Rivestiamoci di sobrietà
un diverso e più solidale sistema di welfare: ecco alcune delle tessere necessarie per una società mondiale meno diseguale e più capace di futuro.
Il tema della fraternità allude a un’idea di pace complessa, perché non limitata all’assenza di conflitto violento (obiettivo sempre necessario e purtroppo tutt’altro che scontato), ma ci chiede un impegno diretto: nella nostra capacità di adottare uno stile di vita rispettoso del diritto di tutte le donne e uomini del pianeta di vivere una vita dignitosa e nell’incidere nei meccanismi economici politici e sociali che generano ingiustizia. Si tratta di una riflessione particolarmente attuale in un momento di crisi come quello corrente, che scuote l’intero pianeta ridefinendo le tradizionali geografie della ricchezza e della povertà. Si comprende oggi in modo sempre più incisivo che il problema della povertà non riguarda soltanto i Paesi poveri, o meglio impoveriti dalle dinamiche squilibrate presenti nel mondo; ma si impone ormai come fenomeno prepotentemente visibile nelle nostre stesse società ricche.
Povertà e disuguaglianza
Il problema della povertà è strettamente collegato al solco della disuguaglianza che si è approfondito durante questo tempo di crisi e rappresenta ormai il tema fondamentale con cui fare i conti anche nel dibattito internazionale sul sistema di obiettivi che dovrà sostituirsi agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio dopo il 2015. Sull’idea che società diseguali, in cui aumenta e si cristallizza la distanza tra le élites ricche e coloro che risiedono ai gradini più bassi della scala sociale, siano società meno felici e più vulnerabili esiste ormai un crescente consenso non solo valoriale, ma anche scientifico. Una risposta ispirata al valore della fraternità e della comune appartenenza alla famiglia umana, deve dunque essere rivolta a risolvere il problema di società inique, dove la concentrazione della ricchezza lascia ampie fasce della popolazione escluse dal godimento dei diritti più essenziali. La tentazione cui troppo spesso si cede, soprattutto nei momenti di stallo e recessione, è quella di rifugiarsi in risposte ‘di difesa’, come se nuovi muri e barriere potessero ancora garantire il mantenimento della distanza con quelle situazioni di esclusione che sembrano minacciarle: barconi reali e simbolici, che cercano di guadagnarsi, a rischio della vita, un posto con un viaggio verso un mondo solo apparentemente meno insicuro.
Lo spreco alimentare
Alla sempre maggiore vulnerabilità di crescenti quote della popolazione mondiale si contrappongono, infatti, i sintomi di una falsa abbondanza. Si verifica ad esempio, una sempre maggiore diffusione delle malattie legate all’obesità, paradossale simbolo del ‘troppo consumare’ e di fenomeni di spreco sempre meno tollerabili. Le stime più recenti indicano in 8.7 miliardi di euro, circa lo 0,5% del PIL, l’entità dello spreco alimentare domestico soltanto in Italia. Insieme a questi segnali di opulenza e disattenzione nei riguardi della finitezza delle risorse del pianeta cresce vertiginosamente il numero di coloro che sono costretti a comprimere i livelli di consumo anche di beni e di servizi essenziali, e anche nella nostra società “ricca”.
Questa situazione di complessivo squilibrio è dovuta più che a eventi esterni incontrollabili, a scelte politiche dannose e sconsiderate rispetto ai modelli di produzione, di commercio, di consumo. Secondo uno studio condotto da ricercatori del Politecnico di Milano, le eccedenze generate nella filiera agro-alimentare in Italia sono pari a 6 milioni di tonnellate, il 17% dei consumi alimentari annui, e di queste, solo una parte può essere recuperata e messa a disposizione di chi ne ha bisogno.
Ma come possono coesistere due elementi in così stridente contrasto? Si tratta di un problema di politiche, ma ancor più di mentalità e di modelli di sviluppo.
