AMBIENTE

Le mani sullo Ionio

Breve trattazione su inquietanti richieste di esplorazione off-shore finalizzate all’estrazione di petrolio nello Ionio.
Renato Brucoli (Responsabile casa editrice Insieme)

È in atto un autentico assalto ai fondali del Mar Ionio. A determinarlo, la spasmodica ricerca di giacimenti petroliferi fra il Capo di Leuca e il Golfo di Taranto.

 La bellezza 

L’area interessata è d’incomparabile bellezza naturalistica e paesaggistica. Di forte attrazione per il turismo. È al centro del Mediterraneo. Ricca di umanità accogliente e inclusiva. Custodisce, come in uno scrigno, pregevoli ecosistemi marini, nelle cui profondità spicca il rinvenimento del corallo bianco, manifestatosi di recente. Nel “mare nostrum” si credeva estinto da almeno quindicimila anni: rispunta sorprendentemente dai fondali di Leuca. Al largo, la fauna ittica annovera i grandi cetacei. Offre incoraggianti indici d’incremento del pescato. L’entroterra segnala la produzione agricola legata all’enogastronomia d’eccellenza. Le fonti energetiche rinnovabili, eoliche e fotovoltaiche, fugano l’insidia dei rigassificatori e del nucleare. Il National Geographic classifica la Puglia fra le più belle regioni al mondo. E il Salento ne è la perla.

Cosa accadrà

Questo contesto viene però messo in crisi dalle ripetute richieste di esplorazione off-shore finalizzate all’estrazione di petrolio, presentate negli ultimi mesi dalle compagnie straniere Global Med Llc e Schlumberger. I ministeri dello Sviluppo economico e dell’ambiente si accingono a considerarle. Hanno per oggetto la ricerca e l’estrazione dell’oro nero, e costituiscono un’autentica minaccia agli ecosistemi integrati marino e terrestre.

Tre le aree marine in cui ricadono i presunti giacimenti, vaste complessivamente più di 8.000 chilometri quadrati. Due al largo di Leuca, convenzionalmente denominate “d 89 F.R-GM” e “d 90 F.R-GM”; l’altra nel Golfo di Taranto, la “d 3 F.P-.SC”. I fondali saranno presto oggetto di un autentico “bombardamento” con raffiche di air gun, autentici cannoni ad aria compressa. Subiranno emissioni di energia sismica e devastanti impulsi acustici finalizzati a rilevare la struttura e l’eventuale consistenza ed estensione di idrocarburi intrappolati. Insieme alla roccia madre, risulteranno però colpite anche la flora e la fauna acquatica, le uova e gli embrioni ittici. Uno scempio inenarrabile. Alcuni mammiferi marini, quali il capodoglio e il grampo, impauriti e disorientati, tenderanno a emergere con rapidità. Forse spiaggeranno. Moriranno per embolia. È accaduto al largo delle coste abruzzesi e non solo in circostanze analoghe. Rinvenuto il petrolio, entreranno in funzione le piattaforme off-shore e le trivelle. Anch’esse di notevole impatto ambientale.

Fondali ionici

L’inquietante scenario riguarda le province di Lecce, Crotone, Cosenza e Matera. Il Salento è la terra più esposta, nei comuni costieri che ruotano a girocollo da un mare all’altro, fra lo Ionio e l’Adriatico: Gallipoli, Sannicola, Porto Cesareo, Galatone, Nardò, Taviano, Racale, Alliste, Ugento, Salve, Morciano di Leuca, Patù, Castrignano del Capo, Gagliano del Capo, Alessano, Corsano, Tiggiano, Tricase, Andrano, Diso, Castro, Santa Cesarea Terme, Otranto.

Le odierne richieste di attività esplorativa rinvengono dai risultati conseguiti fra gli anni Sessanta e Novanta nelle viscere dell’Appennino meridionale, lungo la catena orientale che sfocia nell’avanfossa ionica. La continuità di assetto geo-logico fra aree emerse e marine, rafforza gli esperti nella convinzione che anche nello Ionio settentrionale e meridionale, così come già acclarato in Adriatico, possano esserci canali di idrocarburi generati da accumuli di carbonati di età Mesozoica, costituiti fra i 99 e i 245 milioni di anni fa; nel Terziario inferiore sigillati da falde argillose di scorrimento appenninico, quindi da barriere coralline e da sequenze saline.

È intelligente indagare in questa trappola stratigrafica? È conveniente strappare le rocce serbatoio?

Intelligente non lo è, per il semplice fatto che i rilievi tecnici risultano finalizzati all’estrazione del petrolio. Operazione analoga ha determinato immani danni ambientali nel Golfo del Messico non più tardi di quattro anni fa: c’è chi ricorda cos’è accaduto in prossimità della piattaforma Deepwater Horizon il 20 aprile 2010? L’inferno, è accaduto. E il massiccio sversamento di petrolio in mare, equivalente a milioni di barili, è durato 106 giorni. L’oro nero si è sedimentato sui fondali e ha aggredito le coste. A quasi un lustro dall’accaduto, non sono calcolabili i danni.

L’operazione potrebbe essere “conveniente”. Ma solo per pochi! Global Med, una fra le società proponenti, ha sede a Littleton, in Colorado, ed è di proprietà esclusiva del magnate Randall Thompson, da sempre collegato con la potenza mineraria inglese Bhp Billiton. Nello Ionio, Thompson tenta il salto di qualità: finora attivo solo nelle indagini stratigrafiche in giro per il mondo, per le quali ha impegnato non meno di 750 milioni di dollari in pochi anni, dichiara ora di voler governare in proprio l’intera filiera, dalla ricerca esplorativa all’estrazione e commercializzazione del greggio, nell’unica area a sud di Leuca. Si dice “incline” a coinvolgere personale locale nello svolgimento delle attività, ma almeno per il momento ha predisposto un organigramma rigorosamente anglofono e finanche parentale, dal livello manageriale a quello amministrativo e operativo, con l’unica eccezione dello studio legale che cura gli interessi nel Bel Paese.

