Umano. Molto umano. Solamente umano?
Buongiorno. Sembra giusto iniziare così, nello stile di papa Francesco, un papa che parla a tutti e che ha riaperto la porta della Chiesa, sia per far rientrare tanti, sia per far uscire all’aperto i cattolici “resistenti”.
Egli è la realizzazione al vertice della svolta antropologica che il Concilio Vaticano II ha indicato a quella Chiesa cattolica che era arroccata nel mantenimento di una tradizione millenaria. Hhi ha vissuto il tempo del Concilio ha l’impressione riviverli. Ce n’era bisogno, dato che dopo il Concilio una serie di avvenimenti, positivi e negativi, ha fatto perdere quello spirito. E’ quindi una rinascita del momento migliore della Chiesa, da secoli a questa parte.
Ma, abbiamo già vissuto “avventure” dell’umano che non hanno mantenuto le enormi speranze sollevate. Chi ricorda ora il “We can!” di Obama, anche Premio Nobel per la sola speranza che facesse la pace nel mondo?
Tornando alla situazione storica della Chiesa, forse basta l’umano?
Si può rispondere solo se si sa dare un senso più preciso al Concilio. La formula usuale è stata “apertura alla storia”; ma essa è troppo limitata, non fa capire a quale storia la Chiesa deve aprirsi, se a quella buona o a quella cattiva; né chi deve scegliere tra le due.
Il problema interpretativo nasce dal fatto che il Concilio è stato un avvenimento solo di vertice (di sia pur di 2.500 vescovi, ma sempre di vertice). Se è vero che lo Spirito Santo lo ha ispirato, lo ha fatto dopo aver già lavorato alla base e non solo tra i cattolici, ma nel mondo intero e per un tempo più lungo dei tre anni del Concilio. Questo lavoro può essere visto attraverso le riforme delle religiosità che sono avvenute prima e durante il Concilio per opera di singole persone che sono stati innanzitutto testimoni di quello che hanno proposto, più che estensori di documenti. Secondo me le riforme di religiosità più precise sono state quelle compiute basandosi sulla fede nell’uomo anche durante i conflitti più acuti con le istituzioni più schiaccianti e di struggitrici; cioè quelle riforme di religiosità compiute in nome della nonviolenza da: Tolstoj, Gandhi, Capitini; nella Chiesa cattolica: Lanza del Vasto, Jean Goss, Don Milani, Don Tonino Bello; e poi M.L. King. Dalai Lama, ecc. Sottto questa luce si vede che il Concilio rispondeva ad un problema universale, quello di riformare tutte le religiosità; e che questa necessità era dovuta all’impatto della “modernità” sulla vita spirituale dell’umanità.
Ma che cosa è la modernità, quella modernità in nome della quale gli occidentali hanno dominato tutti gli altri popoli del mondo ? C’è chi dice la Riforma del protestantesimo tout court: allora il Concilio deve portare la Chiesa cattolica al punto finale, riconoscere che essa ha sbagliato. C’è chi ci aggiunge l’Illuminismo e la razionalità moderna; questa allora deve essere accettata dalla Chiesa, con tutto il salto antropologico che ha determinato nella storia dell’umanità. C’è che vede la passata modernità finalizzata alla nuova società del proletariato; allora il Concilio doveva sboccare nella Teologia della Liberazione. Invece i riformatori della nonviolenza (Tolstoj, Gandhi e Lanza del Vasto) caratterizzano la modernità come determinata nel bene e nel male dalla Scienza e la Tecnica occidentali. Lanza del Vasto ha la loro critica a livello teologico: per caratterizzare la modernità ha usato i testi sacri del Cristianesimo (ma la sua interpretazione è estensibile ai testi di ogni altra fede). Il peccato originale (Genesi 3) è dovuto alla distorsione della conoscenza-amore in conoscenza–interesse; l’interazione degli uomini, dei quali tanti usano quest’ultimo tipo di conoscenza, crea strutture sociali (anche intellettuali) che coprono i giochi di interesse e di potere. Fino a creare flagelli sociali subiti passivamente dalla gente (Apocalisse 8), e alla fine fanno diventare la scienza e la tecnica due forze sociali così potenti universalmente, che arrivano a dominare tutta l’umanità con leggi dittatoriali e totalitarie (Apocalisse 13).
Che l’impatto di questa Scienza e Tecnica sulla società possa essere distruttivo lo dimostra anche quello avvenuto nell’Occidente: oltre a disseccare la filosofia, esse hanno fondato e sviluppato l’ateismo di massa, fenomeno sconosciuto in precedenza, e hanno minacciato di sopravvivenza ogni religione.
Dopo la civiltà occidentale che ha costruito istituzioni di tutti i tipi e le più grandiose, compresa Scienza e Tecnica, è dal loro attacco che le varie religioni dovevano difendersi. Più intelligentemente che gridare “Al lupo!”, certamente la mossa da fare era prima di tutto e sopra tutto il ritorno all’uomo. Ma per ciò le religioni hanno dovuto riformarsi. E le riforme nonviolente di religiosità ne sono state le migliori espressioni, perché hanno approfittato dell’occasione storica della riforma per fare un salto in avanti in positivo: non solo hanno ristabilito il primato dell’uomo su ogni istituzione, ma hanno chiarito come risolvere i conflitti che l’uomo incontra con gli altri uomini e anche con le istituzioni; e quindi hanno completato la capacità dell’uomo di realizzarsi anche copntro tutte le situazioni sociali possibili.
