Lacrime e tenerezza
Ma Dio ricorda che la disperazione sarà colmata di tenerezza insperata.
Zeta come Zaccaria, il profeta ucciso tra il santuario e l’altare. Come Zayn, nome arabo che significa “bellissimo”. Bellissimo nella sua tragedia, quel piccolo rimasto abbracciato alla mamma in fondo al mare di Lampedusa, prima che spuntasse l’alba del 3 di ottobre u.s..
Due nomi con due storie diverse, e tuttavia accomunati oltre che da una tragica fine, da ciò che riguarda la loro memoria, sì la memoria delle vittime innocenti della storia. Del profeta Zaccaria la fine violenta non è documentariamente accertata e tuttavia la tradizione ebraica, ripresa da Gesù, la attribuisce a un atto di protervia da parte di Ioas, re di Gerusalemme (cf. 2 Cr 24,20-21), il quale fece trucidare il profeta Zaccaria accanto all’altare di quel Dio che il profeta aveva amato fino all’inverosimile, fino a essere odiato – come sovente accade ai profeti – per averlo anteposto alle lusinghe e ai patteggiamenti di corte.
Dio si ricorda
Zekariâh portava nel nome ciò che la lingua ebraica, nella sua concretezza, voleva esprimere sulla volontà di intervento da parte di Dio, sebbene con i propri tempi e le proprie modalità, a favore dei perseguitati, in forza della memoria delle ingiustizie commesse dagli uomini e soprattutto a motivo della misericordia sempre presente in Lui. Il termine significa infatti “Yhwh si è ricordato”. Potremmo dire: Dio si ricorda e tiene sempre a mente la sofferenza degli uomini, al punto che, parlando delle lacrime versate, in un vagare di una sofferenza senza fine e umanamente senza senso, il salmista dice “I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro?” (Sal 56, 9). Poco prima aveva affermato: “Nell’ora della paura io in te confido. In Dio, di cui lodo la parola, in Dio confido, non avrò timore: che cosa potrà farmi un essere di carne?” (Sal 56,4-5).
Dio ricorda di certo la sofferenza degli uomini, di ogni uomo e in particolare di quanti soffrono senza un motivo e nell’indifferenza degli altri. L’ha sempre davanti, perché ha sempre davanti il suo stesso Figlio, Sua immagine e Suo riflesso, contemplando in Lui ciò che sempre ha amato e ama della sua divina essenza. Quel Figlio è tutto il suo affetto e il suo pensiero e, giacché si è fatto uomo, si potrebbe anche chiamare “Memoria intrisa di infinita tenerezza”. È, infatti, il Cristo risuscitato e, suo tramite, siamo tutti davanti al Padre, con in prima fila gli innocenti trafitti sulla terra, perché Cristo porta ancora, sebbene ormai e per sempre gloriose, le ferite della nostra condizione umana.
Le ferite del mondo
Sono le ferite inflitte dai potenti della storia, nell’indifferenza del mondo.
Sono ferite mai cicatrizzate che, pur splendendo di luce, restano palpitanti, perché ancora vive e sanguinanti in tanti innocenti che soffrono e muoiono su questa terra e nei nostri mari. Nel nostro mare e i cui nomi sono riassunti qui in un nome solo: Zayn. Ora che egli ha avuto sepoltura, l’unica cosa dignitosa, insieme con quell’ultimo abbraccio alla sua mamma, in quel viaggio allucinante, non è stata seppellita, né lo sarà mai la sua memoria. Dio ricorda l’abisso di quel mare e quello ancora più profondo dell’indifferenza. Ma ha davanti soprattutto il suo volto accanto a quello della sua mamma, così come ricorda Zaccaria.
Dell’assassinio di questo profeta si narra che fosse rimasta sul pavimento del tempio una macchia di sangue vistosa e palpitante, che invano cercavano di rimuovere. Nonostante i sacrifici espiatori, offerti in riparazione del crimine commesso, il sangue restava lì, come a ribollire, più che di furore, a perenne memoria dell’ingiustizia commessa. L’autorità costituita non riusciva a fermarlo, nonostante l’esecuzione della pena di morte, dei suoi artefici. Ma quel sangue chiedeva solo memoria e non vendetta, tanto è vero che si placò per impedire che si proseguisse nelle esecuzioni di altri collusi. Infatti, nel momento in cui il comandante supremo, come parlando con Zaccaria, pose la domanda se dovesse continuare a ucciderne altri, il sangue si fermò e la macchia poté essere cancellata.
Si cancella una macchia, ma non certo la memoria ed è per questo che Gesù proclama che sarà chiesto conto “di tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa… ucciso tra il santuario e l’altare” (Mt 23,35).
Zaccaria e Zayn
La memoria è sempre da distinguere dal rancore e dalla vendetta, perché, se è vero che dobbiamo sempre perdonare, non è altrettanto vero che possiamo, né che dobbiamo dimenticare. Non si può dimenticare né l’ingiustizia, perché non sia giustificata e coperta dalla coltre dell’indifferenza, né il grido degli oppressi. Ciò che tradizionalmente “grida vendetta al cospetto di Dio” non richiede vendetta in quanto tale o ciò che noi consideriamo tale, ma richiede che non si continui a operare l’ingiustizia. Il torto subito è talmente grande che non tollera che se ne compia uno uguale o peggiore. Si tratta di un monito, ma non solo. Si tratta anche del valore che il sacrificio dell’innocente assume alla luce e in riferimento al sacrificio di Cristo, di cui, in collegamento con il primo sacrificio di un innocente, con il “giusto Abele”, è scritto: “Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora” (Eb 11,4). È la voce delle vittime della storia e siamo davanti all’eloquenza dei trafitti dall’ingiustizia umana. In quanto cristiani, il nostro unico e ultimo riferimento è il Trafitto per eccellenza: è Cristo e la stessa lettera ce lo ricorda: “[Voi vi siete accostati] a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele” (12,24).
Da Abele a Zaccaria, passando attraverso Cristo. La teologia della pace intravede qui le caratteristiche del giusto perseguitato e del profeta ucciso. Sono figure fondamentali per la fede e per la prassi dei credenti, perché, pur essendo personaggi osteggiati, rimangono come emblemi sempre vivi di una volontà divina che vuole guarire gli uomini dalla violenza, ponendo un argine ad essa. Per l’ingiustizia palese e carica d’eternità, che grida ancora verso la storia futura e pertanto verso i nuovi cieli e la nuova terra, Zaccaria e Zayn mandano un messaggio insopprimibile, affinché non sia più versato il sangue di alcun innocente. Mandano anche un messaggio non occultabile, perché nessun altro sia fatto morire su carcasse alla deriva che tentano di accostarsi alle coste dei Paesi del benessere. L’appello è chiaro, ma noi abbiamo orecchi e soprattutto cuore per sentire?