Omelia del Vescovo Luis Infanti de la Mora alla Veglia ecumenica del 28 marzo 2014 a Roma

17 aprile 2014 - Redazione Mosaico

Buonasera, desidero ringraziare della possibilità di questo invito per condividere la Parola di  Dio scritta e vissuta in questi tempi, soprattutto in un giorno così significativo, in questa Veglia,  ricordando e celebrando la Pasqua di Mons. Romero.  Questo Vangelo che abbiamo letto, molte volte sicuramente, lo centriamo sempre evidentemente  nel buon samaritano, esempio nobile che propone Gesù. Ma già sin dalle prime parole serve per  scuoterci, perché racconta l’incontro di un dottore della Legge, quello che sa tutto, la Parola di  Dio per lui è pane quotidiano. E s’incontra con Gesù per metterlo alla prova. E non vorremmo  essere noi nei panni di questo dottore della Legge, perché alle volte, come lui, potremmo crederci  superiori. Forse superiori a Gesù no, ma superiori agli altri sì. Superiori a una persona che lavora,  superiori a uno di un altro Paese, superiori a uno di un’altra razza, superiori a uno di un’altra  religione, superiore l’uomo rispetto alla donna, l’adulto rispetto ai bambini, il sano al malato, etc. Ci  sono molte situazioni in cui potremmo crederci superiori. Sono attitudini che ci portano a sentirci  superiori a Dio. Quindi è un tema che ci mette alla prova.  Vediamo come in questo Vangelo Gesù unisce intimamente l’amore a Dio con l’amore al prossimo.  Come ci dirà poi: se hai dato un bicchiere d’acqua a questa persona, insignificante, l’hai dato a me,  è mio fratello. In lui c’è il volto di Dio! E il volto di Dio, Papa Francesco oggi ce lo ricorda, non è  solo quello del povero che vive con un dollaro al giorno, ma il volto di Dio si riflette oggi in molte  persone, indigeni, donne maltrattate, drogati, tante persone che ancora oggi hanno il volto sfigurato.  Oltre chi non ha una capacità economica, il povero oggi è chi ha la vita sfigurata, sofferta, ferita. E  costoro li chiamiamo “martiri”, martiri della fede, martiri della vita, martiri di cui siamo chiamati  ad avere compassione, a partecipare di questa “passione”, di questa sofferenza, se vogliamo proprio  essere fedeli al Signore, al suo volto.  Oggi quindi il Signore ci vuole presenti, attivi, impegnati, per trasfigurare questo volto di  sofferenza, in volto di gioia, di pace, di giustizia, di vita. E ricordare oggi specialmente Mons.  Oscar Romero non è solo ricordare qualcuno del passato, è ricordare e celebrare anche la nostra  vita. Martire vuol dire testimone, colui che dà testimonianza della fede, della vita di Dio. Quindi  non è solo privilegio di qualcuno, che da testimonianza profonda, impegnata seriamente, e può  arrivare alla morte, come Mons. Romero. Ma la morte è l’esperienza di ognuno, di chi di noi vuole  vivere veramente la propria fede in profondità, con serietà, con gioia. E qui bisogna ricordare  perché ci sono martiri, ieri e oggi. Non è casuale che Oscar Romero sia martire, perché lui ha  sentito compassione della sofferenza del suo popolo, ha partecipato e ha voluto pulire questo volto  sanguinante. Lo ha fatto come Vescovo, lo ha fatto come un Pastore che è partecipe della vita, delle  sofferenze, delle gioie, dei progetti, dei sogni del suo popolo. E questo era in contrapposizione al  potere. Un potere che vuole sempre fare alleanza con chi potrebbe questionare, criticare o giudicare  il potere. Ieri un potere più politico, militare, oggi più economico. L’esempio della Patagonia è una  lotta contro grandi poteri che si sentono Dio, si sentono padroni, signori del mondo e superiori a  Dio. Quindi vanno dove c’è possibilità di comprare acqua, terre, miniere, mari, etc. E questo è uno  schiaffo, un’offesa grave ai popoli che vivono nella loro terra, che amano la loro terra, che si  sacrificano per la loro terra. E quindi sentiamo, come cristiani, il dovere di partecipare a queste  sofferenze e di lottare per la pace, per la giustizia, per la fratellanza, perché ognuno dei figli di Dio  abbia il diritto e il dovere di partecipare dei doni che Dio regala per tutti. E quindi sentiamo che il  martire, che da testimonianza della propria fede, ieri era forse più relazionato con situazioni  politiche, di violazione grave ai diritti umani. Oggi sentiamo che queste violazioni dei diritti umani  e il volto sanguinante dei nostri fratelli si manifestano anche nel volto della terra che è calpestata,  sanguina e sentiamo che è parte della nostra vita; soprattutto chi ha avuto la grazia di vivere con  popolazioni indigene sente, sentiamo che, come anni fa la sofferenza era più visibile nelle persone  disprezzate nei loro diritti, oggi anche la terra, che è di Dio, è disprezzata, è calpestata, è derubata in  molti luoghi. La terra, l’acqua, i beni di Dio, che ci regala per tutti. Come ai tempi di Mons.  