Ma molte altre religioni si sono riformate semplicemente per adattarsi ai tempi, pur mantenendo sempre l’attenzione all’uomo. Questa attenzione all’uomo forse basta? Secondo le riforme della nonviolenza no. Non basta anche perché dopo cinquant’anni dal Concilio, vediamo che la Scienza e dalla Tecnica, che già avevano creato una intera trasformazione antropologica, oggi proseguono con una seconda trasformazione, ancora più vasta e profonda. La prima in effetti ha intaccato soprattutto la relazione, intellettuale e materiale, con la realtà, al punto che la cultura umanistica dell’uomo verso gli altri tuomini si è scissa da quella scientifica dell’uomo sulla realtà diventata artificiale. Ma si è potuto mantenere la fiducia che, anche se nella società Scienza e Tecnica dominavano i rapporti sociali, nelle persone poi avrebbe prevalso l’umanesimo. Ora non è più così: ora è l’uomo intero che viene intaccato. L’uomo ormai non si pone più come natura, ma si slancia all’infinito come libertà; non più la libertà di solo fare, viaggiare e vedere; ma ora come libertà di godere, di trasformarsi nel corpo e nello spirito, di esserci o non esserci, di essere e non essere.
Questo fatto rende evidente che occorre avere una critica sapienziale più profonda di quella di separare l’umanesimo dalla scientificità, contando sulla capacità della dimensione umana di, alla fine, prevalere; e perciò insistere solo sull’uomo. Ora occorre comprendere il fenomeno storico Scienza e tecnica (occidentali) nella loro globalità, per saperle “addomesticare”, così come millenni fa gli uomini hanno saputo addomesticare alcune bestie al loro servizio, lasciando le altre, feroci, al loro destino.
Allora non basta più quello che ha fatto il Concilio: uscire dalla sola teologia per abbracciare la antropologia per comprendere meglio la dimensione umana e la dimensione dei rapporti comunitari. Oggi papa Bergoglio compie l’ultima operazione antropologica possibile, saturando di aspetti antropologici i precedenti schemi teologici e liturgici. Poi dopo sarà evidente a tutti che non si potrà più proseguire così. E allora occorrerà riconoscere che l’aver accolto la antropologia nella vita ecclesiale non è una vera pacificazione con la Scienza. La antropologia infatti è una “scienza debole”, che per essere nata sui popoli “non-occidentali” non ha diritto di parola tra le scienze “vere” della modernità, a incominciare dalla scienza Sociologica, fino alle scienze “dure” come la Chimica, la Fisica e la Matematica e tra poco anche la Biologia. Le quali giocano su un piano del tutto differente.
In altri termini, occorrerà arrivare ad una sapienza sulle strutture scientifiche e in genertale su tutte le strutture sociali. Per fare ciò occorre intendere le strutture sociali moderne, superando il timore di “diventare marxisti”: quindi partire dalla struttura del capitalismo. Ma ricordando che oggi è la stessa sopravvivenza umana che viene minacciata dalla tecnologia bellica (bombe nucleari), occorre intendere le strutture belliche (il Concilio le ha condannate solennemente, ma solo se venissero usate, non oggi che vengono preparate, custodite, utilizzate nei rapporti diplomatici come deterrente e nella strategia). E poi, in buona filosofia, occorre analizzare le strutture della stessa chiesa per spiegarsi come mai essa sia cresciuta a dismisura e si sia sublimata oltre ogni dimensione veramente umana come chiesa triumphans in Terra, con un capo-Papa che è infallibile da solo. Questi sono tutti settori sociali dove la presa di coscienza ecclesiale e ancor più la valutazione avvenuta col Concilio sono rimaste a metà strada, come nell’esempio della bomba atomica. Dal punto di vista teologico c’è un punto su cui il Concilio è stato silente, poi è stato enunciato ma anche qui si è rimasti a metà strada: come concepire il peccato strutturale, sperimentato anche al massimo grado dalle popolazioni che hanno vissuto sotto le dittature totalitarie dello stalinismo, fascismo, nazismo, franchismo, ecc.. Il pilota di Hiroshima ha commesso peccato? Se non si sa rispondere a questa domanda non servono le rassicurazioni antropologiche e psicologiche per alleviargli il fardello del rimorso.
Allora è stato bene che col Concilio si sia usciti dalla teologia astratta per abbracciare la antropologia; ma tra loro due c’era un intero mare di Scienza e di Tecnica che è rimasto da comprendere sapienzialmente alla luce del peccato strutturale, al fine di trovare la conversione dal male che ci si è annidato. Si è comicnaito a capire come convertirsi in gruppo da peccati strutturali collettivi con la Commissione per la Verità e la Riconciliazione nel Sud Africa.
Quanta strada ci separa da queste necessarie innovazioni rispetto all’attuale andare a braccetto con l’antropologia?