CHIESA

Tutto il popolo di Dio

È possibile una nuova idea di Chiesa? La pienezza biblica dello shalôm, la pace e la fraternità. Dalla Chiesa in poi.
Luigi Bettazzi (Presidente del Centro Studi Economico Sociali per la Pace – Pax Christi, vescovo emerito di Ivrea e già presidente internazionale di Pax Christi)

Per parlare della fraternità come via alla pace, dobbiamo innanzitutto prendere coscienza che la Chiesa è un popolo in cammino, e che quindi è chiamato a maturare la sua fede e il suo comportamento alla luce della Parola di Dio, che però deve illuminare e orientare un’umanità in costante evoluzione.

Così nel mondo ebraico la pace – shalôm – era la pienezza del benessere, materiale e spirituale che il popolo ebraico e ciascun ebreo dovevano ottenere con la vittoria sul nemico e anche col suo sterminio, perché così Jahvè poteva essere riconosciuto come il vero Dio (“Dio degli dêi e Signore dei signori”).

Gesù confermerà e renderà assoluto il comandamento “non uccidere”, eliminando l’idea stessa di nemico (“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico: Amate i vostri nemici”, Mt. 5,43-44). La Chiesa e ogni cristiano rifiuteranno allora il mestiere stesso del soldato, che ha come fine quello di sottomettere i nemici, anche uccidendoli. I tanti santi soldati sono soldati che, una volta convertiti al cristianesimo, disertavano dall’esercito e perciò venivano uccisi, o – qualcuno pensa – cristiani che militavano nell’esercito con il compito,allora congiunto, di polizia e che, chiamati al combattimento (anche perché questo era preceduto, come propiziazione, da un sacrificio agli dêi pagani o alla statua dell’imperatore divinizzato), si rifiutavano di continuare la loro presenza nell’esercito. S. Massimiliano era uno di questi e, per la sua chiara professione di un cristianesimo che gli proibiva di continuare a fare il soldato, venne ucciso ed è venerato come patrono degli obiettori di coscienza. La fraternità era vissuta all’interno della Chiesa (cfr. Atti 2,42-47; 4,32-35), ma – pur nel rispetto e nell’amore che si doveva ad ogni essere umano – non si spingeva a considerare tali, se non in modo generico, quanti erano “del mondo” (Gv 17, 13-18). 

Libertà religiosa

La libertà religiosa dichiarata dall’imperatore Costantino con l’Editto di Milano (313) e tanto più la decisione di Teodosio (382) di dichiarare il cristianesimo “religione di Stato” han capovolto la posizione: ciò che prima era proibito diventava obbligatorio, ciò che prima era esecrato poteva diventare “santo”, perché si trattava di difendere uno Stato che garantiva l’unica religione autorizzata. Di fronte ad abusi o a situazioni discutibili Agostino propone la valutazione della “guerra giusta” (per motivi seri, autorizzati dall’imperatore, con modalità controllate). La situazione di un Papa capo di uno Stato ha spesso creato confusione, quando si sono santificate le guerre indette dal Papa e dei suoi alleati e sconfessate le altre.

L’Umanesimo, iniziando lo svincolamento della cultura dalla religione, ha suggerito nuove riflessioni, emerse al tempo della Riforma protestante che, se ha sollecitato nuove guerre di religione tra le due parti del cristianesimo europeo, ha però sollecitato riflessioni pacifiste, come quella di Erasmo da Rotterdam con la visuale della guerra come follia o di Tommaso Moro con la sua “Utopia”.

L’Illuminismo, che affida al lume della ragione la base della cultura disgiunta dalla Rivelazione, avvierà un nuovo modo di valutare la storia e le sue prospettive, che, se ha una radice cristiana, intende rendersi autonoma dalla Rivelazione cristiana e dalle Chiese: gli ideali della Rivoluzione francese (come prima di quella americana) sono certo di ispirazione cristiana (libertà-uguaglianza- fraternità), ma furono promossi e attuati in contrapposizione, anche sanguinosa, alla Chiesa cattolica, attardata su visuali legate a un mondo fatto di privilegi e chiusure.

Credo che sia stata la prima Guerra mondiale a rivelare le contraddizioni delle guerre e la loro strumentalizzazione da parte dei domini politici ed economici, avviando quella globalizzazione che univa i soldati, di una parte e dell’altra, come vittime di una guerra non voluta da loro e di cui spesso non capivano il perché. E così poteva capitare (come capitò sull’Ortigata) che nel giorno di Natale si sospendessero i combattimenti e si celebrasse la Messa insieme dalle opposte trincee, per ricominciare la mattina dopo a uccidersi selvaggiamente. E si capisce perché papa Benedetto XV abbia definito “quella guerra un’inutile strage”.

Anche la seconda Guerra mondiale che, per garantire la libertà dei cittadini contro la dittatura razziale nazista, vide l’alleanza tra il mondo liberale e il mondo comunista, materialista e ateo, non poteva non porre problemi sulla natura della guerra e sulla sua legittimità etica e religiosa. Alcuni gruppi cristiani, come i Quaccheri, avevano già iniziato a contestare la guerra, così come aveva fatto il Mahatma Gandhi,che aveva guidato la sua India verso l’indipendenza con metodi nonviolenti. Fu a questo punto che papa Giovanni XXIII, resosi ispiratore, ai tempi della crisi di Cuba, di un accordo USA-URSS che evitasse la guerra, scrisse l’Enciclica Pacem in terris, ove, fra l’altro, si afferma che, viste le distruzioni provocate dalle armi moderne e le possibilità di dialogo, ritenere oggi che la guerra possa portare alla giustizia e alla pace è “alienum a ratione”, (fu tradotto “sembra quasi impossibile”, ma vuol dire ”è fuori dalla ragione”,”è una follia”). Quest’affermazione, che ha un carattere laico (fondato cioè su motivi puramente umani ), suggerì al Concilio Vaticano II di ripetere la condanna anche per motivi religiosi.

