Essere spina dell'inappagamento conficcata nel fianco del mondo
Carissimi amici, radunati in nome delta pace, della giustizia e della salvaguardia del creato, in questa splendida Arena dove si visibilizza per qualche ora il popolo sterminato dei costruttori di pace! Io vi porgo lo stesso saluto che oggi, giorno del Signore e signore dei giorni, risuona nelle nostre Chiese, dove, radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, si visibilizza il popolo santo dì Dio. La pace di Gesù Risorto sia con tutti voi! Un popolo che sta in piedi E vorrei tanto che da questo catino, divenuto icona del popolo invisibile dei costruttori di pace, partisse un grande saluto verso quella "moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua", che la pace la costruisce nel silenzio della storia o nell'esilio della geografia. Nei bagni di folla o nella solitudine dei deserti. Nelle foreste dell'Amazzonia o nel vortice disumano delle metropoli. Sul letto di un ospedale o nel nascondimento di un chiostro. Nell'operosità di una scuola materna che si apre ai valori della mondialità o nel travaglio provocato da uno stile di accoglienza nei confronti dei fratelli di colore. E' un popolo sterminato che sta in piedi. Perché il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. E' un popolo pasquale, che sta in piedi, come quello dell'Apocalisse: "tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello". Davanti al "trono" di Dio. Non davanti alle poltrone dei tiranni, o davanti agli idoli di metallo. E davanti all'"Agnello". Simbolo di tutti gli oppressi dai poteri mondani. Di tutte le vittime della terra. Di tutti i discriminati dal razzismo. Di tutti i violentati nei più elementari diritti umani. A questo popolo invisibile della pace, dall'Arena di Verona, giunga la nostra solidarietà. Ma anche il nostro incoraggiamento: con le parole delle beatitudini, secondo la traduzione che Sostituisce il termine "beati" con l'espressione "in piedi". "In piedi, costruttori di pace. Sarete chiamati figli di Dio".
1. Dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio
La prima cosa che desidero dirvi è questa: l'evoluzione del concetto di pace ha subito lo stesso arricchimento che, nella rivelazione cristiana, ha avuto il concetto di Dio. Nell'economia del Vecchio Testamento, il monoteismo assoluto di Jahweh era il cardine portante di tutta la storia della salvezza. Poi, "quando venne la pienezza dei tempi", Gesù ci ha rivelato che Dio è pluralità di persone: Padre, Figlio e Spirito. Esse vivono così profondamente la convivialità delle differenze, esistono cioè così unicamente l'una per l'altra, che formano un solo Dio. Uno per uno per uno fa sempre uno. Un solo Dio in tre Persone: è la formula con cui noi cristiani esprimiamo il mistero principale della nostra fede. Si è passati, così, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario di Dio. Per la pace è avvenuta la stessa cosa. Siamo giunti alla pienezza dei tempi, ed è balenata alle nostre coscienze la convinzione che la pace oggi si declina inesorabilmente con la giustizia e con la salvaguardia del creato. Siamo passati, per così dire, dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario della pace. Dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario della pace... Tutto questo crea scandalo. Così come ha creato scandalo Gesù, quando ha proclamato di essere figlio di Dio. Al punto tale, che l'hanno ucciso. Finché per secoli e secoli nelle nostre chiese ab-biamo parlato di pace, nessuno ha contestato. Quando, sulla scorta della Parola di Dio, si è scoperta la stretta parentela della pace con la giustizia, si sono scatenate le censure dei potenti. Si è