Romero, anche oggi siamo chiamati ad aver compassione, a partecipare a questa lotta per la  giustizia, per l’amore, per la pace, per la fratellanza, ed è la missione per ogni cristiano. Ognuno  allora dovrebbe vedere quali sono le sofferenze del popolo in cui vive. Mi faccio partecipe di queste  sofferenze o sono problemi di altri? La fede, come ci dice il Vangelo di oggi, è non un andare  dall’altra parte della strada o dall’altra parte della storia, ma partecipare di questa storia, sapendo  che chi ha potere sempre si preoccuperà più di sé stesso, dei suoi interessi che degli interessi e delle  necessità dei più poveri. Da che parte stiamo? Mons. Romero ha ricevuto moltissimi inviti a  partecipare con persone del potere economico, politico, per farlo amico loro, alleato, perché non  giudicasse, non criticasse nei momenti difficili. E lui ha detto no! Ha sentito soprattutto che la  morte di persone del suo popolo era parte della sua stessa vita. Con la morte dei suoi fratelli sentiva  che moriva anche qualcosa di lui. La sua morte ha fatto fiorire la sua vita, ha fatto fiorire speranza  per un popolo, per tutto un continente, per tutta la Chiesa.  La persona di fede, sia Vescovo, sia laico, sia religiosa, oggi o è profeta, una parola vivente di  Dio, o la sua fede è morta. E quindi martiri siamo anche noi oggi nella misura in cui la Parola  di Dio la facciamo vita. Non è solo una parola scritta, che è Parola di Dio, ma Dio continua a  parlare oggi nel suo popolo, nella sua terra. Saremo capaci di ascoltare il grido del nostro popolo,  il grido della nostra terra? Chissà, potrebbe sembrar “facile”, tra virgolette, ascoltare il grido  in tempi di una dittatura, perché la morte è evidente, giorno dopo giorno. Oggi, in una società  capitalista, consumista, dove la morte è una dolce morte e dove la sofferenza non è così evidente  come nei tempi della dittatura in El Salvador o in qualsiasi Paese, dall’America Latina fin dove  ci sono dittature. E quindi la sfida oggi per essere profeti è più esigente. È quello che ci dice  Papa Francesco: essere missionari, andare alle frontiere, non rinchiuderci nelle nostre liturgie ma  ampliare la liturgia al mondo, sentire che l’altare è il luogo dove viviamo, la terra in cui viviamo.  La Lettera pastorale che abbiamo scritto in Aysen, “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana”, mi  ha dato la possibilità di andare in molti luoghi, soprattutto dell’America Latina, e uno sente che il  dolore e la sofferenza di un popolo, soprattutto per la violazione dei diritti umani, della giustizia, e  per la violazione alla propria terra, è una situazione comune a tutti. Dicono che quello che succede  in Aysen, succede qua, in Chiapas (Messico), in Rosario (Argentina), in Cochabamba (Bolivia), un  po’ dappertutto.  Diamo grazie a Dio che ci offre la possibilità non solo di celebrare e di onorare persone che hanno  dato la vita, come Mons. Romero, fino alla morte e alla risurrezione, ma anche per la vita che offre  a noi per essere martiri oggi, soffrendo e offrendo le nostre sofferenze per il bene dei nostri fratelli  e sorelle, sentendo che abbiamo una responsabilità dalla nostra fede. Qualcuno ci dirà: attento  perché il limite tra la fede e la politica non è molto chiaro. Le persone di fede hanno chiarissima  luce per dire che è dalla nostra fede, dalla nostra spiritualità che proponiamo un mondo nuovo,  cieli nuovi e terra nuova. Se lo facciamo profeticamente ci incontreremo sempre con i famosi  poteri che vogliono abbattere questa presenza di Dio oggi, questa presenza della dignità dei nostri  fratelli oggi. Sentiamo che la pace, frutto della giustizia, è la grande missione. Essere missionari  oggi è proprio essere profeti. Oscar Romero è stato profeta di giustizia, profeta di pace, profeta  di vita, perché ha vissuto e sentiva profondamente la presenza di Dio in lui. La Parola di Dio,  l’Eucaristia, i sacramenti, però soprattutto il suo popolo sentiva che era la Parola di Dio viva. Che  questo sia per noi anche un segno evidente per fare presente oggi la santità con la nostra attitudine  profetica, missionaria, gioiosa di vivere la nostra fede con chi è più abbandonato, con i volti e i  cuori sofferenti di Dio oggi. 

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