Neoliberismo, corruzione, narcotraffico, impunità: il cocktail della decomposizione

Rodrigo A. Rivas

Sul piano formale, la giustizia messicana ha già identificato i responsabili del massacro dei 43 studenti scomparsi il 26 settembre a Iguala, Guerrero del Sud. Sono 3 sicari di Guerreros Unidos (Guerrieri Uniti), il cartello responsabile del traffico di eroina e marijuana verso Chicago. Secondo i tribunali, “intendevano difendere il loro territorio” (www.elcomercio.com, 11/11/2014). Ma, oltre le formalità, la causa di queste e di altre migliaia di morti e scomparsi si trova nella profonda decomposizione istituzionale indotta dal neoliberismo in salsa messicana che miscela corruzione, narcotraffico e impunità.

I 43 studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa viaggiarono ad Iguala - città di 140mila abitanti, a 200 km di Città del Messico - per raccogliere fondi da destinare alla loro scuola. Sapevano di non essere benvenuti poiché, nel giugno 2013, insieme a diversi dirigenti del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), avevano accusato il sindaco di Iguala (del PRD),  della morte  sotto tortura di un dirigente contadino (del PRD), e occupato il palazzo comunale per alcuni giorni.

Secondo i tribunali, sicari e poliziotti, che “ad Iguala vivono in armoniosa simbiosi”, temevano che i giovani avrebbero ripetuto le loro manifestazioni, questa volta non contro il sindaco bensì contro la moglie, María de los Ángeles Pineda Villa, capo delle finanze della sezione locale del cartello - i vincoli tra la Pineda Villa ed il narcotraffico sono stati provati dalla magistratura - e candidata a sindaco alle elezioni del 2015. Da questo incarico, secondo i “pentiti diventati collaboratori di giustizia”, intendeva organizzare le attività del cartello su scala nazionale.

Quel 26 settembre era in programma il lancio della candidatura di Pineda Villa. Spaventato davanti alla possibilità che l’irruzione in città degli studenti facesse saltare la festa, il marito sindaco ordinava alla polizia municipale di arrestarli per poi consegnarli ai sicari di Guerreros Unidos (www.elpais.com, 08/11/2014). Dalla galera, il capo dell’organizzazione criminale, Sidronio Casarrubias, conferma: “La notte del rapimento sono stato informato dal sindaco che gli studenti facevano parte di un gruppo criminale rivale (Los Rojos, I Rossi). Quindi, ho ordinato di difendere il territorio”.

 

Lo Stato di Guerrero vive un boom dell’oro e del turismo (spiagge e alberghi) ma, come avviene speso nei territori sotto neoliberismo, il 70% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il narcotraffico fiorisce. Come ovunque, dove attecchisce il narcotraffico si espande la violenza. Segnala il Rapporto Mondiale sulle droghe dell’ONU (UNODC, 2014): “Nel 2012 si sono registrate almeno 183.000 morti violente nei territori del narcotraffico” (www.unodc.org/documents).

Il Messico è in testa a questa macabra contabilità: solo sotto il precedente governo di Felipe Calderón (2006-2012), sono stati registrati ufficialmente 70.000 morti e 25.000 scomparsi (www.elpais.com, 14/11/2014). Nei primi 20 mesi dell’attuale governo presieduto dall’ex mezzobusto televisivo, Enrique Peña Nieto, gli scomparsi soni stati oltre 10.000 (Telesur, 30/09/2014).

Per dare a Cesare ciò che è di Cesare, conviene precisare che il narcotraffico ha solo amplificato il problema. La violenza è tra i frutti avvelenati di una transizione democratica incompiuta caratterizzata dall’impunità dei politici con la complicità generalizzata delle classi dirigenti. La Rivoluzione messicana, la prima del XX secolo, perfezionò l’autoritarismo preesistente. Dal 1929, presidenti onnipotenti governano senza contrappesi per 6 anni (per approfondire, consiglio la lettura del romanzo di René Avilés, “Il grande solitario del palazzo”). Quindi, l’irresponsabilità istituzionale diventava routine.

Nel 2000, dopo quasi 80 anni di governo del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), la stanchezza dei messicani portava alla presidenza il rappresentante locale della Coca Cola, Vicente Fox ma, dopo 2 governi di destra che nulla modificarono, il PRI tornava in gloria e maestà. Iguana ne è la dimostrazione: dopo oltre cent’anni della insurrezione capeggiata da Zapata e Villa, nel Messico la sicurezza e la giustizia sono sempre inesistenti.

 

Sempre per dare a Cesare, conviene ricordare che questo specifico tipo di violenza non si limita al Messico. Secondo il Rapporto 2010 della UNODC, il giro d’affari della delinquenza organizzata che controlla i mercati della droga, del traffico d’armi, di esseri umani (interi e a pezzi) e di animali, equivale all’1,5% del PIL mondiale e al 7% delle esportazioni globali di merci (oltre 700 miliardi di euro annui). Il 70% dei narcodollari è “lavato” dal sistema finanziario. La specificità del Messico, forse, è il suo legame con la corruzione spicciola: ad Iguala, infatti, anche i cattivi facevano parte dello Stato, e nei diversi massacri precedenti almeno la metà dei poliziotti lavorava per i criminali.

