Giuramento di Lampedusa
A chi devi dire grazie
fratello sputato dal mare
con la pancia gonfia e le mani viola?
Le tue labbra mangiate
dal sale chi devono nominare?
Per fartele muovere
e soffiare dalla gola di sabbia
i nomi che tutti sanno a memoria
te le aprirebbe a forza, pazzo,
il soccorritore dagli zigomi rossi che
ti copre con il telo di plastica.
Un nome a ciascuno dei tuoi
denti scoperti, nel tuo ultimo
sciagurato sorriso.
Dal primo che a Bari ti rinchiuse
allo stadio per poi lanciarti
dall’elicottero pane e formaggio, come al canile
si fa con gli esausti bastardi
dentro le gabbie.
A quelli che nel giorno stesso,
nel giorno stesso,
dell’esecuzione del figlio
che dicono di pregare
lasciarono Cristo per la Sibilla
e diedero l’ordine di speronare.
Ai venerati maestri custodi delle istituzioni
- parola che usano per riferirsi
al loro castello dai grandi bastioni –
chiari professori, dottori sottilissimi
professionisti del dolore
dotti illuministi barbuti
donne dal mento forte, vegliardi aristocratici
anime belle sempre in marcia
commossi vessilliferi della bandiera di pace
o semplici cialtroni
che hanno inventato e giustificato
e recintato e visitato
e poi nobilmente criticato
i Centri per le Identificazioni.
Mio fratello sotto il telone
ho paura che questa rabbia
che non so controllare
qui sul molo davanti a tutti
mi faccia vomitare.
Che io sia maledetto che li ho lasciati fare.
Tardi mi metto carponi
davanti a te, sul tuo letto di cemento
dove il vento non smette mai di soffiare
in questo grottesco giorno
di lutto nazionale e ti bacio
i piedi gelidi e disfatti e ti prometto
ora qui davanti al ministro dell’interno
al presidente del senato della camera
della repubblica della sampdoria
della lega delle cooperative
dell’unione industriali
della rai dell’unione camere penali
di tutte le bocciofile locali
che le mie uniche istituzioni
la mia legge, il mio esclusivo rispetto
la sola obbedienza
che sono disposto a dare
sono i tuoi piedi
che non hanno saputo nuotare.