IL MESSAGGIO

La cultura dell’incontro

Presupposto per la costruzione della pace è il dialogo, la relazione e il riconoscimento del valore dell’altro. In una parola, fratellanza.
Giovanni Giudici (Vescovo di Pavia e presidente nazionale di Pax Christi Italia)

“Fraternità, fondamento e via per la pace” è il tema della 47esima Giornata Mondiale della Pace che vivremo all’inizio del 2014. Si tratta della prima Giornata della Pace che ha il tema scelto da  papa Francesco. Questa coincidenza è un invito a rileggere il senso della parola “fraternità” mettendola in relazione con lo stile di incontro e con i gesti dell’attuale ‘vescovo di Roma’. Egli, infatti, ci sta abituando a vivere la sfida dell’incontro personale, del dialogo diretto, della semplificazione delle comunicazioni da persona a persona. E si può dire che “fraternità” si presta a questo percorso di concretezza.

L’incontro con l’altro

Come è di abitudine per la celebrazione della Giornata della Pace, viene proposto un tema su cui concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica, nella persuasione che dobbiamo noi tutti imparare a  mettere “in principio dell’anno”, quasi a dire “in cima ai nostri pensieri” il bene grande della pace. 

Come sappiamo, in particolare noi aderenti a Pax Christi, la pace va preparata con l’educare coscienze sensibili e vive con il concreto rispetto per i diritti, con il puntuale riscontro ai doveri di ciascuno.

Dunque, nell’anno 2014 siamo invitati a porre attenzione ad approfondire come la fraternità può recare un contributo alla costruzione della pace. Il presupposto è che l’esperienza dell’incontro con l’altro, in termini di un comportamento, di un dialogo, di uno sguardo da fratello, sia un richiamo per tutti, e abbia una risonanza mondiale.

Che cosa significa la tematica prescelta? Possiamo facilmente immaginare che, ponendo al centro la fraternità, il Papa voglia muoversi nella linea che gli è propria, e cioè intenda sottolineare quali atteggiamenti della persona verso l’altra persona, possono oggi superare ciò che egli usa chiamare la “cultura dello scarto”. Con questa forte espressione papa Francesco ha posto sotto il riflettore della coscienza sociale un atteggiamento così comune nel giudizio delle persone: il posto nella società, in termini di lavoro, di istruzione, di salute, ecc., una persona se lo deve meritare.

Vi è, come ovvio, un aspetto realistico e una spinta positiva in questo atteggiamento: occorre fare la propria parte per ridonare agli altri ciò che da loro abbiamo ricevuto, in termini di vita, salute, cultura. Ma, se il principio del meritarsi il posto tra gli altri è vissuto con spirito egoistico oppure con la rigidità di chi riconosce solo i propri criteri di giudizio, inizia l’emarginazione di alcuni. 

Quando trionfa l’idea che unicamente taluni stili di vita sono considerati utili oppure opportuni, l’opinione pubblica diventa cieca di fronte a coloro che non hanno le caratteristiche richieste, e si attuano comportamenti sociali e culturali crudelmente punitivi. Si ritorna alla legge della sopravvivenza dei più forti. Chi, dunque, non riesce a stare nella società efficiente e a misura dei dotati, dei ricchi, dei ben assestati, e quindi il povero, l’anziano, il malato, chi non ha lavoro, l’immigrato, non ha posto nel contesto della vita normale. Costoro vanno più o meno esplicitamente scartati.

Segni

Prestiamo attenzione a svariati momenti del nostro vivere sociale: dalle discussioni per la composizione delle classi scolastiche all’attribuzione della casa, dalla cura da prestare ai portatori di fragilità psichiche alla disponibilità a integrare chi ha costumi diversi dalla maggioranza. E addirittura questa cultura giunge a porre domande sull’arrivo nella famiglia umana della nuova creatura segnata da qualche disabilità.

Sta agli antipodi dell’atteggiamento dello “scartare le persone” la “cultura dell’incontro”. Varie sono le occasioni in cui ad esempio il Papa ha cambiato modo di interloquire con le persone; non più il pur comprensibile stile della chiamata ufficiale, della scelta previa degli interlocutori, ma la volontà di farsi vicino cercando l’incontro per il solo fatto che l’altro soffriva, o era solo. Ricordiamo in particolare che, durante la recente visita ad Assisi, ha cortesemente rifiutato il pranzo ufficiale, per partecipare alla tavola allestita dalla Caritas locale per i poveri. Gli “scartati” dall’ufficialità sono stati personalmente incontrati proprio perché fratelli.

