EDITORIALE

Querido monseñor

Tonio Dell’Olio

Querido monseñor, lascia che anche da queste pagine ci rivolgiamo a te con la stessa semplicità che ci hanno insegnato i campesinos e la gente povera di El Salvador. Per loro sei sempre stato soltanto Monseñor. Un amico importante. Uno che ha prestato la propria voce al dolore inascoltato. Uno che con la gente e in mezzo alla gente si è fatto popolo, che con loro e per loro ha versato le stesse lacrime degli anni di una violenza senza argine alcuno. Fino alle conseguenze più estreme, fino a pagare il prezzo più alto. Perché tu ci hai insegnato una chiesa impastata con la vita della gente, con la sua fame di giustizia e con il suo profondo anelito di libertà. Un vescovo scalzo e disarmato e, proprio per questo, disarmante. Perché tu, facendo violenza persino alla tua stessa personalità schiva e riservata, non hai abbandonato soltanto il palazzo ma anche ogni forma di diplomazia e di prudenza secondo la carne, ogni deferente ossequio e ogni convenienza, ogni calcolo che potesse garantirti e preservarti dal giudizio, dalla maldicenza, dall’accusa saccente di eresia, dal sorriso beffardo e, infine, dal rischio della vita.

Ora che anche l’istituzione che non ha sempre mostrato di comprendere le tue ragioni, finalmente riconosce la santità del tuo sangue sparso per la verità e per la pace, sembra realizzarsi una profezia. Perché, lo sai, non si tratta semplicemente di apporre il sigillo di autenticità sulle tue scelte eroiche, quanto piuttosto di riconoscere il cammino di un popolo intero per il quale, Monseñor, tu santo lo sei da sempre. Ancora una volta il sensus fidelium, la fede povera della gente (ossia la fede della povera gente), ha anticipato la ceralacca della prudenza curiale. Ed è festa per le strade e nelle case di San Salvador, nei villaggi del Chalatenango e Cuscatlàn, di San Vincente e di Morazàn, a Ciudad Barrios e a Santiago de María. È festa anche in cielo dove ti circonda il girotondo gioioso e infinito dei martiri anonimi che parlano la tua stessa lingua e che come te hanno firmato con il proprio sangue la denuncia dell’ingiustizia e dell’oppressione. Li vedo. Ci sono Ignacio e Marianella, Ita e Maura, Rutilio e Celina...

Oggi, le loro come le nostre, sono lacrime di gioia. Le stesse di papa Francesco quando ha firmato un decreto che poco ha di canonico e molto di lotta e di poesia, di fede odiata perché autentica. Querido monseñor, tu che hai mostrato il tuo primo coraggio lasciandoti convertire all’amore della pace dalla sofferenza del tuo popolo, tu che hai brandito il pastorale solo per indicare la via dell’esodo verso la terra promessa, tu che hai osato persino esortare all’obiezione la coscienza degli oppressori, adesso incoraggia anche le Chiese del nostro tempo ad una totale fedeltà al Vangelo della nonviolenza, a stare soltanto dalla parte delle vittime, ad abbandonare l’idolatria del potere per sposare il sogno di Dio per un’umanità finalmente liberata. Ti invocheremo protettore dei popoli schiacciati dal terrore, dalla violenza, dalla fame e dalla guerra e ti pregheremo come patrono dei pastori perché vivano l’unica esigenza di mettersi sempre al servizio del popolo con franchezza apostolica e libertà interiore. Non sia più frainteso come blasfemo il legittimo anelito dei popoli verso la liberazione. Querido monseñor, preservaci dalla tentazione di addomesticare i tuoi gesti e le tue parole per non disturbare né noi, né i potenti mettendone allo scoperto le incoerenze. Da queste pagine solennemente ci impegniamo a denunciare ogni tentativo strumentale di ridurti a santino accomodante e consolatorio. Continua a far risuonare nelle nostre anime quella parola senza sconti che attinge direttamente alla fonte pura del Vangelo.

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