
Io penso che papa Francesco, prima di fare la riforma della curia, abbia cominciato a lavorare per una riforma del papato, perché di solito, quando uno è eletto Papa, deve seguire un certo rituale tenendo conto di tutti i simboli storici. Deve assumere i simboli del potere (alcuni di questi simboli sono espressione del potere supremo legato alla figura del pontefice). Francesco ha lasciato cadere tutto ciò adattando il papato alle sue convinzioni e al suo stile. Il nome Francesco è un emblema perché è il nome di una Chiesa povera, di una umanità più semplice e aperta a tutti con una sensibilità speciale per la natura. Dunque, questo Papa si sta profilando davvero come una speranza per la Chiesa. Farà sicuramente una riforma della curia, ma prima deve operare una riforma del papato. Non sarà facile, ma lui è intelligente e ha scelto altri otto cardinali che, insieme e a lui, sono proiettati verso questo progetto di una vera riforma della Chiesa. Una riforma collegiale. E questa è un’altra novità di questo processo ed è forse più facile così che procedendo alla organizzazione strutturale con una commissione interna. Francesco, però, è anche una speranza per il mondo – e non solo per la Chiesa – perché i suoi discorsi sulla pace e sulla guerra gli conferiscono l’autorevolezza di un leader mondiale non autoritario, con un grande carisma e una capacità di comunicazione. Egli sa coniugare lo spirituale con il sociale, il mondiale con il locale. È una promessa e, nello stesso tempo, una benedizione divina.
Lo si è visto durante la giornata di digiuno e di preghiera da lui indetta per la pace in Siria. è stato un gesto che ha toccato il cuore delle persone e che dà speranza per il futuro. Le chiedo qualche parola in merito alla Teologia della Liberazione. Come e cosa è cambiato oggi e quali sono le priorità nel tempo attuale?
La Teologia della Liberazione (TdL) è nata ascoltando il grido dei poveri. I poveri, gli sfruttati, i dissidenti, gli indigeni, le donne sotto il patriarcato, i discriminati… Questi poveri gridano e si sentono oppressi. Contro l’oppressione è nata la Teologia della Liberazione. E per noi la liberazione è parte del messaggio cristiano, della tradizione profetica, della parola di Gesù. Marx non è mai stato il padre o il padrino della TdL e noi non lo abbiamo mai “sfruttato” in tal senso. Oggi non ci sono solo le persone che gridano, ma anche gli alberi, le piante, gli animali. La terra tutta grida. Quindi oggi bisogna considerare che, accanto all’opzione preferenziale per i poveri, che è il punto centrale su cui è nata e si è sviluppata la TdL, c’è il bene più ampio che è la difesa della terra. Adesso si sta elaborando una grande, forte eco-teologia della liberazione, che rappresenta il futuro di questo cammino di riflessione a partire dalla parola di Dio che sta dalla parte delle creature oppresse, gli uomini e l’ambiente naturale che ci circonda.
Come è arrivato all’elaborazione di una teologia che abbia a cuore il creato? Dai poveri e dalla lotta al capitalismo, come è approdato a questa sensibilità ecologica?
Come ho detto, la stessa logica di oppressione che sfrutta le persone, le classi, i Paesi, sfrutta anche la natura. Sfrutta la terra in un modo e in un tempo illimitati. Cosa vuol dire questo? È in corso un processo d’appropriazione indebita delle risorse della terra, di devastazione dell’equilibrio ecologico. È una logica “industrialista”, di estremo consumismo… Siamo arrivati al punto da sentire i limiti della terra. La terra ora ha bisogno di un anno e mezzo per ricomporre quanto gli abbiamo sottratto in un anno. Quindi, il sistema non è più sostenibile. La terra è ammalata. La forma con cui si manifesta questa malattia è il riscaldamento globale, gli eventi estremi naturali che colpiscono alcune zone del mondo, gli sbalzi climatici. Abbiamo capito che la Terra è essa stessa un’oppressa e che, in quanto tale, grida. E così abbiamo aperto il discorso della TdL anche alla natura e all’ecologia, includendo la sua tutela. Il pianeta Terra è l’unica casa comune che abbiamo.