Ci domandiamo, dunque, che cosa può facilitare il riflettere sul tema della fraternità e favorire una esperienza di essa. Torniamo a ciò che il vocabolo stesso suggerisce: il legame che si instaura per una consuetudine di vita, un confronto, un dialogo di fatti e di parole. Chiunque può riconoscere il significato e l’importanza del rapporto cresciuto nella stessa famiglia, o in circostanze di incontri amicali. Sappiamo tutti molto bene che la condivisione del tempo e delle situazioni apre a una conoscenza reciproca che ci rivela all’altro e da qui possono svilupparsi saldi legami emotivi.

La fraternità, fondata sull’esperienza personale, va comunque sempre approfondita e purificata, ritrovando le sue vere ragioni: i comuni sentimenti, la dignità dell’altro sperimentata perché lo si conosce, la inevitabile fragilità che in qualche misura si appoggia e chiede rispetto e simpatia. Chiunque vive l’incontro con l’altro, in famiglia, sul lavoro, in casuali incontri, si accorge che tra persone si instaura un’alleanza immediata e quasi istintiva, che tuttavia va curata ed educata, come ogni altra profonda esperienza umana. 

Ad esempio i cristiani illuminano l’esperienza della fraternità con il confronto con la Scrittura, nella quale risuona con grande chiarezza la volontà di Dio a proposito della creatura umana: un solo capostipite, un unico Salvatore che, descritto da Paolo apostolo come “nuovo Adamo”, ha costituito in un’unità indissolubile tutto il genere umano. Al punto che ogni uomo, ogni donna, soprattutto quando segnato da indigenza, povertà, qualsiasi tipo di sofferenza, è da riconoscere come Gesù di Nazareth, figlio di Maria e Figlio di Dio.

Ma l’attenzione alla fratellanza fa parte anche di ogni tradizione religiosa; quando è vissuta con autenticità, ogni ricerca di Dio ha la coscienza viva della garanzia che la Divinità offre ad ogni creatura umana. Da Dio ogni cosa ha origine.

La dignità di ciascuno

Per quanto riguarda il cammino della società, occorre attuare una preparazione attenta al fine di conoscere e sperimentare la fraternità. Ci sono pagine di abissale dimenticanza della dignità di ogni persona e di rispetto per i molteplici legami, di natura, di cultura, di esperienza religiosa. L’orrore del nazismo e del fascismo, la miopia ideologica delle élite comuniste, hanno purtroppo mostrato che un messaggio di odio, una condizione di ignoranza, il vile tornaconto personale o di gruppo, possono ingenerare comportamenti disumani, assolutamente contrari ai legami fraterni. E pensare che, come ci ricorda la storia, tutto è incominciato convincendo le persone che non tutti gli uomini e le donne hanno gli stessi diritti. Trascurabile particolare, in apparenza.

Dobbiamo, dunque, smontare ogni messaggio che induca a separare e contrapporre uomini e nazioni, dobbiamo fare esperienze di incontro e di confronto, superando la pigrizia della chiusura nel proprio gruppo, imparando a riconoscere la positiva originalità di ogni cultura, di ogni condizione di vita, di ogni persona. La diversità delle persone e dei gruppi, riconosciute, sono addirittura un appello che consente alle persone a maturare, e le attrezza a meglio comprendere e vivere la propria identità.

Quando la fraternità, che inizia attraverso il rapporto personale, tocca il livello dei legami sociali, ecco manifestarsi come capacità di condividere i beni della terra, considerare l’altro soggetto di diritti e di doveri quanti io stesso ne riconosco e porto su di me nella vita. È interessante anche riflettere sugli ostacoli a vivere una fraternità che rende responsabile della società tutta: lo sprecare i beni della terra è contro la fraternità; allo stesso modo è contro mio fratello ogni atteggiamento di indifferenza, ogni volgere via lo sguardo, ogni tacito consenso al pregiudizio, anche minimo, nei confronti dello straniero.

Un atteggiamento fraterno, e cioè il sentirsi parte di una sola famiglia, costituisce uno dei passi essenziali verso la pace. Occorre però esercitarsi nella fraternità, non solo parlarne, non solo indignarci per le scelte che si fanno contro questa o quella persona, contro gruppi e appartenenze. 

Prepariamoci a questa giornata della pace riflettendo su come la fraternità è vissuta da ciascuno di noi, nella concretezza della nostra vita, nella quotidianità dei nostri rapporti. E troviamo segni da porre per preparare e vivere la Giornata della Pace del 2014.

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