Quel difficile lavoro “fuori”
Nel mese di giugno abbiamo pubblicato un Dossier sul tema del carcere. Torniamo sull’argomento con questo contributo dedicato all’esecuzione penale esterna, alle opportunità e ai problemi connessi alle misure alternative alla detenzione.
Sono chiamati a gestire il “fuori”, l’esecuzione penale esterna, da un lato la Magistratura di Sorveglianza, che oltre alle funzioni attribuitegli dalla legge, è competente per le misure alternative alla detenzione; dall’altro il Centro di Servizio Sociale per Adulti (CSSA) a cui sono istituzionalmente demandati i compiti di aiuto e controllo, ma anche di vigilanza, assistenza, sostegno, counseling ai cittadini che scontano le pene non detentive. Alle misure alternative alla detenzione si accede dal carcere e soprattutto dallo stato di libertà, senza “passare” dall’intramurale (si tratta di circa tre quarti del totale).
Il CSSA, al pari dell’Istituto di pena, è un organo periferico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e dipende gerarchicamente e funzionalmente dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Svolge altresì attività di collaborazione e consulenza nelle attività di osservazione e trattamento delle pene detentive, si occupa di interventi sulla famiglia e di coloro che sono situati in area penale esterna, ex detenuti, ex condannati, condannati “in libertà”. Si tratta cioè di persone condannate in situazione di libertà che, a seguito di notifica dell’ordine di esecuzione di pena (non superiore ai tre anni, ovvero quattro anni per i tossico-alcoldipendenti) con contestuale decreto di sospensione, avanzano istanza di misura alternativa alla detenzione e permangono in stato di libertà fino alla decisione concessiva, o di rigetto, della stessa misura alternativa da parte del Tribunale di Sorveglianza: in tutto circa 22.000 cittadini.
Visibili e invisibili
È strano il nostro sistema penale: si ricorre sempre più massicciamente al carcere e l’alta percentuale di detenuti in attesa di giudizio è un chiaro indicatore dell’aspettativa carcere che la nostra società nutre. Ma paradossalmente, in area penale esterna, le persone con condanna definitiva – è il caso di una parte dei “liberi” condannati – attendono anche tre-quattro anni prima di essere sottoposte a esecuzione penale poiché la Magistratura di Sorveglianza, oberatissima, non può giudicare in tempi brevi attesa la mancanza di mezzi e risorse.
Quindi chi non è considerato ancora colpevole è visibile, affolla le carceri, creando all’interno motivi di emergenza e di sicurezza che assorbono notevoli risorse; chi invece ha ricevuto una condanna passata in giudicato è invisibile, deve attendere tempi lunghi per l’esecuzione della pena giacendo, nelle more della decisione del Tribunale di Sorveglianza, in area penale esterna e tutta l’emergenza e i motivi di sicurezza improvvisamente svaniscono: la pesante e problematica operatività viene consegnata alle ridottissime risorse della Magistratura e del CSSA.
Comunque “fuori” le cose non vanno proprio male: solo il 4,82% ha ricevuto una revoca della misura alternativa per andamento negativo; e lo 0,23% ha ricevuto la revoca per reati commessi durante la misura. I risultati incoraggianti dovrebbero fare riflettere a proposito dell’opportunità di adottare scelte diverse in area penale esterna. Il servizio CSSA è storicamente poco conosciuto, poiché in Italia la cultura della probation penitenziaria ha avuto attenzioni marginali rispetto alla sempre più forte cultura carcerocentrica. Ne è esempio il fatto che il CSSA non ha al suo interno una Equipe multiprofessionale e affida la pro pria operatività alla monoprofessionalità dell’Assistente Sociale: per un servizio penale che opera tra delicatissime istanze di aiuto e di controllo, tra integrazione sociale e difesa sociale, mi sembra limitante sperimentare l’inserimento dello psicologo per sedici ore mensili solo in alcuni Centri pilota.
