ARMI

Nucleare, l’incubo non è finito

Trattati internazionali messi da parte. Sempre più Paesi con l’atomica.
E cresce il rischio di catastrofi o guerre per errore.
Angelo Baracca

Durante la Guerra Fredda gli arsenali nucleari di Washington e di Mosca avevano raggiunto una consistenza assolutamente folle (circa 57.000 le sole testate strategiche). Negli anni ’90 i Trattati START (Strategic Arms Reduction Treaty) hanno effettivamente portato a una drastica riduzione numerica (attualmente dovrebbero essere meno di 5.000 per parte: e le testate rimosse vengono distrutte, il che crea però gravi problemi di enormi depositi di “esplosivo” nucleare militare, plutonio e uranio altamente arricchito). Tuttavia dalla metà degli anni ’90, quando venne firmato il trattato CTBT di messa al bando totale dei test nucleari (che poi Washington non ha ratificato) gli USA

Cronologia di un incubo
1945 – 16 luglio: prima esplosione nucleare statunitense
6 e 9 agosto: Hiroshima e Nagasaki
1949 – Prima esplosione nucleare russa
1952 – Prima esplosione nucleare britannica
1960 – Prima esplosione nucleare francese (israeliana)
1963 – PTBT, Trattato parziale per la messa al bando dei test nell’atmosfera
1964 – Prima esplosione nucleare cinese
1970 – Entra in vigore il TNP (conferenze di revisione ogni 5 anni)
1974 – Prima esplosione nucleare indiana
1987 – Trattato INF per l’eliminazione delle testate a medio raggio (tattiche)
1989 – Moratoria dei test nucleari
1991 – Trattato START1 per la riduzione delle armi strategiche
1993 – Trattato START2
1995 – Test nucleari della Francia nel Pacifico
1996 – Firma Trattato CTBT, per la messa al bando totale dei test nucleari
1998 – Test nucleari di India e Pakistan
1999 – Washington boccia la ratifica del CTBT
2002 – Nuclear Posture Review, prevede un “attacco preventivo”.

Numero dei test nucleari fino al 1993:
Usa, 942; Urss, 715; Regno Unito, 44; Francia, 210; Cina, 40.
hanno intrapreso colossali programmi per la simulazione dei test e la progettazione di nuove testate e stanno rinnovando radicalmente il proprio arsenale (ne abbiamo parlato su Mosaico di Pace di marzo 2003). Le condizioni economiche della Russia non le consentono certo di fare altrettanto, e Mosca non potrà mantenere più di 1.000 – 1.500 testate efficienti. La Cina sta sicuramente effettuando un grande sforzo per rinnovare il proprio potenziale nucleare e missilistico (l’aereo spia americano intercettato nel 2001 doveva in realtà spiare un test nucleare cinese, che poi probabilmente è avvenuto).
Il numero complessivo delle testate attualmente esistenti sul pianeta dovrebbe dunque aggirarsi sulle dieci-dodicimila. Il Trattato START2 doveva ridurre il numero di testate a 3.000 – 3.500 per parte nel 2007: sempre un numero esagerato. Il guaio è che dopo l’uscita unilaterale di Washington dal trattato ABM Mosca almeno dichiarò di rescindere il trattato START. Il nuovo trattato sottoscritto da Bush Jr. e Putin nel 2002 non sembra avere migliorato le cose, poiché dovrebbe ridurre il numero di testate a 1.700 – 2.200 per parte, ma non prevede la distruzione delle testate rimosse: si calcola che gli USA disporrebbero alla fine del processo di un totale di 4.600 testate, dispiegate o rimosse (oltre a un numero imprecisato di testate tattiche).

Le armi degli altri
L’arsenale di Israele non è mai stato riconosciuto ufficialmente: il tecnico Vanunu, che ne aveva rivelato l’esistenza, fu rapito a Roma dal Mossad (senza che la magistratura italiana abbia aperto un’inchiesta) ed è in carcere in totale isolamento. Si parla di un numero di testate tra 200 e 400. Sicuramente Israele possiede le testate più moderne. Possiede una forte capacità missilistica, e ha acquistato dalla Germania tre sommergibili convenzionali, che sono stati dotati di missili con capacità nucleare. Costituisce il maggior fattore destabilizzante in Medio Oriente, come è dimostrato dall’adozione della “Guerra Preventiva” da parte di Sharon. Quanto all’arsenale francese, dovrebbe contenere più di 500 testate. La Francia è il Paese dove si è sviluppato il più grande sistema integrato di nucleare “civile” e “militare” controllato dallo Stato. Nonostante le frizioni politiche tra Parigi e Washington, esiste un accordo segreto per lo scambio di dati (i test di Chirac del 1995 avrebbero sperimentato anche una testata Usa a potenza variabile), ed è plausibile che la collaborazione vada molto oltre. La Francia ha in corso grossi progetti per realizzare nuove testate: sta costruendo un gigantesco sistema composto di 242 laser (Megajuole: simile a uno in costruzione negli USA, la National Ignition Facility) per simulare le condizioni di un’esplosione nucleare.
La consistenza dell’arsenale britannico dovrebbe aggirarsi sulle 200 testate. Il Regno Unito sicuramente collabora ai progetti statunitensi: lo scorso anno Londra ha approvato un progetto da 2 miliardi di sterline (3 miliardi di dollari) troppo simile a quello di Washington, per la realizzazione di super-computers per la simulazione dei test nucleari.
La Cina, da parte sua, dovrebbe possedere tra 400 e 500 testate nucleari. Sempre in Asia, in mancanza di dati ufficiali, si ritiene che l’India disponga di un numero di testate tra 100 e 200. Similmente si valuta che il Pakistan ne possieda tra 25 e 50. Gli arsenali indiano e pakistano non dovrebbero ancora essere materialmente installati. Ma entrambi i Paesi hanno in corso febbrili progetti missilistici. E sicuramente nei momenti di massima tensione erano pronte testate puntate sull’avversario.