detto che il profeta vuole prevaricare sul re. Così come durante il processo di Pilato, la folla ha accusato Gesù di voler prevaricare su Cesare. Si è asserito che collegare il discorso sulla pace, e quindi il discorso sulla guerra, con i discorsi sull'economia perversa che domina il mondo, sul profitto, sulla massimizzazione del profitto, sui debiti del Terzo Mondo, sulla crescente divaricazione tra Nord e Sud, sulla violazione pertinace dei diritti umani... significa fare la parte degli utili idioti. Sicché, la giustizia, collocata da Dio stesso accanto alla pace quale sua partner naturale, continua a destare, purtroppo, più sospetto di quanto non susciti scandalo quando viene collocata, sia pure come aggettivo, accanto alla guerra. Tant'è che si parla ancora di "guerra giusta". Questa sì che è convivenza contro natura! …nella pienezza dei tempi Carissimi amici, anche per quanto riguarda la pace è giunta la pienezza dei tempi. E come nella pienezza dei tempi Gesù, nostra Pace, ci ha rivelato la Paternità di Dio, nostra Giustizia, e ci ha rivelato anche lo Spirito che è Signore e dà la vita a ogni creatura, così oggi abbiamo il privilegio di capire che l'annuncio della Pace si completa, oltre che con la lotta per la giustizia, anche con l'impegno per la salvaguardia del creato. Quello della tutela dell'ambiente non è l'ultimo ritrovato della nostra furbizia brontolona o delle nostre strategie del consenso. Non è ammiccamento alle mode correnti. Ma è un compito primordiale che ci sovrasta come partner dello Spirito Santo, affinché la terra passi dal "Xàos", cioè dallo sbadiglio di noia e di morte, al "Xòsmos", cioè alla situazione di trasparenza e di grazia. Tra otto giorni celebreremo la festa di Pentecoste e noi ripeteremo l'invocazione "Manda il tuo Spirito, Signore: tutto sarà ricreato, e rinnoverai la faccia della terra". La faccia della terra. La crosta della terra. La pelle di questa nostra terra, deturpata dagli inquinamenti, invecchiata dalle nostre manipolazioni, violentata dalle nostre ingordigie. Ebbene, questa pelle diventerà fresca come la pelle di un adolescente. E si realizzerà la splendida intuizione dì Isaia che, addirittura invertendone l'ordine, aveva collegato insieme salvaguardia del creato, giustizia e pace: "In noi sarà infuso uno Spirito dall'alto. Allora il deserto diventerà un giardino.. e la giustizia regnerà nel giardino.. e frutto della giustizia sarà la pace". (Is 32,15-17). Il deserto, quindi, diventerà un giardino. Nel giardino crescerà l'albero della giustizia. Frutto di quest'albero sarà la pace! C'è da chiedersi: è mai possibile che questa visione trinitaria della pace, così saldamente fondata sui plinti della Sacra Scrittura, abbia tanto stentato a diffondersi perfino nelle nostre Chiese? La risposta è semplice: se solo ora dal monoteismo assoluto della pace siamo passati al monoteismo trinitario, è perché siamo giunti davvero alla pienezza dei tempi. Il che non significa che ormai il discorso sia acquisito. Tutt'altro. Come per il discorso trinitario su Dio, nei primi dieci secoli del cristianesimo, si sono sostenute tante lotte, sono scoppiate tante dispute, e sono celebrati tanti Concili; così sarà per il discorso trinitario sulla pace. Nicea... Costantinopoli... Efeso! Assisi... Basilea... Seoul! Vogliamo salutare, in questo momento, dall'Arena di Verona, i delegati delle Chiese italiane che dal 16 al 21 maggio saranno a Basilea. E proprio perché siamo consapevoli dell'importanza che questo avvenimento racchiude, vogliamo salutarli con lo stesso entusiasmo con cui i fedeli delle prime comunità cristiane salutavano i loro vescovi che partivano per i grandi concili ecumenici.