Per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali, cioè il reinserimento sociale delle persone condannate e la tutela della collettività, il CSSA mette in atto strategie di intervento di rete con i servizi e le risorse presenti sul territorio e si avvale della collaborazione degli organi di controllo. Si perde di vista che nell’ultimo decennio il fenomeno dell’esecuzione penale esterna ha avuto uno sviluppo così rilevante da fare assumere a tale settore dimensioni assolutamente non previste; la legge Simeone ha ampliato il settore restituendo un quadro operativo sempre più complesso che richiede prestazioni professionali, da parte degli assistenti sociali, qualitativamente migliori onde facilitare i compiti della Magistratura di Sorveglianza. Infatti la situazione quantitativa del 2002, tra nuovi casi e casi seguiti, è pari a 45.224 cittadini sottoposti a esecuzione penale alternativa al carcere oltre a 2.013 sottoposti a misure di sicurezza e 898 in probation giudiziaria (sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata). Non a caso è stato istituita recentemente la direzione generale dell’esecuzione penale esterna.
Un universo sconosciuto
Affidati in prova al servizio sociale, affidati tossicodipendenti, affidati militari, detenuti domiciliari, detenuti domiciliari “speciali” (madri-padri che assistono e curano i figli di età non superiore ai dieci anni), soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria in misura alternativa, lavoranti all’esterno anche nell’ipotesi di assistenza ai figli di età non superiore ai dieci anni, semiliberi, liberi vigilati, semidetenuti, liberi controllati, rappresentano gli altri abitanti dell’universo dell’esecuzione penale esterna. L’esecuzione penale esterna, al di là dei meccanismi oggettivi previsti dalla normativa penitenziaria e dei requisiti giuridici, è il momento della maturazione, della responsabilizzazione, è il momento in cui bisogna fare i conti con una maggiore maturità, è quel segmento penale che celebra la flessibilità della pena, quella pena che si modifica in rapporto alla crescita dei livelli di responsabilizzazione del cittadino condannato, dei livelli di revisione critica. È anche il momento della “giustizia riparativa” che sta assumendo connotazioni importanti: l’illecito provoca uno strappo nel tessuto sociale, i percorsi di giustizia riparativa tendono a saldare questa frattura, con l’inserimento dei cittadini condannati nei progetti individualizzati di attività di utilità sociale, ad esempio presso strutture di privato sociale.
Il “fuori”, anch’esso denso di povertà, presenta la scarsa professionalizzazione delle persone condannate con la relativa difficoltà a reperire lavori regolari, la mancanza di riferimenti per nuovi stili di vita. Pensate cosa significhi, per chi esce di prigione, passare da un livello di “deresponsabilizzazione” quale è il vissuto di ozio, di inattività, di mancanza di spazi di socializzazione, oggettivazione del corpo, a un livello in cui bisogna mettere insieme troppe cose, la responsabilità familiare, quella genitoriale, quella lavorativa, osservativa delle regole del controllo… oppure immaginate i “liberi” condannati che hanno in qualche modo stabilito degli equilibri e che si ritrovano a interrompere i ritmi esistenziali e a ripensarli in relazione ai condizionamenti della pena che deve iniziare… insomma troppe cose importanti consegnate all’operatività e alla professionalità del singolo assistente sociale del CSSA, chiamato a ridefinire situazioni davvero complesse dagli elementi di socializzazione primaria alla ricerca di risorse in chiave più progettuale del singolo, del nucleo familiare. La difficoltà a prevedere nuove occasioni che permettono di costruire, di recuperare legalità e cittadinanza in contrapposizione al sempre incombente baratro; il “fuori” spesso sflilacciato da territori privi di assetti amministrativi-politici, toccati da problemi di infiltrazione mafiosa, dove tessere reti di normalizzazione rimane impresa problematica; il “fuori” delle politiche sociali sempre scarsamente attente ai problemi penali, restano elementi che caratterizzano il quadro problematico del “fuori”, di un lavoro difficile ad alta complessità.