Il mondo

Nella discussione della Costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo”, la “Gaudium et spes”, v’era chi avrebbe voluto una condanna alla guerra dal punto di vista evangelico: d. Mazzolari ripeteva il “non uccidere”, ma in Concilio due cardinali se n’erano fatti promotori, Feltin di Parigi e Alfrink di Utrecht, che avrei poi conosciuto come il primo presidente internazionale di Pax Christi, e il suo successore. Motivi contingenti (tra l’altro i vescovi americani temevano che queste dichiarazioni scoraggiassero i soldati americani che in Vietnam stavano difendendo “la civiltà cristiana”), hanno portato a condannare comunque la “guerra totale” (quella che coinvolgeva anche le popolazioni civili e che allora veniva individuata come ABC,  cioè atomica, biologica, chimica), come “delitto contro Dio e contro la stessa umanità” tanto da portare il nostro teologo Chiavacci (mancato pochi mesi fa) a concludere che dunque un cristiano non potrebbe fare il soldato se non facendo obiezione di coscienza – almeno implicita – a questo tipo di guerra, come ormai sono tutte le guerre.

Paolo VI, nell’Enciclica che voleva proporre la Chiesa dei poveri (“Populorum progressio”, 1967), dirà che il nuovo nome della pace è “lo sviluppo dei popoli”, e che non vi sarà un vero cammino di pace finché alcuni popoli cercano un loro sviluppo personale a spese degli altri popoli, che sono la maggioranza dell’umanità! A vent’anni da questa Enciclica, Giovanni Paolo II riprendeva il tema nell’Enciclica “Sollecitudo rei socialis” (1987), dichiarando praticamente che il nuovo nome della pace è la solidarietà. Dopo altri vent’anni, nell’Enciclica “Caritas in veritate” Benedetto XVI avanzava, sia pur timidamente, l’ipotesi della nonviolenza attiva come unica strada per una vera pace mondiale,indicando anche che, come autorità superiori ed efficaci hanno reso impossibili le guerre di un tempo tra le singole città, poi tra le nazioni di uno stesso continente, così una vera autorità mondiale, con poteri autentici e strumenti efficaci, anche sul piano economico, può portare a sperare in un mondo di pace. In un mondo dove alligna la potenza, l’unico esercito ammissibile dovrebbe essere un esercito dell’ONU con compito di polizia mondiale.

Il cammino della pace

Il cammino della pace consegue una presa di coscienza sempre più viva e attenta dei veri motivi che portano alle guerre e della loro “follia”.   

Le religioni hanno, insieme al compito fondamentale di presentare Dio come creatore e padre di tutte le creature, quello di sottolineare la comune origine di tutti gli esseri umani e quindi la loro fraternità. Fu l’intuizione del Beato Giovanni Paolo II di convocare nel 1986 – ad Assisi – nonostante le resistenze di molti suoi collaboratori – i rappresentanti delle religioni mondiali, invitandoli al mattino a pregare il loro Dio (Jahvè, Allah, Visnù, SS. Trinità e Gesù Cristo), e al pomeriggio di riflettere che, sotto i vari nomi, v’è un unico Dio da cui tutti dipendiamo, e che quindi, per questa fraternità, non possiamo farci guerra in nome di Dio.

Il Concilio Vaticano II ha ufficialmente rotto le chiusure a cui ci eravamo abituati e ci ha aperto a una fraternità cristiana fra le tante Chiese e comunità, a una fraternità religiosa fra tutti gli uomini che credono in Dio, e a una fraternità umana con tutti gli uomini di buona volontà, come ha fatto – dopo la Pacem in terris di Giovanni XXIII – la Costituzione pastorale della Chiesa nel mondo contemporaneo, la “Gaudium et spes”. La fraternità, che va alimentata nel popolo di Dio, va aperta a tutti i cristiani, a tutti i credenti in Dio, a tutti gli uomini di buona volontà, come ha fatto Benedetto XVI ad Assisi nell’ottobre del 2011 quando, dopo alcune testimonianze di religioni diverse, ha fatto parlare dei “non credenti” (uno alla mattina a S. Maria degli Angeli, una al pomeriggio nella Piazza di S. Francesco). Quest’idea aperta di Chiesa, non luogo chiuso di salvezza ma lievito di accoglienza dell’amore di Dio e di fraternità fra gli uomini, può trasformare il cuore delle persone e dei popoli e renderli convinti ed efficaci operatori di pace.

La Chiesa peraltro potrà essere fermento di fraternità, di solidarietà, di pace nella misura in cui è fraterna all’interno, fraterna fra le varie sensibilità e orientamenti anche sul piano sociale e politico, vivendoli non come motivo di scontro e di ostilità, bensì come occasione di verifica delle proprie posizioni in vista del bene comune a cui mirare e per cui operare. E tale fraternità va vissuta in primo luogo tra gerarchia e laicato, perché quella sappia tener conto delle istanze e delle sollecitazioni che il laicato può presentare e questo sappia accogliere le valutazioni e gli orientamenti che la gerarchia può aiutare a ritrovare nella Parola di Dio. È così che una Chiesa sempre più nuova può assolvere sempre meglio il suo compito di essere promotrice di pace nel mondo. 

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