Il cibo, la base stessa della nostra sopravvivenza, viene considerato come una merce qualsiasi. La produzione di alimenti è invece una delle attività più strettamente collegate alla cultura, alla società, all’organizzazione del lavoro. Lo spreco di cibo è, dunque, il segnale di una cultura in cui si affievolisce la percezione dei legami tra i beni materiali e la società che ne fa uso, e con esso l’attenzione a criteri di rispetto dei diritti più elementari nella produzione e consumo. Una cultura per cui lo scarto non pone problemi se non di natura meramente tecnica, è pronta ad applicare gli stessi criteri alle persone: chi vede l’uomo proiettato in un mondo più giusto e più sostenibile sente con forza la responsabilità di reagire a tutto questo, testimoniando la possibilità di una società in grado di condividere e di accogliere, dove si sperimenta la convivialità delle differenze.
Quale impegno?
Incidere su tutto questo richiede un impegno a diversi livelli. In primo luogo l’adozione di stili di vita consapevoli e sostenibili, capaci di limitare i consumi in una dimensione di sobrietà, di una cultura del riuso e del riciclo. Non bisogna dimenticare inoltre che ogni volta che facciamo un acquisto prendiamo una decisione su come votare per la giustizia e per il bene comune. In secondo luogo, è necessario sviluppare una forte iniziativa di informazione e sensibilizzazione: cambiare la cultura dello spreco richiede una decisa inversione di rotta, possibile solo attraverso un percorso di consapevolezza diffuso e capillare. Sono gli stessi elementi che è necessario porre alle istituzioni pubbliche attraverso un dialogo informato ed esigente, cui troppo spesso ci si sottrae.
Queste sono le piste di impegno che Caritas intende proporre nei prossimi mesi con una Campagna nazionale promossa insieme alla FOCSIV e ad altri organismi del mondo ecclesiale italiano. Affermare il diritto al cibo giusto per tutti è la richiesta centrale della Campagna, che traduce nel nostro Paese il tema centrale della Campagna globale promossa da Caritas Internationalis: il cibo giusto è quello prodotto e scambiato in condizioni dignitose, disponibile e accessibile per chi ne ha bisogno. Il diritto a un cibo giusto per tutte le donne e gli uomini del pianeta implica una forte consapevolezza sui meccanismi che generano squilibri e distorsioni, e in primo luogo quelli generati da una finanza fuori controllo e ormai completamente disancorata dalle dinamiche dell’economia reale. Le fluttuazioni del prezzo delle derrate agricole alimentari sono in grado, con uno scostamento di piccola entità di condizionare i produttori e i mercati dei prodotti essenziali in vaste aree del pianeta. è per questo che il governo dei fenomeni finanziari globali è diventato uno degli elementi cui porre una particolare attenzione, tanto quanto le condizioni necessarie per una società sobria e accogliente.
L’idea di “crisi”, nel suo significato originario, è legata al concetto di “scelta”: un momento di tensione globale che può diventare però una opportunità per scegliere consapevolmente un nuovo modello di produzione e consumo, capace di promuovere concretamente la dignità di ogni uomo.
Paradossalmente nel nostro Paese la rete sussidiaria di distribuzione di beni alimentari ha rappresentato l’unica misura universalistica e capillare contro la povertà in tempo di crisi, capace di fornire una risposta – seppur parziale – nonostante un sistema di welfare abbondantemente insufficiente e i differenziali territoriali in ambito di protezione sociale. Le Caritas diocesane, le Società di San Vincenzo, insieme ad altri soggetti sociali e con il supporto dei diversi Banchi alimentari presenti sul territorio, animano ogni giorno una rete di sostegno alle famiglie, che è insieme aiuto concreto e intervento di coesione sociale: tutto questo vedrà fortemente ridotta la sua capacità di intervento a causa di una significativa modifica dei flussi finanziari previsti nella programmazione finanziaria dell’Unione Europea per il prossimo settennato.
Educazione a stili di vita sobri, lotta allo spreco, regolazione virtuosa dei mercati dei beni essenziali, un’idea sussidiaria e solidale dell’articolazione dei sistemi di welfare sono le tessere necessarie di un complesso ma più sostenibile mosaico di una società mondiale meno diseguale e più capace di futuro.