Nel 35° anniversario dell’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador e nel 32° di quello della giovane presidente della Commissione per i diritti umani

Oscar Arnulfo Romero e Marianella García Villas, martiri per il proprio popolo

Anselmo Palini

Lunedì 24 marzo 1980 viene assassinato Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador; tre anni dopo, il 13 marzo 1983, viene uccisa, a soli 34 anni, sempre in El Salvador, Marianella García Villas, presidente della Commissione per i diritti umani.

Romero trova la morte mentre sta celebrando la Santa Messa, Marianella mentre sta raccogliendo prove sull’uso di armi chimiche da parte dell’esercito salvadoregno.

 

Un sacerdote “romano” e una giovane borghese

Ciò che maggiormente influenza la formazione di Oscar Romero sono i sei anni trascorsi a Roma (1937-1943) per gli studi teologici. Questo periodo di studio e di formazione opera in Romero una sorta di “romanizzazione”, centrata su un’idea alta della funzione della Chiesa e sull’affermazione del primato dell’ecclesiale e dello spirituale. Gli studi romani sono per il giovane Romero occasione di formazione, non di ricerca teologica. E formazione significa fondamentalmente adesione al Magistero della Chiesa e svolgimento puntiglioso dei propri doveri di pietà religiosa. Roma sarà sempre per Romero “madre e maestra”, come scrive nel suo Diario. A 25 anni, il 4 aprile 1942, Oscar Romero è ordinato sacerdote. Nell’agosto 1943 lascia Roma e fa ritorno in El Salvador. 

Marianella García Villas, dell’alta borghesia salvadoregna, si forma invece nell’Acus (Asociación Católica Universitaria Salvadoreña): questa è un’esperienza fondamentale perché si trova a discutere e analizzare i documenti del Concilio e di Medellin, a leggere i testi della teologia della liberazione, ad approfondire i concetti di “ingiustizia strutturale”, di “peccato sociale” e di “scelta preferenziale per i poveri”.  

 

Un giovane prete legato alla tradizione, una giovane donna determinata

Dal 1943 fino al 1967 Romero opera nella diocesi di San Miguel assumendo molti altri incarichi, come quello di segretario del vescovo e di parroco. Il Romero di San Miguel, in continuità con il periodo romano, si rifà per lo più alla tradizione. I temi della sua predicazione sono fondamentalmente i novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso. Le sue preoccupazioni riguardano in particolare la cura dei doveri spirituali e liturgici, la disciplina ecclesiastica, il contrasto alla diffusione del protestantesimo, la lotta contro i massoni, la denuncia del comunismo.  

L’esperienza nell’Azione Cattolica Universitaria aveva invece fatto ben presto capire a Marianella la grave situazione in cui versava il proprio popolo. Il primo strumento che utilizza per cambiare la realtà delle cose è la politica. Entra a far parte del settore giovanile della Democrazia cristiana. Marianella e altri giovani del partito elaborano un pacchetto di idee e proposte molto avanzate: il loro intento è quello di affrontare con coraggio i drammatici problemi del proprio Paese sulla base di un orientamento che si ispira alle nuove indicazioni della dottrina sociale cristiana.

Un vescovo conservatore,  una parlamentare progressista

Il 21 aprile 1970 Romero viene nominato vescovo. Il motto che sceglie per il suo ministero episcopale è: Sentir con la Iglesia. È un programma di vita che sta a indicare un aspetto che Romero non abbandonerà mai, l’amore e l’attaccamento alla Chiesa. Non tutti i preti salvadoregni apprezzano la nomina del nuovo vescovo, che diviene ausiliare di San Salvador: i più entusiasti dei cambiamenti provenienti dal Concilio e dalla Conferenza di Medellin vedono nella nomina di Romero una vittoria della tradizione e di quella parte della Chiesa latinoamericana avversa ad ogni cambiamento. Il 15 ottobre 1974 Romero viene nominato vescovo di Santiago de Maria, dove rimane per due anni, manifestando sempre posizioni fedeli alla tradizione. Un vescovo, insomma, conservatore.

Nel 1974 Marianella viene eletta come deputato al Parlamento, all’interno del cartello della Unión Nacional Opositora, che riunisce i democristiani, i socialdemocratici e i comunisti. La maggioranza assoluta resta comunque al Partido de Conciliación Nacional, espressione dell’oligarchia economica. Se il lavoro nell’aula parlamentare risulta frustrante e improduttivo, l’attività nella commissione Bienestar publico (Benessere pubblico), della quale fa parte Marianella, si rivela invece significativa: la commissione infatti si trova a visitare i luoghi in cui avvengono i primi massacri di contadini, colpevoli di reclamare la distribuzione delle terre o salari più giusti.  