Come son fatte le bombe nucleari
Vi sono due tipi di bombe nucleari: a fissione e a fusione.
Nelle prime, un opportuno nucleo pesante viene spezzato da un neutrone (fissione), producendo due nuclei più leggeri (instabili e radioattivi), energia e 2 o 3 ulteriori neutroni: questi ultimi possono spezzare altri nuclei, se la massa è sufficiente perché non fuoriescano (massa critica), generando la reazione a catena; quest’ultima viene controllata nei reattori nucleari, per mezzo di un assorbitore di neutroni, mentre è esplosiva nelle bombe. Il nucleo “fissile” esistente in natura è l’isotopo dell’uranio U-235 (92 protoni e 143 neutroni), che però costituisce solo lo 0,7 % dell’uranio naturale (il resto è quasi tutto U-238, l’isotopo con 146 neutroni). Bisogna allora produrre uranio arricchito nel contenuto di U-235: altamente arricchito per uso militare, leggermente arricchito per i reattori; ma il processo fisico è lo stesso.
Importantissimo ai fini della proliferazione è il fatto che durante la reazione a catena controllata in un reattore, i neutroni che vengono assorbiti dall’U-238 lo trasformano, dopo una serie di trasformazioni, in un nucleo che non esiste in natura, il plutonio (Pu-239), che è anch’esso “fissile” e, essendo un elemento chimico diverso, si può separare facilmente dal combustibile irradiato (anche se il processo è estremamente pericoloso) e costituisce quindi l’ “esplosivo nucleare” ideale. I reattori costituiscono quindi la strada maestra per fornirsi di armi nucleari. Le bombe a fusione (bomba H, o all’idrogeno) si basano invece sulla fusione di nuclei leggeri, che formano un nucleo più pesante liberando energia. L’innesco di questi processi richiede però il raggiungimento di temperature di milioni di gradi: essi infatti avvengono normalmente nelle stelle e costituiscono la fonte della loro energia; il loro innesco in una bomba si ottiene mediante la detonazione di una bomba a fissione, per cui è soggetto alle stesse limitazioni della massa critica. Queste bombe sono quindi propriamente a fissione-fusione. Attualmente il concetto di “arma nucleare” dovrebbe con ogni probabilità essere esteso ad altri sistemi d’arma, come i proiettili a uranio impoverito (sottoprodotto dei processi di arricchimento e del combustibile esaurito dei reattori) e altri processi allo studio, o realizzati segretamente.
Vi è poi da citare un caso di un arsenale che è stato completamente smantellato, quello che il Sud Africa aveva realizzato ai tempi dell’apartheid: questo non ha certamente cancellato le capacità nucleari del Paese, né di quelli che avevano collaborato alla sua realizzazione.
È importante ricordare, infine, che in Italia è ancora dispiegato un certo numero, imprecisato (forse tra 10 e 20), di testate nucleari della NATO e statunitensi: esse costituiscono un rischio costante, poiché ovviamente il loro controllo non cade sotto la nostra giurisdizione (meno che mai quelle americane; d’altronde le basi americane, come Camp David, godono dell’extraterritorialità).
Sorge naturalmente la domanda: a che punto sono Iran e Corea del Nord? La loro volontà non è chiara, e probabilmente viene utilizzata a scopo politico, ma la loro capacità nucleare sembra fuori discussione (d’altronde oggi non è difficile costruire una testata, magari rudimentale). La Corea del Nord possiede combustibile irradiato, dal quale si può estrarre plutonio. L’Iran non ha nessuna centrale funzionante. Si impone poi un’ultima osservazione. Oltre alla consistenza degli arsenali ha un’importanza cruciale il loro stato di allerta.
Durante la Guerra Fredda esso era il launch on warning: testate puntate su obiettivi strategici del nemico, pronte al lancio immediato (ritorsione) se il sistema di allarme satellitare avesse rivelato il lancio di un missile nemico (strategia della “dissuasione”, dovuta alla “distruzione mutua assicurata”).
Dopo il crollo dell’Urss, e contro ogni logica, gli Usa non hanno sostanzialmente modificato questo stato: questo obbliga Mosca a fare altrettanto, e aumenta il rischio di guerra “per errore”, poiché il sistema di satelliti di allarme russo è decrepito e in parte fuori uso (nel 1995 si sfiorò la catastrofe). Si tenga presente poi che i mari pullulano di sommergibili nucleari. Trattando questi problemi da questo punto di vista si rischia di rimanere prigionieri di puri conteggi numerici e di scordarsi che anche qualche decina di testate (anche una sola) costituisce una minaccia terribile per l’umanità! Anche perché, come ho già argomentato, il loro uso effettivo incombe oggi molto più che nel passato: e la responsabilità maggiore è di Washington.

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