2. Il Dio dei filosofi e il Dio di Gesù Cristo
La seconda cosa che voglio dirvi, strettamente collegata con la prima, è questa: il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio dei profeti, il Dio che in Gesù ha manifestato il suo volto trinitario, non è il Dio di Socrate, di Platone, di Aristotele, delle accademie, dei filosofi insomma. Il Dio dei filosofi è l'ultima conclusione della nostra attività raziocinante. E' la soglia suprema messa in cima a tutta l'impalcatura degli umani sillogismi. E' la casa che svetta sui basamenti della nostra logica organica. La sua tenuta dipende dalla saldezza dì questi basamenti. Se un solo passaggio razionale cede sotto l'urto di un ragionamento opposto, ruzzola anche Dio che ci sta sopra. Il Dio dei filosofi, insomma, è un Dio che regge solo se è garantito dalla sicurezza dei nostri argomenti. E poi non scalda. Non coinvolge. Non ti riempie di passione. Accettare questo Dio è come sposare una donna di cui hai preso tutte le misure, di cui ti sei fatto consegnare tutti i certificati di garanzia, e contro i cui rischi di abbandono ti sei premunito con mille polizze di assicurazione. Il Dio di Gesù Cristo è diverso. Non viene dal basso. Ci è stato rivelato dall'alto. Non è frutto della carne e del sangue della nostra sapienza terrena. E' un Dio garantito solo dalla nudità della nostra fede. Non è un Dio a cui ci si aggrappa con i funambolismi della mente. Ma un Dio a cui ci si abbandona con la fiducia del cuore, dietro un richiamo che inesorabilmente ti precede. Attenzione! Non è che si voglia disprezzare la fatica della ricerca umana o che si intenda svilire l'importanza di un Dio trovato dagli sforzi del nostro pensiero. No! Quella della ricerca razionale di Dio è una fatica benedetta, che ogni cristiano deve compiere con tutti gli altri uomini che lo cercano con cuore sincero. Diciamo solo che questo Dio, dopo che l'abbiamo trovato, non ci appaga. Anzi, non ci si può chiamare neppure credenti per il semplice fatto di averlo raggiunto attraverso gli impervi sentieri del pensiero. Il Dio vero, quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, quello rivelatoci da Gesù, è totalmente Altro ed è totalmente Oltre. E noi credenti, dopo aver condiviso la fatica del pensiero con tutti i ricercatori onesti, dobbiamo essere l'indice puntato verso questo totalmente Altro e totalmente Oltre. La pace del mondo e la pace di Gesù Cristo Ed eccoci al momento cruciale di questa seconda riflessione. Per la pace vale lo stesso discorso che si è fatto per Dio. C'è una pace dei filosofi. E c'è una pace di Cristo. La prima è quella prodotta dai nostri sforzi diplomatici, costruita dai dosaggi delle cancellerie, frutto degli equilibri messi in atto dalle potenze terrene. Al punto che, se una sola condizione va in crisi, si rompe il giocattolo e ruzzola tutto intero il castello. La pace di Cristo, invece, è quella che non esige garanzie, che scavalca le coperture prudenziali, e che resiste anche quando crollano i puntelli del bilanciamento fondato sul calcolo. Questo è il senso profondo dell'espressione evangelica che proprio oggi è risuonata nella Messa: "vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come ve la dà il mondo, io la do a voi" (Gv 14,27) Questo è il salto di qualità a cui ci provoca la frase divenuta ormai celebre di D. Bonhoeffer: "Osare la pace per fede". Ci riempie di commozione un testo che questo grande testimone del Risorto scrisse nel 1934, e che è divenuto un monito per noi: "Una via alla pace che passi per la sicurezza non c'è. La pace infatti deve essere osata. E' un grande rischio, e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non volere alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli... Chi rivolgerà l'appello alla pace così che il mondo oda, che sia costretto a udire?... Solo la Santa Chiesa di Cristo può parlare in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare La guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante". Carissimi amici, come per la ricerca di Dio abbiamo detto che non intendiamo svilire lo sforzo della fatica razionale, anzi la incoraggiamo e la sosteniamo, ma sentiamo anche il dovere di indicare il totalmente Oltre e il totalmente Altro di Dio, sulla base di ciò che Cristo ci ha rivelato di