La svolta.

Una speciale “fortezza pastorale” per Romero, le armi del diritto per Marianella

Alla fine del 1976 l’arcivescovo di San Salvador, mons. Luìs Chavez Gonzalez, in lieve anticipo sulla scadenza del suo mandato, rassegna le dimissioni. L’ausiliare, Arturo Rivera y Damas, sembra il naturale candidato a sostituirlo, ma per le sue posizioni critiche nei confronti del governo non ottiene l’incarico. La scelta, sostenuta dalle massime autorità ecclesiali della regione e anche dall’oligarchia economica e politica, cade così su Oscar Romero, ritenuto più moderato. L’ingresso a San Salvador come arcivescovo avviene il 22 febbraio 1977.

Pochi giorni dopo un fatto drammatico sconvolge la vita del neo arcivescovo. Il 12 marzo 1977 il gesuita padre Rutilio Grande, fraterno amico di Romero, viene assassinato a colpi di arma da fuoco. Assieme a lui sono uccisi due campesinos. Rutilio Grande, con la sua vita accanto ai contadini, era visto come colui che li spingeva alla lotta politica e sindacale; dunque era considerato un pericolo per gli interessi degli agrari. Romero considerava padre Rutilio un vero uomo di Dio, un pastore autentico. L’assassinio del gesuita è pertanto un fatto sconvolgente per l’arcivescovo: per la prima volta la violenza del potere lo tocca nei propri affetti più cari e lo costringe a interrogarsi a fondo sui motivi di tutto ciò. Di fronte al cadavere dell’amico, Romero inizia a comprendere che il Corpo vivente di Cristo, i poveri, sono oppressi e uccisi da un potere politico ed economico che si presenta come baluardo della cristianità, ma che in realtà è inumano e anticristiano.  

Tra il 1977 e il 1980 altri cinque sacerdoti vicini a mons. Romero vengono assassinati dalle Forze di sicurezza e dagli squadroni della morte. Cadono sotto il fuoco della repressione anche un numero imprecisato di catechisti e di delegati della Parola, oltre a contadini sindacalizzati ed esponenti delle forze di opposizione. La situazione di ingiustizia e di violenza istituzionalizzata diffusa in Salvador è radicalmente in contrasto con i precetti evangelici; Romero sceglie di stare dalla parte di chi subisce l’ingiustizia e chiede ai governanti di porre fine alla repressione. Romero stesso era solito parlare di “svolta” nella sua vita. Preferiva però dire che, grazie al sacrificio di padre Rutilio, Dio gli aveva concesso una particolare “fortezza pastorale”, capace di fargli affrontare con coraggio conflitti e persecuzioni, senza vacillare di fronte al dramma di sacerdoti, catechisti, fedeli, torturati o uccisi, senza smarrirsi di fronte alle divisioni laceranti che spaccavano il Paese e la Chiesa salvadoregna.

Marianella intanto era uscita dalla Democrazia cristiana, ritenendola troppo tiepida nei confronti dei militari. In una situazione di sempre maggiore repressione e di diffusa violenza, nell’aprile 1978 si decide di costituire una “Commissione per i diritti umani”, con il compito di coordinare le difese dei prigionieri politici e raccogliere prove e testimonianze sulle sempre più gravi e diffuse violazioni dei diritti umani. Marianella è tra i principali promotori di questa Commissione e in seguito ne diverrà Presidente. Nell’ufficio della Commissione è un continuo via vai di persone, che denunciano soprusi e violenze, presentano reclami, chiedono di essere difese, sollecitano ricerche per la scomparsa di familiari e amici. Marianella, abbandonata l’attività politica diretta, sceglie dunque le armi del diritto per opporsi alla dittatura militare.  

Insieme contro la repressione e in difesa del popolo salvadoregno

A Oscar Romero, divenuto la voce di un popolo oppresso e perseguitato, ogni fine settimana Marianella fa avere informazioni dettagliate su quanto avvenuto nel Paese: uccisioni, torture, massacri, sparizioni. Così l’arcivescovo può preparare la propria omelia domenicale, utilizzando anche le informazioni che gli arrivano dal “Socorro Juridico”, un organismo diocesano. Per l’arcivescovo Oscar Romero compito del sacerdote è annunciare la Parola di Dio, senza però separarla dalla realtà storica. Le omelie di Romero rappresentano il tentativo di illuminare con la Parola di Dio i momenti difficili e tragici che il Salvador sta vivendo.   