 

Se il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente. Nel Messico, il PRI ha governato ininterrottamente dal novembre 1910 fino al 2000 e perse per la prima volta nel 1989 una elezione (per il governatore della Bassa California).

Il problema non è la costituzione che, anzi, è stata la prima al mondo a riconoscere diritti sociali a tutta la popolazione e ad inventare un formula di economia mista assai simile a quella con cui Keynes contribuì a risolvere la crisi del ’29. Il problema è la forma e senso acquisiti dalla istituzionalizzazione del processo rivoluzionario, dall’egemonia corporativa che ha sequestrato lo Stato.

La debolezza dello stato di diritto fotografa la continuità dell’antica putrefazione, miscelando “caudillismo” e repressione esercitati dalle elite di potere a tutti i livelli, che gestiscono gli affari, monopolizzano il potere e mantengono corpi di polizia e strutture di governo corrotte proprio per evitare un processo di transizione democratica.

Ad esempio, nel 2005 il periodico “La Jornada” commentava così uno studio condotto su 1.346 piccole e medie aziende: “Corruzione, frodi e comportamenti disonesti costano annualmente al Messico 81 miliardi di dollari, il 12% del PIL. Le imprese pagano bustarelle per circa 29,7 miliardi di dollari annui (4,5% del PIL)... Il 43% spende il 10% delle loro entrate a questo scopo… Ancora più preoccupante: da tempo la corruzione è parte sostanziale della cultura nazionale. In media, i messicani sono iniziati alle pratiche corrotte a 12 anni, pagando bustarelle agli insegnanti, e hanno l’87% di possibilità di dovere pagare altre bustarelle nelle loro vite… I più poveri spendono il 25% del loro stipendio per pagare i corrotti… Il 63% delle piccole e medie aziende è stata vittima di frode, con un costo totale annuo di circa 13,2 miliardi di dollari” (www.jornada.unam.mx/2005/08/11). Da parte sua, la Banca Mondiale stima che il Messico spende oltre il 9% per la corruzione pagata dalla maggior parte dei cittadini. In contrasto, ne dedica il 6% per l’educazione (www.sdpnoticias.com/colonne 21/04/2013).

 

Avidità, centralizzazione e concentrazione del potere, monopolio dell’informazione, controllo del commercio e dell’industria, eccessiva burocrazia, bassi stipendi, debole etica privata e pubblica, mancanza di partecipazione cittadina (specie riguardo il controllo della gestione pubblica)… hanno favorito l’abuso di potere e la mancanza di rispetto di leggi e valori comuni. Lo scopo dichiarato è raggiungere il potere e l’arricchimento illegale/illegittimo.

Nell’elenco stilato da Corruzione internazionale il Messico occupa il posto 107 sui 157 Stati. Ne deriva che per i messicani sia più facile avere soldi che rispettare le leggi. Sempre Trasparenza internazionale scrive: “La storia di Guerrero è  la storia di una sequela di furti, tradimenti, comportamenti illegali, ignoranza, divisioni risolte con proiettili e assassinati, una cultura violenta che, unita ad una geografia di difficile accesso, costituisce un paradiso per il narcotraffico protetto da molti sindaci e dai loro apparati istituzionali e della omissione o complicità del resto delle istituzioni … L’abuso del potere per ottenere vantaggi politici colpisce chi paga le tasse mentre i tenutari di azioni corporative negano ai più bisognosi i servizi pubblici di base, inducendo un livello di disperazione che genera conflitti e violenza” (www.elpais.com, 09/11/2014). Ad Iguala, ad esempio, l’importante unità militare dell’esercito presente in città, “nulla seppe di quanto avveniva” (www.monografias.com/trabajos36/mexico-corrupto).

Racconta un giornalista de “La Opinión”: “In una seduta plenaria della Camera un deputato ha dichiarato: ‘Vogliamo chiedere il ritorno di Raúl Salinas de Gortari, perché chiedeva solo il 10% mentre ora esigono il 30%’... Era una denuncia molto potente, espressa nella massima tribuna del paese, ma non successe nulla. Tra i deputati, nessuno cambiò espressione ascoltando gli alti livelli a cui è arrivata l’avidità dei politici e dei funzionari pubblici” (http://ciudadanosenred.com.mx 26/10/2014).

 

Iguala non è una prima, nemmeno per quest’anno. A Tlatlaya, il 30 giugno 2014, la Commissione Nazionale di Diritti Umani ha stabilito: “I militari uccisero 15 dei 22 morti ritrovati in una cantina”, e il segretario esecutivo della Commissione Interamericana di Diritti Umani, il messicano Emilio Álvarez Icaza, chiosava: “Assistiamo ad una crisi in materia di diritti umani. La successione di stragi straordinariamente preoccupanti, dimostrano la debolezza e incapacità dello Stato” (www.elpais.com, 30/10/2014).