Lui, così per quanto riguarda il mistero della pace, col più grande rispetto per lo sforzo che il mondo laico sta compiendo, e con la gioia più grande nel vederci accomunati come credenti accanto a tanti camminatori di ogni fede, sentiamo il dovere di dare il nostro contributo specifico, originale, coraggioso! E il nostro contributo è quello di essere segno dell'inquietudine, richiamo del "non ancora", stimolo dell'ulteriorità. Spina dell'inappagamento, insomma, conficcata nel fianco del mondo. Per un a Chiesa coraggiosa e profetica Riconosciamolo. Come Chiesa accusiamo ancora pesanti deficit di "parresia". Siamo ancora fermi alla pace dei "filosofi", e non ci decidiamo ad annunciare finalmente la pace dei "profeti". Dovremmo essere indice puntato verso il totalmente "altro", e verso il totalmente "oltre" gli isolotti raggiunti dalle minuscole asfittiche paci terrene, e invece siamo spesso prigionieri del calcolo, vestali del buon senso, guardiani della prudenza, sacerdoti dell'equilibrio. E' vero, sì, che i "profeti" debbono tenere conto delle lentezze con cui i "re" elaborano le mediazioni e le fanno camminare nella prassi quotidiana. E' vero anche che devono accettare di vedersi sempre tra le mani eccedenze di annunci che non verranno mai canalizzare in scelte storiche concrete. Ma non tocca ai profeti operare riduzioni in scala. E sarebbe ben triste che a provocare cadute di tensione, per quel che riguarda l'annuncio della pace, dovessero essere proprio loro. In certe comunità si densifica sistematicamente il sospetto. Si paventano strumentalizzazioni anche nelle scelte più generose a favore degli ultimi. Ogni occasione è buona per opporre, allo spirito delle intuizioni evangeliche di pace, il rigore della lettera che uccide. Si spiano annidamenti di "discordanze" col magistero ufficiale, a ogni svolta di frase. Talvolta, per frenare la valanga inarrestabile della profezia, si fa uso maldestro e ingeneroso perfino di estemporanee espressioni del Papa, resecate dal loro contesto e scorniciate dal genere letterario confidenziale e bonario con cui sono state pronunciate. E non si tiene conto, invece, di tutto il magistero audace e non ancora dissepolto di questo Pontefice, che ormai in ogni suo discorso ci sprona ad "affrontare la tremenda sfida dell'ultima decade del secondo millennio", con l'imperativo etico della solidarietà, e va denunciando in tutto il mondo, come nessun altro, le "strutture di peccato" che opprimono i poveri! Siamo arrivati al punto che, come cristiani, ci troviamo oggi nella necessità di dover recuperare i forti distacchi in tema di pace, che una moltitudine di non credenti ha inflitto a noi, titolari delle inesauribili riserve utopiche del Vangelo! La paura dell'olocausto nucleare ha fatto fare a loro più strada di quanta non ne abbiano fatta fare a noi la fede, la speranza, e l'amore.
3. Ceri pasquali e non lucignoli fumiganti
In piedi, allora, costruttori di pace. Non abbiate paura! Non lasciatevi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come fondamentalismo l'anelito di voler cogliere nel "qui" e nell'"oggi" della Storia i primi frutti del Regno. Sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud del mondo, e distruzione dell'ambiente naturale. Fin dai tempi dell'Esodo, non sono più estranee alla Parola del Signore le "fatiche di liberazione degli oppressi dal giogo dei moderni faraoni. Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata "orizzontalismo" la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l'amore per lui. Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo Mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi del mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali. Ce lo auguriamo con le parole di Bonhoeffer a Basilea, "vogliamo parlare a questo mondo, e dirgli non una mezza parola, ma una parola intera. Dobbiamo pregare perché questa parola ci sia data". E noi pregheremo. Anzi, è proprio dall'Arena di Verona, in questo splendido vespro di primavera, che vogliamo cominciare il grande settenario, in preparazione alla Pentecoste che celebreremo domenica. E invocheremo lo Spirito Santo. Non solo perché rinnovi il volto della terra. Ma anche perché faccia un rogo di tutte le nostre paure.
d. Tonino Bello - Arena di Verona, il 30 aprile 1989