Ben presto i vescovi del Paese, ad eccezione di Arturo Rivera y Damas, contestano fermamente l’operato di Romero. Lo accusano di fomentare le rivolte e di non ricercare la collaborazione con il potere politico. Lo dipingono come sovversivo, come comunista. Da Roma è però Paolo VI a incoraggiare e sostenere l’arcivescovo di San Salvador.

L’assassinio dell’arcivescovo e l’esilio di Marianella

Con gli inizi del 1980 la situazione in Salvador va sempre più degenerando. Le forze armate e gli squadroni della morte, incuranti degli inviti a porre fine alle violenze, continuano nella loro opera di repressione contro la guerriglia e contro le forze sindacalizzate, contro i sacerdoti e i catechisti più impegnati nella pastorale, contro gli esponenti delle comunità di base; numerose persone sono catturate, torturate e uccise, altre vengono espulse dal Paese. Gli appelli di Romero a cessare la repressione e attuare le riforme restano inascoltati.  

Il 17 febbraio 1980 Romero prende un’iniziativa senza precedenti: scrive al presidente americano Carter, per chiedergli di non concedere aiuti miliari alla Giunta militare, poiché essi avrebbero favorito la repressione. Le richieste di Romero rimangono inascoltate. Domenica 23 marzo, ultima di Quaresima, Romero celebra la messa nella basilica del Sagrado Corazón. Nell’omelia si appella direttamente ai soldati perché non obbediscano a leggi ingiuste e non vadano contro la legge di Dio, che chiede di non uccidere. Questo invito alla disobbedienza è probabilmente ciò che spinge gli squadroni della morte a mettere in pratica il piano di eliminare la voce scomoda dell’arcivescovo. Il giorno successivo, lunedì 24 marzo, mentre sta celebrando la Messa nella chiesa dell’ospedale della Divina Provvidenza, Oscar Romero viene assassinato.

Marianella ha la notizia dell’assassinio di mons. Romero mentre è nella sede della Commissione. La notizia viene subito dopo confermata da una telefonata della segretaria dell’arcivescovo. Pur essendo da tempo l’arcivescovo nel mirino delle forze militari e  degli squadroni della morte, il suo assassinio getta Marianella e i suoi compagni nello sconforto: c’era sempre stata la speranza che così in alto non si sarebbe mai giunti a colpire. Dopo lo sconcerto e lo sconforto, dalla Commissione partono telefonate per tutto il mondo.

Con l’assassinio di Oscar Romero, il Paese scivola lentamente verso la guerra civile, che si protrae fino al 1992, con quasi 80 mila vittime su una popolazione che allora contava meno di quattro milioni di abitanti. 

Un vescovo educato dal popolo, una donna avvocata del popolo

La lapide posta sulla tomba di Romero riporta semplicemente il suo motto episcopale: sentir con la Iglesia. Il suo desiderio è stato, infatti, fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale, quello di vivere il messaggio cristiano restando fedelmente ancorato alla Chiesa. Soprattutto nei tre anni in cui è stato arcivescovo di San Salvador, Romero ha sempre più chiaramente sentito il grido del proprio popolo, oppresso nei diritti fondamentali, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolenza per uscire dal dramma che stava vivendo. Come ha scritto il card. Carlo Maria Martini, Oscar Romero è stato dunque «un vescovo educato dal suo popolo».

In qualità di Presidente della Commissione per i diritti umani, Marianella, soprattutto dopo la morte di Romero, si reca spesso all’estero per illustrare la situazione del proprio Paese e per chiedere aiuto e sostegno per il proprio popolo. Nel novembre 1979 è in Italia, a Firenze, al Congresso della “Federazione internazionale per i diritti umani” e in tale occasione viene eletta vicepresidente di tale federazione. Nel 1981, esattamente il 23 marzo, è ancora in Italia, a Padova, alla vigilia dell’anniversario dell’assassinio di Oscar Romero. La città è attanagliata dalla paura generata dal terrorismo. Da anni ormai non vi sono più grandi manifestazioni. Quel giorno però un grande corteo di oltre cinquemila persone percorre la città per poi confluire in Piazza dei Signori ad ascoltare Marianella. Il 24 novembre 1981 Marianella è a Roma, in Campidoglio, accanto al Sindaco Ugo Vetere e allo scrittore uruguayano Eduardo Galeano, per la giornata in cui si ricordano i desaparecidos in America latina. Sempre in Italia tiene incontri anche in altre città, come Brescia, Bologna, Milano, Parma, Livorno. Marianella viene poi accreditata a Ginevra presso la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite, dove si reca più volte per porre a livello internazionale i drammatici problemi che interessano il proprio Paese. Marianella, come avvocato del proprio popolo, gira dunque il mondo per raccogliere sostegno e solidarietà.