Questo il contesto in cui si sono sviluppati i grandi cartelli: Sinaloa, Beltran Leyva, Los Zetas, Juárez, del Golfo e Tijuana. Poi, con la guerra al narcotraffico, si sono moltiplicati i casi in cui sono direttamente coinvolte polizia e forze armate mentre la frammentazione dei grandi cartelli moltiplicava le organizzazioni in lotta per il controllo dei territori. La sanguinosa e crescente scia di violenza è la conseguenza diretta.

 

Dopo avere viaggiato all’incontro del G20 in Australia, Peña Nieto ha risposto proponendo il “Patto per il Messico”, ossia un accordo politico, economico e sociale per promuovere la crescita, costruire una società di diritti, eliminare pratiche clientelari e diminuire povertà e disuguaglianza sociale. Come va di moda, aggiunse: “Il governo non tratta ma decide”, s’intende in nome del bene comune. E per esemplificare cotanto decisionismo, specificava: “In appena 20 mesi, il Messico ha concretizzato 11 riforme. Questo successo storico ha comportato un profondo sforzo illustrato da 58 modifiche costituzionali e di 81 leggi oltre all’abrogazione di altre 15, 21 nuovi ordinamenti giuridici, la costituzione di 3 nuovi enti e il rinforzamento di altri 13 già preesistenti” (www. elpais.com, 20/08/2014).

Commenta la stampa locale: “Tra i costi nascosti del Patto per il Messico e le riforme si conta il chi ha dato ha dato e chi ha avuto avuto concesso al predecessore di Peña Nieto. Non ci sarà alcun procedimento giudiziario per i 70.000 morti e 25.000 scomparsi di Calderón. I responsabili non avranno alcuna punizione. E’ un prezzo dovuto perché, senza l’appoggio dei suoi senatori, non sarebbero passate la riforma energetica o la denazionalizzazione del petrolio (www.elpais.com, 05/11/2014).

 

Il guaio per il governo è che Iguala non è stato un altro episodio nella sequela di morti e scomparsi. Il Messico si è visto davanti ad uno specchio e non gli è piaciuto granché, tanto che oggi nulla riesce a tranquillizzare una società scioccata dalla sua stessa immagine. Né l’arresto del sindaco di Iguala e sua moglie, né la caduta del governatore dello Stato, né il ritrovamento dei resti incinerati che potrebbero corrispondere ai 43 studenti scomparsi.

A fine novembre, tutto il Messico si è mobilitato sotto la parola d’ordine “vivi li avete preso, vivi li vogliamo”, altre 2 manifestazioni sono in programma per l’inizio dicembre. Oltre alla indignazione per il viaggio del presidente e l’onerosa ristrutturazione della sua residenza ufficiale, il regime sembra avere perso la bussola e le sue debolezze appaiono in evidenza (eletto con il 38,2% dei suffragi, non dispone di maggioranza in nessuna delle 2 camere e il sindaco di Città del Messico appartiene all’opposizione). “Il governo cerca di far credere al popolo messicano che il sindaco e la sua donna siano due mele marce e il loro arresto porti giustizia agli studenti e le loro famiglie mentre lancia un Patto per la sicurezza con i suoi complici in Parlamento. Vogliono usare questi arresti per deviare e contenere lo scontento che continua ad esprimersi nelle strade” (www.laizquierdadiario.com, 18/11/2014).

 

Nel 2011, a Monterrey, un gruppo di sicari incendiò il “Casino Royal” provocando la morte di 53 persone (www.excelsior.com.mx, 26/08/2011). Quel massacro provocò un allarme generale e la società civile - imprenditori, media, sindacati - collaborarono attivamente per rinnovare la polizia e investire in opere social ed educative. Non risolsero il problema, ma lo resero gestibile. Operazioni similari si sono sviluppate a Tijuana e Ciudad Juárez.

Replicare questo modello a Guerrero sembra più difficile, non solo per la geografia, il basso livello educativo, l’alto indice di povertà e marginalità, ma perché richiede la messa in piedi in breve tempo di una strategia globale che inizi mettendo in piedi un sistema di sicurezza e  giustizia che protegga la vita umana tramite azioni legali e legittime (www.elpais.com, 09/11/2014), e prosegua con una modernizzazione complessiva dello Stato che comprenda meccanismi di trasparenza e controllo (specie della polizia), garanzie di equilibrio dei poteri, partecipazione cittadina, riforme della giustizia che includano penalità forti per la corruzione, miglioramento delle condizioni lavorative dei funzionari pubblici, implementazione delle riforme già approvate e un lungo eccetera.

Senza di ciò, probabilmente ascolteremo a breve un’altro “Grido di Dolores” (inizio della guerra d’Indipendenza). Questa volta, però, non avrà alla testa qualcuno che somigli al prete Miguel Hidalgo y Costilla o ai partiti politici esistenti, ma una società civile satura e incazzata. Una tale situazione nella seconda nazione latinoamericana dal punto di vista economico e dalla popolazione, non potrà che avere pesanti ripercussioni su tutta la regione, ivi inclusa nella superpotenza con cui confina. Ciò apre spazio a molte congetture sul futuro prossimo del Messico, compreso il possibile coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti. Ce ne dovremmo occupare a breve.

R. A. Rivas

Città di Castello, novembre 2014 

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