Il primo permesso premio dopo 24 anni da uomo ombra

Carmelo Musumeci

Oggi non avevo voglia di vedere e di parlare con nessuno, ma non sono riuscito a rimanere solo con la mia solitudine.  (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

 

Prima parte

Che fareste se dopo vent’anni di carcere aveste solo undici ore per rivedere quelli che amate? Di queste undici ore Carmelo ci racconta, con un ritmo che toglie il respiro, nel moto ondoso delle parole. Ma ci racconta anche della notte prima, lui che nella sua branda gioca di continuo con la morte, la invoca fulminea perché lo salvi dalla sua condanna a morte a rallentatore di Uomo Ombra. Stanotte no, stanotte ha paura di morire prima delle sue undici ore da uomo libero, morire come Mosè un istante prima di toccare la terra promessa, hai visto mai un dispetto di Dio. Ma vive. È mattina. I cancelli che dovrà passare sono undici, come le ore eterne e sfuggenti che ha davanti, un film serrato che concentra ogni passione, ma senza lieto fine. Alle 22.00 varcherà a ritroso l’undicesimo cancello, e sarà di nuovo solo. “Io e l’Assassino dei Sogni”.

(Prefazione di Barbara Alberti a “Undici ore d’amore di un uomo ombra” C. Musumeci, Gabrielli Editori)

 

Da fuori l’Assassino dei Sogni fa ancora più paura. Sembra ancora più brutto. Ad un tratto il suo cancello enorme si apre. Sembra la bocca di un mostro. Il suo rumore metallico rimbomba nelle mie orecchie. Quella è la sua voce. Ancora un passo e sarà tutto finito. Sarò di nuovo un uomo ombra. Un’ombra fra tante. Faccio quel passo. Provo la sensazione di non esistere più. E mi faccio divorare dall’Assassino dei Sogni, lasciando alle mie spalle la libertà, l’amore e la felicità.

(Carmelo Musumeci “Undici ore d’amore di un uomo ombra” Gabrielli Editori)

 

Quattro anni dopo “Undici ore d’amore di un uomo Ombra”

Sono passati quattro lunghi anni dalle uniche undici ore che ho trascorso, in ventiquattro anni di carcere, nel mondo dei vivi.

E ricordo che mi erano stati concessi con un permesso di necessità per andarmi a laureare da uomo libero.

Dopo non sono più riuscito ad uscire perché con l’ergastolo ostativo non puoi usufruire di nessun permesso premio e di nessun beneficio penitenziario se non collabori con la giustizia.

E allora non ho potuto fare altro che darmi da fare per fare conoscere che in Italia, Patria del Diritto Romano e della Cristianità, esiste la “Pena di Morte Viva” (così chiamiamo l’ergastolo ostativo, che ti mura vivo senza la compassione di ucciderti).

Nonostante non sia più riuscito ad uscire, non mi sono mai pentito di essermi ripresentato quattro anni fa con le mie gambe davanti all’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) perché per una volta, una volta sola, ho potuto dimostrare di essere migliore di uno Stato che condanna una persona a essere cattiva e colpevole per sempre.

Adesso, dopo quattro lunghi anni, i ricordi di quelle “Undici ore d’amore” sono diventati sempre più piccoli, perché nella mia mente ho rivissuto quei ricordi tante di quelle volte che li ho consumati.

E purtroppo per un uomo ombra vivere è come bruciarsi senza calore.

 

Continua

 

Il primo permesso premio dopo 24 anni da uomo ombra

di Carmelo Musumeci

 

Incredibilmente, se non sei messo nelle celle di punizione, il carcere è il posto più difficile dove poter stare soli.  (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

 

Seconda parte

 

La paura dell’attesa

Sono due anni e mezzo che ho presentato la prima richiesta di permesso alla magistratura di sorveglianza.

E non ho mai ricevuto nessuna risposta.

In carcere si sta al mondo ma non si vive nessuna vita.

E quando aspetti una risposta accade spesso che quella che passa sembra la giornata più lunga.

Poi l’indomani però pensi la stessa cosa, perché il tempo in carcere non passa mai.

Forse perché dentro l’Assassino dei Sogni il tempo è tempo perso.

Tempo vuoto.

E senza amore.

La sera poi è ancora più lunga.

E la mattina non arriva mai.

Ti senti come un cadavere vivo chiuso fra quattro mura.

Davanti un blindato. Dietro una finestra piena di sbarre.

Nel mezzo il tuo cuore vivo.

E prigioniero in attesa di una risposta.

 

Negli ultimi tempi faccio fatica ad arrivare alla fine della giornata perché il mio magistrato di sorveglianza continua a non rispondermi.

Ed io non ce la faccio più ad aspettare di sapere se posso sperare di morire un giorno da uomo libero.

