AMERICA LATINA

Se la Bolivia alza la testa

Dopo la “guerra del gas” quali prospettive per il più povero Paese sudamericano?
Intervista di Anna Castagna

“Bolivia de pié, nunca de rodillas...” (Bolivia in piedi, mai in ginocchio).
(c) Anna Castagna/Archivio Mosaico di pace Questo è uno degli slogan gridati durante le manifestazioni popolari di ottobre in Bolivia che hanno portato alla destituzione del presidente neoliberale Gonzalo Sánchez de Lozada. È stata chiamata “guerra del gas”: un mese di scontri sociali in tutto il Paese, in cui si sono registrati 77 morti e più di 400 feriti per arma da fuoco. Davanti all’ennesimo trattato in cui il Governo si è impegnato a vendere una risorsa locale (il gas) a Stati Uniti e Messico, la popolazione è insorta. Ce lo racconta Riccardo Giavarini, responsabile in Bolivia per il MLAL (Movimento Laici per l’America Latina), da 25 anni nella capitale, La Paz, al fianco di indigeni, contadini, gruppi sociali deboli e impegnati per la difesa dei propri diritti.

Qualè stata la dinamica dei fatti accaduti nel Paese durante il mese di ottobre?
La “guerra del gas” non è nata dalla notte alla mattina, ma dietro un intenso processo organizzativo che ha portato alla partecipazione di uomini e donne di differenti estrazioni sociali, dalla campagna alla città. La mobilitazione è stata convocata dal “Coordinamento Nazionale di Recupero e Difesa del Gas” e sostenuta dai settori più poveri, quelli che non sono presi in considerazione dalle

ALCA
Il progetto ALCA – Accordo di libero commercio delle Americhe – è stato lanciato dai 34 Presidenti del continente americano (esclusa Cuba) a Miami nel 1994, al fine di formare la zona di libero commercio più grande del mondo (800 milioni di abitanti). In base a questo accordo le imprese possono competere nel settore dei servizi statali, dalla salute all’acqua all’educazione, dall’assistenza sociale alla protezione ambientale, e acquisiscono il diritto di citare in tribunale i governi che dovessero emettere leggi – ambientali, lavorali ecc. – restrittive dei loro guadagni. In tutta l’America Latina sono state lanciate campagne di lotta contro l’ALCA a nome dei popoli indigeni e delle numerose fasce sociali che saranno duramente colpite in caso di approvazione finale dell’accordo da parte dei governi.
politiche governative. La parola “coordinamento” preoccupa subito governanti e alleati, e immediatamente mobilita gli effetti della repressione, spaventa trasnazionali e loro imprenditori, scomoda i giornalisti dei mezzi di comunicazione commerciali.
Il 19 settembre in tutto il territorio nazionale si stima che più di mezzo milione di abitanti si siano alzati in protesta. Ma il governo ha parlato di appena 1% della popolazione. Alcuni giorni prima, i principali dirigenti aymara dell’altopiano di La Paz avevano dichiarato lo sciopero della fame per richiamare l’attenzione del Governo. E davanti alla manifestazione pacifica della popolazione, il governo ha risposto con la violenza, imponendo uno stato di terrore, con persecuzioni, detenzioni e uccisioni. Quasi la totalità del territorio boliviano si è paralizzato, ma la popolazione non si è fatta intimidire, e rischiando tutto è scesa per le strade, per i ponti, per le vie della città, per ripudiare la politica governativa di svendita agli Stati Uniti.

Episodi di rabbia che nascevano da un malcontento molto ampio?
La questione del gas è stata il fattore detonatore di una situazione già molto tesa e precaria, un malcontento generale che affonda le radici in un altro problema che non è affatto secondario, e cioè: la lotta contro la produzione di coca, spinta dagli Stati Uniti, che ha portato alla militarizzazione del Paese. In Bolivia si consuma cocaina però in quantità minime, e soprattutto le fasi di trattamento della foglia non sono nelle mani dei contadini, ci sono altre reti con forti connivenze governative e straniere.
Gli Stati Uniti detengono la più alta domanda di cocaina, e da molti anni stanno portando avanti nell’area andina, Colombia in primis, un piano di eliminazione chiamato “coca 0”, promovendo varie strategie per impedire la produzione della foglia “sagrada” – come la chiamano i campesinos e i produttori, dal momento che ha anche una funzione rituale. L’ultima di queste strategie è lo sradicamento della pianta da parte dei militari stessi. Stati Uniti e anche Europa hanno spinto affinché questo programma si chiamasse “sviluppo alternativo”, che è stato un sonoro fracasso da tanti punti di vista: sono stati fatti piani di investimenti in ambito agroindustriale senza affatto considerarne la sostenibilità, la fattibilità e soprattutto senza dare risposte concrete al tema della commercializzazione dei prodotti, generando quindi ancora più disagio e povertà.

