ULTIMA TESSERA

Nella Striscia di Gaza

A colloquio con mons. Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia, al rientro da Gaza. Racconto di una visita ai territori occupati.
Intervista di Rosa Siciliano

“Una giornata indimenticabile nella Striscia di Gaza. Macerie, macerie, macerie, case distrutte, anziani senza parole davanti alle loro case ridotte a zero. E poi, bambini, tanti bambini, belli, ma scalzi, sporchi e affamati. Come prendere sonno, qui, a Gaza, stanotte? Ma la speranza….. Inshallah – Se Dio vuole, dicono gli arabi. E dobbiamo dirlo anche noi. Buona notte!”. 

Con questo sms inviatoci il 3 marzo scorso, mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia, ci comunicava le sue sensazioni all’arrivo a Gaza, per una visita ai Territori Occupati, accompagnato da don Nandino Capovilla, che idealmente ha sposato questa martoriata terra di Palestina. Al suo rientro, abbiamo rivolto a mons. Ricchiuti. alcune domande sul suo viaggio.  

Da neopresidente di Pax Christi come hai vissuto la visita nella Striscia di Gaza: quali sentimenti ti hanno accompagnato?

L’invito a visitare la Striscia di Gaza mi era stato rivolto sin dal mese di dicembre 2014 da don Nandino Capovilla, già coordinatore nazionale del nostro movimento e promotore della Campagna Ponti e non Muri (a 10 anni dalla costruzione del muro costruito dagli israeliani) e da Annibale Rossi, presidente di Vento di Terra, una Ong presente nei territori occupati. Accettai con molto piacere l’invito perché mi offriva la possibilità di dare inizio al mio mandato con un gesto che mi appariva molto significativo. E di quei giorni conservo negli occhi e nella memoria un ricordo incancellabile. Ai moltissimi che ancora oggi mi domandano come sia andato questo viaggio in Palestina rispondo che le parole e le immagini non sono sufficienti a descrivere la drammatica situazione che si vive in quei territori. Le macerie e la distruzione di interi quartieri di Gaza e di piccoli paesi, i volti delle persone, specialmente degli anziani, e gli occhi dei bambini... non credevo ai miei occhi per quanto osservavo e ascoltavo! 

La città, la gente, lo scorrere del quotidiano sotto occupazione: prova a descrivere, come in una fotografia viva, le immagini dei luoghi e delle persone che hai incontrato in Palestina.

La sera del 2 marzo vengo accompagnato, percorrendo a piedi una stradina laterale, lungo la strada che va da Gerusalemme a Betlemme, a visitare e a conoscere Dahoud, un agricoltore palestinese che non intende cedere la sua terra (quella dei miei padri, raccontava) per un nuovo insediamento israeliano. E questa sua resistenza la metteva in atto rispondendo alle frequenti intimidazioni dei soldati israeliani invocando legalità e giustizia. Aveva  inciso su una pietra posta all’ingresso della sua casa queste parole: Noi non abbiamo nemici. Bellissimo! Abbiamo trascorso, poi, due giorni a Gaza passando prima in alcuni piccoli paesi: paesaggi da seconda guerra mondiale, case e palazzi abbattuti, uomini, donne e bambini come fantasmi tra le macerie, racconti di vite spezzate, di progetti e e di sogni infranti, rovine… rovine dappertutto, rabbia mista a rassegnazione, ma, allo stesso tempo, fede, dignità e volontà di rimanere e di ricominciare lì dove è anche la loro terra. Devo confidare, come raccontavo in un sms in quei giorni, che soprattutto la due-giorni a Gaza mi ha dolorosamente impressionato tanto da faticare a prender sonno: non c’è motivazione alcuna perché un popolo venga umiliato e offeso in quel modo, nessuna giustificazione all’arroganza e al progetto di Israele che intende molto probabilmente annientare nella sua dignità il popolo palestinese. Quanti abbiamo incontrato e ascoltato ci hanno raccomandato  di raccontare ciò che stavamo vedendo mentre ci confidavano, come i pescatori di Gaza, la loro determinazione a continuare a vivere lì e a sperare in un futuro migliore.

Il riconoscimento dello Stato Palestinese da parte del Parlamento italiano: cosa ne pensi del dibattito che lo ha preceduto? Quali ricadute può avere a livello politico e culturale in senso lato?

Grande è stata la delusione per la decisione del nostro Parlamento di approvare due mozioni, tra loro discordanti, sul riconoscimento dello Stato palestinese. Una decisione poco coraggiosa che tra l’altro non ha saputo raccogliere il desiderio di tanti italiani desiderosi di veder sorgere un giorno nuovo nei rapporti tra Israele e Palestina. Da decenni i due popoli non fanno che contare i loro morti in un crescendo continuo, di incomprensione,  di odio, di violenza e di guerra che allontana la speranza. E, da parte di Israele, la continua espansione e occupazione del territorio palestinese alimenta una cultura di sopraffazione e di emarginazione inaccettabile. Politicamente significa destabilizzazione in un’area, quale quelle mediorientale, da tutti ritenuta decisiva per la pace nel mondo. 

Dai leaders cristiani di quella terra ci giungono continui appelli contro l’occupazione israeliana. Come Chiesa italiana possiamo unire la nostra voce, e in che modo?

La terra abitata oggi da israeliani e palestinesi in qualche modo la sentiamo, noi cristiani, per ragioni storiche, religiose e fraterne, che tutti noi conosciamo, anche nostra. E la presenza di cristiani, tra gli ebrei e gli arabi, è presenza di pace, di riconciliazione e di carità. Purtroppo anche i cristiani, in particolare le comunità che vivono nei territori occupati, non ce la fanno più a resistere e moltissimi, se possono, vanno via privando così quel territorio di una presenza molto significativa. L’incontro a Gaza con il parroco e il vicario parrocchiale della Parrocchia della Santa Famiglia, 150 cattolici (ci vivono anche 1200 ortodossi a Gaza) è stata occasione per me di raccogliere ancora una volta il loro appello perché non li abbandoniamo. Ed è uno dei tanti appelli che le Chiese che sono in Italia non possono non raccogliere entrando  in rapporti e in relazioni di conoscenza (penso ai nostri pellegrinaggi) con i cristiani di Palestina per far sentire loro vicinanza di fraternità e di aiuto. Non possiamo lasciarli soli!

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