La mia unica consolazione è che se questa risposta ritarda così tanto può essere positiva, ma è poco, troppo poco, per poter fare sera e fare mattina.

Mentre aspetto questa maledetta o benedetta risposta non riesco a trovare nessuna via di uscita da questo tunnel di ansia.

E non riesco a trovare nessun conforto pensando che questa risposta potrebbe essere positiva, perché quando sei torturato t’interessa poco sapere che un giorno non lo sarai più.

L’ansia di questa risposta che non arriva mai mi tormenta dalle prime ore del mattino fino all’ultimo minuto della giornata.

Prima di presentare questa richiesta di permesso mi sentivo vivo e avevo tanta forza per tenermi in vita. Adesso invece quando mi sveglio al mattino mi chiedo come riuscirò ad affrontare un’altra giornata e arrivare a sera.

Non riesco più a trovare la forza di andare avanti.

Desidero solo che arrivi prima possibile questa maledetta o benedetta risposta.

E anche se fosse una condanna a morte sarei lo stesso felice, perché una non risposta è più crudele dell’ergastolo ostativo.

Sono stressato dall’attesa.

E ho perso quattordici chili di peso.

Nella mia vita ho conosciuto tutto quello che c’era d’aver paura, ma non conoscevo ancora la paura dell’attesa.

 

Continua

l primo permesso premio dopo 24 anni da uomo ombra

di Carmelo Musumeci

 

Questo mese sembra non finire mai, forse perché in carcere il tempo si dilata in un minuto qualsiasi, in un’ora qualsiasi, in un giorno qualsiasi di qualsiasi giorno.

(Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

 

Terza parte

 

L’attesa è finita

Caro Carmelo credo che il miglior metodo per lottare e sopravvivere lo abbia trovato lei da se, scrivendo bellissime pagine. Seguiti a scrivere, a far conoscere la vita e i sogni, se ci sono ancora, di un ergastolano, far conoscere quanta umanità si può trovare in carcere e quanta cattiveria fuori.

(Margherita Hack)

 

I filosofi dicono che le cose belle accadono solo a chi sa aspettare.

E io credo sempre a quello che dicono i pensatori, ma a volte anche loro si sbagliano.

Finalmente mi arriva la risposta che tanto aspettavo.

Ed è negativa.

Dopo due anni e mezzo d’attesa anche la magistratura di sorveglianza di Padova mi conferma che uscirò dal carcere solo da morto.

E mi chiedo perché ci hanno messo tutto questo tempo a decidere.

Poi rifletto che i buoni sono proprio strani.

Ed io proprio non li capisco.

Probabilmente non li comprendo perché io sono cattivo.

 

Adesso dovrò riprendere l’abitudine di pensare di nuovo da uomo ombra.

E rileggo per l’ennesima volta questa lettera di Tiziana:

 

Una sola cosa sento di non potere condividere di ciò che mi scrivi, certamente non per spirito di contraddizione, né tanto meno per smorzare la verità di ciò che sei costretto a subire. È solo che quando parli di speranza e la equipari al “veleno” che avvelena pian pianino la tua vita, io non riesco a condividere con te questa convinzione. Capisco il senso e il motivo per cui parli così: cioè come se la speranza fosse il respiratore che costringe un corpo a restare in vita. Ma io credo che il veleno di cui parli sia la frustrazione della speranza. Allora, mentre la speranza abita la tua anima bellissima e di lei devi fidarti ed esserne fiero, la frustrazione della speranza non proviene da te, né dalla tua responsabilità, né dalle tue scelte. La speranza è la tua stessa vita, i tuoi affetti, quelli per i quali hai il coraggio di rappezzare ancora una volta il cuore rinunciando a gesti decisi nello sconforto, ma del tutto inefficaci. Ti chiedo di continuare a scrivere, di non fermarti nel far sapere, a noi che siamo qui ignari di tante cose, ciò che vivi e vivete. Il dono di scrivere che hai non è di tutti. Parla e racconta non solo per te, ma per tanti.

 

Tutte le volte che rileggo questa lettera scrollò la testa pensando che per realizzare i sogni bisogna prima sognarli, ma gli uomini ombra non possono sognare.

Possono solo sopravvivere.

Sopravvivere purtroppo non è come vivere.

E non è neppure come morire.

Poi per tutto il giorno il mio cuore mi sussurra di dimenticare il mio passato perché ormai per me tutto è finito.

E mi consiglia di vivere vivo solo le emozioni dei miei figli e dei miei nipotini perché io non ne avrò mai più.

Alla sera telefono alla mia compagna, che mi aspetta inutilmente da ventiquattro anni.

 

E le dico che l’attesa è finita.

Poi negli ultimi secondi di quei miseri dieci minuti di telefonata che ci concedono faccio in tempo a dirle che il suo amore è tutto quello che mi è rimasto di lei.

 

Continua

 

 

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