La grande controriforma
E soprattutto i diritti sociali su cui essa è fondata.
Nel vuoto pneumatico della società della comunicazione dominata dai network televisivi e dai mass media concentrati nelle mani di ristrette oligarchie, il discorso sul processo di grandi riforme in atto nel nostro Paese, è orientato massicciamente a insediare un senso comune che ci fa percepire le riforme come una profezia che si avvera, un grande balzo avanti per il progresso e il benessere del nostro Paese. Il rovescio della medaglia di questo senso comune è che i riti della democrazia costituzionale, il parlamentarismo, il confronto politico, il pluralismo, appartengono al museo delle cere e devono essere mandati in archivio. Tuttavia la base sulla quale viene costruito l’edificio di questo nuovo senso comune, non può che essere l’ignoranza e la cancellazione della memoria.
Perché?
Oggi tutti ci parlano dell’urgenza, della necessità e della bellezza delle riforme messe in cantiere dal governo Renzi, ma nessuno ci informa sui reali contenuti delle riforme, sul loro significato e sugli effetti che determinerebbero il funzionamento delle istituzioni e la qualità della democrazia.
“Tra cinque anni la nostra legge elettorale sarà copiata da mezza Europa” – ha detto Matteo Renzi, agli studenti della Luiss e ha aggiunto – “il premio di maggioranza previsto nell’Italicum, consente di superare il meccanismo devastante del potere di veto da parte delle forze politiche minori”.
Il Presidente del Consiglio ha potuto permettersi di magnificare se stesso e la sua riforma elettorale proprio perché l’ignoranza regna sovrana. Nel 1953, quando l’esecutivo provò a cambiare la legge elettorale per attribuire un indebito vantaggio ai partiti della maggioranza, l’ Italia fu scossa da una profondissima indignazione popolare e quella legge fu bollata per l’eternità con il denominativo di legge truffa. All’epoca nessun leader politico avrebbe potuto presentarsi in pubblico per magnificare la legge truffa e addirittura additarla come un esempio per gli altri popoli. Se oggi ciò accade è perché, sostituendo la propaganda all’informazione, il sistema della comunicazione impedisce alla stragrande maggioranza degli italiani di rendersi conto di quali pietanze vengono confezionate nella cucina della riforme.
L’ignoranza
La prima emergenza democratica è quella di squarciare il velo di ignoranza che impedisce che si possa instaurare un reale dibattito e confronto democratico su scelte destinate a incidere profondamente sui valori repubblicani.
Recentemente un gruppo di associazioni e personalità riunite in assemblea il 9 marzo a Roma, ha lanciato un grido d’allarme osservando che: “Le modifiche della Costituzione e della legge elettorale in atto attribuiscono di fatto a un unico partito – che potrebbe anche essere rappresentativo di una ristretta minoranza di elettori – potere esecutivo e potere legislativo. Si tratta di uno stravolgimento dei canoni della democrazia costituzionale. Governare è attività diversa dal fare le leggi. Se è vero che spetta al Governo sollecitare e indirizzare il processo legislativo, ciò deve avvenire attraverso il confronto con un Parlamento autorevole, unico luogo direttamente rappresentativo del popolo italiano. L’attività legislativa, nel nostro impianto costituzionale, deve avvenire nel luogo della rappresentanza di tutto l’elettorato. (..) Soltanto attraverso un attento confronto tra le diverse parti sociali e politiche, nella sede naturale del Parlamento, la legge – meglio ponderata – diviene espressione della sovranità popolare. (..) Nell’attuale congiuntura politica, l’ascolto delle istanze altrui viene vissuto come fastidio e perdita di tempo. Ciò può portare a una crisi della democrazia, che nasce proprio dal riconoscimento del diritto di tutti a essere rappresentati nei luoghi dove vengono assunte le decisioni. Una democrazia non si giudica dai poteri che attribuisce al partito di governo, ma dalla tutela del pluralismo e dalla rilevanza data ai diritti sociali e alla voce delle minoranze. Salvaguardare la democrazia oggi, è garantire la propria voce domani. Si pensi a un’estemporanea vittoria elettorale di partiti autoritari. Abbiamo già vissuto anni difficili sotto il berlusconismo, per questo è veramente irresponsabile attribuire al prossimo governo poteri quasi illimitati”.
Riforme in corso
In effetti la riforma costituzionale e quella elettorale vanno di pari passo e puntano allo stesso risultato, quello di smantellare il sistema dei pesi e contrappesi che assicura l’equilibrio dei poteri nell’ordinamento della democrazia costituzionale e concentrare potere legislativo ed esecutivo nelle mani di una ristretta oligarchia. Con la riforma del Senato viene cancellata una istituzione rappresentativa della volontà popolare (quindi un livello di democrazia) che concorre all’esercizio del potere legislativo, e sostituita con un dopolavoro per consiglieri regionali, con poteri pressoché nulli. In pratica viene eliminato un ramo del Parlamento e concentrato il potere legislativo e di indirizzo politico nell’altro ramo. Sulla Camera dei Deputati vengono rafforzate le prerogative del Governo, che sostanzialmente si impadronisce del calendario dei lavori, imponendo un termine fisso (la tagliola) per l’approvazione delle leggi che l’Esecutivo dichiara urgenti.
Ma la svalutazione del ruolo del Parlamento e la sua stretta subordinazione al Governo avviene soprattutto attraverso la riforma elettorale. Oltre 200 anni fa Domenico Romagnosi osservava che: ”la teoria delle elezioni altro non è che la teoria dell’esistenza politica della Costituzione... è evidente che, quando il diritto elettorale venga radicalmente modificato, è la Costituzione che viene posta in discussione”. Ed è proprio quello che avverrà con l’Italicum: la Costituzione sarà radicalmente modificata. Per legge verrebbe attribuita la maggioranza politica e la guida del Governo a un solo partito, a prescindere dalla volontà del popolo sovrano. In altre parole per legge si stabilisce che deve governare un partito unico. Ciò significa che una ristretta oligarchia (cioè i capi o i padroni del partito) controllerà sia il potere legislativo che quello esecutivo e potrà incidere in modo significativo sugli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) neutralizzandone la funzione.
A questo punto che fine fanno i diritti sociali? La risposta ce l’hanno già data con il Job’s Act, che ha rea-lizzato l’obiettivo di “eliminare le tutele costituzionali nel diritto del lavoro”, come ci aveva chiesto un anno fa l’oligarchia della finanza internazionale.
Note
Domenico Gallo, magistrato, attualmente è giudice presso la Corte di Cassazione. Da sempre impegnato nei movimenti per la Pace e nel mondo dell’associazionismo, è stato senatore della Repubblica e attivo nei Comitati per la difesa della Costituzione. Ha un blog in cui è possibile leggere articoli e riflessioni interessanti: www.domenicogallo.itHa scritto, recentemente, “Da sudditi a cittadini. Il percorso della democrazia”, ed. Gruppo Abele 2015 (con cd rom).