La Schlumberger, altra realtà richiedente, è la più grande compagnia al mondo di servizi per società petrolifere. Ha sede principale a Huston, in Texas, e svolge attività in 85 Stati. Usa la tecnica dell’air gun in 2D e 3D. Per proporzione e configurazione è un’autentica multinazionale, con fatturato annuo oscillante fra i 3 e i 5 miliardi di dollari. Un potentato che non si ferma di fronte a nessun ostacolo.

Non si può dire, però, che le cause dell’inquietante scenario odierno provengano soltanto da oltreoceano. Ce ne sono di rigorosamente italiche.

Le strategie politico-economiche inaugurate dal governo Monti con il decreto Sviluppo Italia e incrementate dal governo Renzi con lo Sblocca Italia, implicano l’avocazione della materia ambientale ed energetica al livello centrale, sottratta alla potestà amministrativa degli enti locali, con evidente amputazione di pezzi significativi di sovranità popolare; allargano di fatto le maglie dei divieti in mare per favorire l’attività di ricerca, prospezione, estrazione e trasporto di idrocarburi. Stando così le cose, le popolazioni presenti sul territorio non saranno più in grado di influire sulla salvaguardia delle aree marine che ricadono oltre le 12 miglia nautiche dalla linea costiera, dette territoriali.

Nell’attuale fase procedurale di valutazione dell’impatto ambientale, a poco varranno le opposizioni che le amministrazioni locali e i cittadini, singoli e associati, indirizzeranno al ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Direzione Generale per le Valutazioni Ambientali - Divisione II Sistemi di Valutazione Ambientale, Via Cristoforo Colombo 44, 00147 Roma, tel. 06.57225903, DGSalvaguardia.Ambiente@PEC.minambiente.it). A nulla, purtroppo, servirà segnalare la prossimità delle aree di ricerca ad aree marine già individuate come parchi naturali regionali (Porto Selvaggio e la Palude del Capitano, ad esempio), o come zone a protezione speciale d’importanza mediterranea (Porto Cesareo, il litorale di Gallipoli e la costa Otranto-Santa Maria di Leuca), o a zone umide di rilievo internazionale, o ad aree di reperimento e archeologiche, o a siti d’interesse nazionale costieri… Nulla sarà d’impedimento ai disegni dei magnati del petrolio, complici i trattati internazionali sottoscritti negli ultimi decenni in clima di deregulation, secondo i principi dell’economia di mercato. Ogni cosa sarà sacrificata sull’ara del dio petrolio. Fatta salva la possibilità di affermare la propria fede ecologica, d’invocare il controverso “principio di precauzione” frattanto fissato a livello di comunità internazionale ed europea, di sottoporre l’attuale normativa interna (specie l’art. 38 del decreto legge n. 133/2014 convertito in legge 164/2014) a giudizio di costituzionalità o a referendum abrogativo.

E tutto questo avviene mentre la comunità scientifica è concorde sul fatto che i combustibili fossili sono fortemente inquinanti e direttamente responsabili del surriscaldamento globale, e papa Francesco considera non etici i modelli d’impresa che si basano sulla destabilizzazione dei sistemi che garantiscono la vita al pianeta.

Nodi da sciogliere

I fatti, oltre che stringere il cuore e invitare alla mobilitazione, pongono in rilievo alcuni nodi strutturali: di natura politica, civile ed etica. Da sciogliere con urgenza.

È giusto che l’attuale sistema tuteli l’interesse di pochi operatori economici, potenti e organizzati, piuttosto che i cittadini, privi di reali mezzi di contrasto rispetto ai giganti onnivori dell’ambiente e della qualità della vita?

È accettabile che la crisi economica in atto, con le sue priorità di tipo materiale, passi come un rullo compressore sulla cultura, sulla storia e sulla geografia di popolazioni intere, permettendo nuove forme di colonizzazione in un mare che non solo non è più “nostrum”, ma rischia di diventare “vostrum”, se non addirittura “monstrum”?

È consona all’esperienza democratica la sottrazione di facoltà decisionali a danno della potestà di enti e comunità locali, in materie strategiche e delicate come l’ambiente e l’energia?

Se è vero che la Puglia risulta essere la regione che offre il maggior apporto energetico da fonte fotovoltaica in tutta Italia (1.158 MW) nel pieno rispetto del protocollo di Kioto “20-20-20”, e che attualmente il Paese, anche per effetto della crisi, è in sovra potenza energetica, e che il mercato del petrolio è in forte calo, che senso ha mettere a repentaglio l’ambiente pur di favorire l’ulteriore sfruttamento di risorse a vantaggio di realtà non autoctone?

Fermo restando l’ammirazione e il sostegno per l’opera encomiabile dei movimenti, è responsabile il comportamento del cittadino che si limita a delegare la propria sensibilità ecologica a chi sventola una bandiera?

È adeguato che i credenti richiamino con prudenza e solo in linea di principio la dottrina sociale della Chiesa e le giuste istanze di affermazione del bene comune e di salvaguardia del creato, o non piuttosto che amplifichino l’annuncio profetico al modo di don Tonino Bello, fino al punto da incidere concretamente nei cantieri della cronaca?

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