Ma in Bolivia si è anche combattuta una “guerra dell’acqua”…
Sì, nel 2000, e attraverso il Coordinamento per l’Acqua e la Vita si è riusciti a espellere dal Paese una transnazionale come la Bechtel-Aguas del Tunari e rifiutare la privatizzazione della risorsa naturale, che aveva portato le bollette mensili a un 20% del salario medio boliviano. Ma poi si è passati alla “guerra della coca” nel 2002 e alle giornate del febbraio 2003, la cosiddetta “guerra delle tasse”, quando ci sono stati tanti morti e feriti. Tutto si inserisce in un quadro di liberalizzazione dell’economia del Paese attraverso privatizzazioni e accordi con trasnazionali, cosa che riguarda tutto il continente, e che non sfugge ormai a nessuno: alla protesta per il gas di questi giorni si sono sommate altre proteste importanti, tra cui molto forte il rifiuto di aderire all’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA).
Le organizzazioni popolari hanno reiterato che prima di esportare gas occorre beneficiarne il Paese, con prodotti come fertilizzanti, plastica, ferro e anche

Un paese in cifre
La Bolivia ha una popolazione di 7.539.000 abitanti (dati ‘97) distribuita su un territorio che è poco più di un milione di Kmq. La Banca Mondiale stima che la percentuale di popolazione in stato di povertà sia il 97%.
Oltre il 50% della popolazione parla lingue native.
Popolazione indigena: 57%, per un totale di 33 etnie.
Il 63% della popolazione ha accesso all’acqua potabile.
La spesa per la difesa copre l’8,2% del PIL.
La deforestazione distrugge l’1,1% dei boschi l’anno.
Il debito estero ammonta a 681 dollari pro capite.
I principali partiti politici sono: ADN, Azione Democratica Nazionale, MNR, Movimento Nazionalista Rivoluzionario, MIR, Movimento della sinistra rivoluzionaria, MAS, Movimento verso il socialismo.
Principale organizzazione sindacale: COB, Confederazione operaia.

(Guida del mondo visto dal Sud 1999-2000, ed. EMI).
l’installazione di impianti termoelettrici. In Bolivia esistono riserve di gas naturale sufficienti per il futuro e che rendono questo Paese la terza potenza gasifera a livello latinoamericano. Nei trattati di liberalizzazione sono previste privatizzazioni in questo e altri settori, come per la biodiversità, di cui la Bolivia ha un patrimonio inestimabile.

Qual è stata la posizione della Chiesa locale durante gli scontri?
Riguardo alla Chiesa, quella ufficiale, posso dire che ci sono stati tanti silenzi, che hanno avuto un sapo re di complicità, non di immediato soccorso per accudire il samaritano teso sulla strada, ferito a morte. I comunicati pubblici hanno invitato alla moderazione da entrambe le parti senza prendere una posizione ferma e dura contro chi stava schiacciando il popolo. Solo alcuni settori della Chiesa, quelli più vicini alla gente, si sono pronunciati esplicitamente e hanno cominciato a far pressione accanto ai manifestanti attraverso scioperi della fame in varie parrocchie, con buona partecipazione di parroci e laici molto impegnati, e questo ha inciso molto nella presa di coscienza, da parte di tanti, che il massacro del popolo non poteva durare né permettersi.

Che aria si respira ora a La Paz?
Con la fuga dell’ex presidente, ora al governo c’è Carlos de Mesa Quisbert, un intellettuale, dalla coscienza apparentemente pulita e con una visione chiara di quello che vuole fare. Ci promette una consulta popolare sulla questione del gas, arrivando a una maggiore partecipazione delle società civile nella questione pubblica. Ma i contadini e i minatori sono ancora molto cauti, esigono senza mezzi termini che il nuovo governo sia coerente con i suoi discorsi. E intanto c’è un ripiegamento sulle ferite ancora aperte dei feriti, dei familiari dei morti che vogliono giustizia ma anche appoggio da parte dello Stato. La voglia di pace é esigenza di tutti. In Bolivia si sente sempre più forte il dovere di difendere la propria dignità, alzare la testa, guardare in prospettiva e imparare dalla storia, convinti che sotto le ceneri di cui ci ricoprono ci sono braci accese pronte a generare fuoco.

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