La sua appartenenza ecclesiale è stata piuttosto controversa e faticosa. Ma lei è sempre stato fedele al Vangelo e al messaggio di liberazione dei poveri intrinseco nella parola e nella vita di Cristo. Come vive oggi questi “contrasti”?
Ho avuto alcuni problemi con il Vaticano e con la Congregazione della Fede. Alla radice c’era un mio libro dal titolo Chiesa, carisma e potere. Questo libro provava ad applicare i principi della TdL nei rapporti interni alla Chiesa. Si intuiva bene che la Chiesa non rispetta così bene i rapporti umani, non mette i laici tutti sullo stesso piano, non accetta la parità della donna. C’è una centralizzazione molto forte del potere e questo porta a una specie di autoritarismo. La Chiesa può parlare di forma credibile di liberazione nella società quando essa stessa si apre alla libertà dei rapporti… Così Roma non ha mai accettato questi discorsi e mi criticava dicendomi che questa impostazione è protestante. Io ho sempre detto che è un discorso analitico e cristiano. Mi hanno imposto il silenzio e, dopo alcuni anni, mi volevano imporre di allontanarmi dall’America Latina. Dovevo scegliere tra Corea e Filippine. Ho detto che lo avrei fatto. Sono un frate e ci sarei andato. Ma ho chiesto anche se lì avrei potuto insegnare teologia, scrivere e parlare liberamente. Mi hanno risposto di no, che avrei potuto solo esercitare il ministero e fare il missionario. Ho replicato che non avrei potuto rinunciare alla teologia perché studio e insegno da cinquant’anni. E così ho dovuto rinunciare al sacerdozio e a essere frate francescano. Però non ho lasciato la Chiesa, ma solo una funzione che ricoprivo prima: la funzione di prete. Ho continuato a lavorare come teologo e diversi vescovi mi hanno sempre accompagnato e sostenuto e continuo con la teologia che amo. Dopo tanti anni vedo i vantaggi dell’essere laico perché ho un approccio più aperto di tanti sacerdoti. Porto avanti ugualmente il Vangelo e il messaggio cristiano. Adesso mi occupo molto di etica, spiritualità e di ecologia.
Il prossimo anno si celebreranno i 40 anni dalla morte di Frei Tito Alencar da Lima, violentemente torturato durante la dittatura degli anni Settanta in Brasile. Ci può tracciare un suo profilo?
Frei Tito è stato un frate domenicano molto impegnato accanto ad altri domenicani, come frei Betto, che si opponevano fortemente alla dittatura militare. Avevano elaborato una strategia per salvare la vita dei perseguitati che sicuramente sarebbero stati torturati e uccisi. Li facevano fuggire dal sud del Brasile, attraverso l’Uruguay. Frei Tito era uno di questi: è stato imprigionato, terribilmente torturato.
Il torturatore gli diceva che lo avrebbe torturato in un modo così brutale e profondo che la sua persona, la sua immagine, gli sarebbe stata sempre “dentro”. Questo atteggiamento, questa pratica violenta si studia anche in psicologia. E il torturatore è riuscito nel suo intento. Così quando frei Tito era in Francia, dove è arrivato da esiliato, continuava a gridare contro i suoi torturatori. Finché non si è tolto la vita lasciando in eredità queste parole: “È meglio morire, piuttosto che perdere la dignità e la vita...”. è un martire vivo, vittima delle terribili strategie di tortura applicate in tanti Paesi latinoamericani fino a toccare l’estrema solitudine dell’essere umano. Fino a togliergli la libertà di vivere. Questa è la più grande atrocità che l’uomo abbia mai potuto mettere in piedi.