Senza ricchezza né potere.
21 marzo 2004 - Quarta domenica di quaresima
Carissimi,
leggendo la pagina evangelica che ci ripropone la meditazione del testo di Luca 15,11-32 sento il bisogno di scrivervi alcune riflessioni che ci accompagnino in questo ultimo tratto della Quaresima, nella Settimana Santa e finalmente alla luce della Pasqua.
La pericope fa parte di una trilogia di parabole che possiamo definire il vangelo nel vangelo. Esse ci danno il vero senso del mistero di riconciliazione che Cristo è venuto a portare a compimento, inviato da Dio per mostrare a tutti il vero volto del Padre. Ma mentre la parabola della pecora smarrita e della dramma perduta si concludono con l’invito alla festa, alla gioia e abbiamo ragione di credere che quella festa fosse il vero desiderio del pastore, che ritrova la sua pecora, e della donna che ritrova la sua dramma, dobbiamo ritenere che la gioia del Padre, che aveva iniziato un bel banchetto per aver ritrovato il figlio perduto, non trova la piena realizzazione, visto l’atteggiamento irato e per niente misericordioso di quel fratello maggiore che non ha il cuore libero all’accoglienza.
È questa una parabola aperta. Non sappiamo se quel figlio è entrato o meno a quel banchetto, se ha dato il suo perdono, se si è pentito di quel momento o di tanti anni di indurimento verso il fratello minore, o se il figlio minore ha avuto anche lui la saggezza di uscire dietro al padre e mostrare il suo pentimento e il suo desiderio, oltre che di ritrovarsi nelle condizioni di figlio, anche in quella di fratello bisognoso di aiuto e di perdono.
È in definitiva la parabola che ci chiede di coniugare la logica della riconciliazione, del perdono, della pace e dell’agape. Quella logica che appartiene al padre buono e che Gesù, il Cristo, è venuto a mostrare, camminando sulle strade del mondo e arrivando, seguendo la logica del perdono e della condivisione degli ultimi della storia, alla follia della Croce.
Il mondo ha ancora bisogno di questa riconciliazione e di questo perdono e la parabola è ancora da concludere. Ha bisogno di perdono chi sta scatenando ogni giorno di più la logica della risoluzione dei problemi attraverso l’uso delle armi, della violenza, della guerra, saltando le logiche di un negoziato a oltranza, di una forza del diritto internazionale che va riaffermata fino ad arrivare a conoscere la strada dell’accoglienza e del perdono reciproco.
Ha bisogno di riconciliazione chi va seminando morte attraverso efferati attentati sempre deplorevoli e da condannare.
Ne hanno bisogno i nostri Paesi terremotati, dove occorre avere l’audacia di affermare la logica della rettitudine, della giustizia, quella vera, senza sconti e senza compromessi, per non consentire di risolvere i problemi in modo individuale e violento.
Forte è la tentazione di chiudersi in un dolore che non trova sollievo; della pretesa come il figlio prodigo, di sparire il patrimonio che spetta e scappare via per sperperare tutto, senza condivisioni e senza vincoli di appartenenza.
Abbiamo bisogno tutti di perdono e di riconciliazione per non trasformarci da padri in padroni e da educatori e servitori in profittatori.
Si: il perdono; è questa la logica del Padre buono che sempre dobbiamo proclamare e vivere con pazienza, con la forza dei miti che sono coscienti di ereditare la terra.
Ma che cosa abbiamo nelle nostre mani per poter affermare questo Vangelo che ci brucia dentro? Nulla.
Non abbiamo potere e non lo vogliamo. Non abbiamo ricchezza e quello che ci è dato lo vogliamo condividere. Abbiamo solo la forza della preghiera e dell’intercessione, la forza dei deboli e dei nonviolenti, la forza e la speranza di quel padre che attendeva il ritorno del figlio, il coraggio di quel padre che non esita ad andare incontro, con il sorriso della paternità, verso chi è adirato e non sa perdonare, non comprendendo il proprio peccato e conoscendo solo la propria arroganza di credersi figlio senza alcuna colpa, cui spettano le ricompense dovute.
L’anno scorso alcuni claustrali chiesero al Papa di andare nei luoghi dove maggiormente infiammava la guerra, per porsi tra i contendenti, armate solo delle armi della preghiera e della intercessione, perché gli uomini capissero che solo questa poteva dare la vera pace a tutti loro.
Il Papa benedisse quella iniziativa, ma non aveva il potere di mandare quelle anime in quei luoghi di dolore e di more.
Da quel giorno un grande monastero invisibile ha intensificato quella preghiera di intercessione e di supplica, che oggi bisogna rilanciare con coraggio e bisogna allargare, perché il padre buono abbia ancora pietà di tutti noi, povera umanità; perché noi uomini di questo mondo litigioso e prepotente ci riconosciamo tutti fratelli bisognosi dell’unico perdono del Padre.
In questo ultimo scorcio di quaresima intensifichiamo allora la nostra preghiera e il nostro digiuno con questa intenzione, sapendo che tanti altri lo stanno facendo con noi perché quella parabola possa veramente chiudersi, non con il rifiuto del banchetto comune, ma con la condivisione della festa che il padre buono ha preparato per tutta l’umanità.
Per questo pregheremo e digiuneremo particolarmente nel giorno del Venerdì Santo giorno in cui faremo memoria del Cristo “fratello minore” messo a morte dal “ fratello maggiore” ma che dalla croce è stato capace in nome del Padre di donare il perdono e la pace.
La luce della Pasqua brilli nel cuore di ogni uomo.
Mons. Tommaso Valentinetti
Presidente Pax Christi Italia