Remo Bodei e il suo sguardo agli equilibri del mondo
È la paura il sentimento maggiormente provato dalle tante vittime della crisi economica-finanziaria che dal 2008 ha stravolto gli equilibri del mondo? Da dove nasce e quali effetti produce sulla nostra anima questo subdolo “spettro cerebrale”? E può essere contrastata efficacemente per non logorare la capacità di prefigurazione del nostro avvenire? Il filosofo Remo Bodei, uno dei più autorevoli pensatori del nostro tempo e uno dei più apprezzati ospiti della XIII edizione dei Dialoghi di Trani, attraverso un’unica panoramica che accoglie gli orizzonti culturali di Pascal, Kant, Machiavelli e Weber, cerca di rispondere a questi interrogativi di grande attualità. Nell’antichità, frequentata da molte superstizioni, ci si affidava spesso alla sorte. Non poche volte, del resto, i peggiori eventi naturalistici furono interpretati secondo le diverse “gradazioni del possibile”. La nostra esistenza, tuttavia, è sempre stata scandita anche dalle nostre necessità. Il tentativo, perciò, di confutare adeguatamente il rapporto tra casualità e necessità o di elaborare strategie per sconfiggere rischi e incertezze, ha determinato la genesi della statistica, ossia della scienza che studia il calcolo delle possibilità. L’individuo sembra trascinato dagli eventi e poco consapevole delle proprie risorse morali ed è in questo quadro che si inserisce la rappresentazione dell’intellettualismo kantiano secondo cui, invece, l’uomo può diventare artefice e fabbro del proprio destino. L’uomo come protagonista e soggetto attivo del processo d’evoluzione. Una visione che ha favorito per alcuni secoli indubbiamente grandi scoperte e conquiste negli universi della scienza e della tecnica, ma che alla fine hanno reso l’individuo cieco sulla propria condizione non consentendogli di esplorare l’habitat sociale a lui esterno. Una dimensione che, secondo Pascal, doveva consentire, attraverso lo studio delle probabilità, la corretta interpretazione dei fattori di crescente incertezza. Probabilità che potevano essere sia oggettive sia soggettive. E proprio il filosofo francese de Condorcet, nel XVIII secolo, provò a fornire una soluzione a questi enigmi sull’atteggiamento dell’uomo rispetto al futuro: per vivere meglio era necessario sviluppare sempre più un sapere organizzato e collettivo perché solo una diffusa conoscenza può rappresentare simbolicamente la chiave con la quale si possono aprire le porte del futuro. Oggi, a distanza di molti secoli, l’uomo sembra sia nuovamente sprofondato in una condizione, anche ontologica, di profondo smarrimento. La crisi economica-finanziaria, enfatizzata dalla sottocultura egemonizzante imposta nella stagione lunga della globalizzazione da organi tecnocratici pronti a marginalizzare i trattati costituzionali, non ha prodotto solo milioni di nuovi disoccupati, ma soprattutto milioni di persone terrorizzate per il loro avvenire, con l’assenza di punti di riferimento etici che ha contribuito a creare quel senso di de-individualizzazione e di estraneazione in questa società liquida nella quale siamo tutti immersi. Con l’aggravante del sospetto che, esasperata la competizione tra singoli e tra disperati, si sia irrimediabilmente consumata non solo la possibilità di pensare a un futuro collettivo, ma anche compromessa la capacità di immaginazione di un “altro” mondo.