Per Marianella la stessa fine di Monsignore

Il 19 gennaio 1983 Marianella torna in El Salvador assieme alla religiosa Luz Maria Hernandez. A San Salvador ha una serie di incontri: con l’arcivescovo Arturo Rivera y Damas, con esponenti dell’Università Cattolica e delle forze di opposizione.

Poi si trasferisce a Chalatenango, Morazan, San Vicente, Yucaplan, da dove giungevano notizie sempre più frequenti circa l’uso di armi chimiche, al fosforo bianco e al napalm, da parte di forze armate salvadoregne. Marianella viene catturata dal battaglione Atacatl il 13 marzo, mentre sta raccogliendo per la commissione Onu sui diritti umani le prove, anche fotografiche, sull’uso di queste armi da parte dei militari. In quella stessa operazione decine di campesinos rimangono uccisi. Condotta in elicottero alla Scuola Militare di San Salvador, viene brutalmente torturata e infine dilaniata da proiettili esplosivi. Il giorno dopo, 14 marzo, il suo corpo martoriato viene riconsegnato ai familiari. Da pochi giorni era terminata la visita di Giovanni Paolo II in El Salvador.

L’assassinio di Marianella provoca una grande impressione anche in diversi Paesi europei, dove la giovane salvadoregna era venuta più volte per chiedere appoggio alla causa del proprio popolo. In Italia, numerosi parlamentari presentano al Presidente del Consiglio e al Ministro degli esteri delle interrogazioni per sollecitare una presa di posizione. Intervengono, tra gli altri, anche il filosofo Norberto Bobbio, che invia un telegramma alla Commissione salvadoregna per i diritti umani per esprimere tutta la propria vicinanza e solidarietà, e padre David Maria Turoldo, che scrive un telegramma a papa Giovanni Paolo II chiedendogli di additare al mondo intero il sacrificio di Marianella.

Due restauratori della dignità umana

Marianella e Oscar Romero hanno offerto la vita per il proprio popolo e di entrambi dobbiamo fare memoria, non nel senso di celebrare il loro ricordo in inutili rituali, bensì per fare nostri i loro esempi e per trarre dalle loro azioni motivi per un impegno sempre più incisivo nella difesa e nella promozione della dignità umana, come ha puntualmente osservato Ettore Masina:

«Romero e Marianella, questi due santi che ricompongono l’identità dei poveri e ridanno loro la nobiltà dei nomi ricevuti al fonte battesimale, questi due restauratori della dignità umana violata, mi sembrano viventi icone che noi dobbiamo contemplare con venerazione – e vorrei dire: venerazione attiva. È questo che siamo chiamati a fare, se non vogliamo perderci in inutili rimpianti o nostalgie o, peggio ancora, rituali celebrativi. Fare memoria, infatti, non vuole dire ricordare, vuol dire vivere profondamente come nostri e attuali gli esempi di fede che cerchiamo di rileggere, sentendoli parte integrante della nostra storia; vuol dire renderci conto della verità che Ernesto Balducci ci spiegava dicendo che i santi ci sono dati perché noi non possiamo più vivere come se essi non ci fossero stati. E cioè per offrirci una nuova qualità di vita, per stanarci dalle nostre pigrizie e dai nostri pessimismi, per dirci che, attraverso noi, ma non senza di noi, un altro mondo è possibile».

Note

Anselmo Palini è autore di Oscar Romero. “Ho udito il grido del mio popolo” editrice Ave, Roma 2010 con prefazione di Maurizio Chierici e di Marianella Garcia Villas. Avvocata dei poveri, compagna degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi, editrice Ave, Roma 2014, con prefazione di Raniero La Valle e postfazione di Linda Bimbi. Quest’ultimo libro il 2 aprile 2014 è stato presentato alla Camera dei Deputati con gli interventi, oltre che dell’autore, di Marina Sereni, vicepresidente della Camera, di Raniero La Valle, del prof. Massimo De Giuseppe, della parlamentare Marina Berlinghieri, della giornalista Rai Cecilia Rinaldini e della signora Aida Luz Santos de Escobar, Ambasciatrice di El Salvador presso lo Stato italiano. Anselmo Palini è autore anche del libro Pierluigi Murgioni. Dalla mia cella posso vedere il mare, editrice Ave, Roma 2012, prefazione di Domenico Sigalini. A Pierluigi Murgioni, che pagò la propria fedeltà al vangelo di pace e di giustizia con oltre cinque anni e mezzo di carcere duro e di torture in Uruguay al tempo della dittatura militare, si deve la traduzione in italiano del Diario di Oscar Romero (editrice La Meridiana).

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