Gioia e speranza, misericordia e lotta
Roma, 9 maggio 2015
Introduzione alla sessione pomeridiana
IL PROSSIMO SINODO: PROBLEMI APERTI
Papa Francesco, o lo Spirito nella Chiesa
La sera dell’elezione di papa Francesco non ero lontano da piazza san Pietro, e alla fumata bianca lasciai tutto e corsi in piazza per vivere con gli altri l’attesa del nome del nuovo papa. Quando sentii il nome di Bergoglio, nel quale speravo dopo il conclave del 2005, cominciai a urlare di gioia come forse non mi è mai accaduto in vita mia, e quando sentii il nome di Francesco, le urla di esultanza si moltiplicarono, fra lo stupore di tutti i vicini: ma chi è? chi è?
Debbo dire che sino ad oggi non ho avuto motivo di diminuire la mia gioia. Un’altra primavera secondo il mio modo di sentire si è aperta per la chiesa, dopo la primavera di papa Giovanni XXIII. Diceva padre Balducci (se la memoria non mi inganna) a proposito di papa Giovanni: sembra la prima volta, almeno nel secondo millennio, che un ministero di così grande responsabilità e lo spirito di profezia abbiano coinciso nella stessa persona. Oggi questa coincidenza fra Spirito e istituzione ci appare per la seconda volta: una nuova effusione dello Spirito santo per un profondo rinnovamento nella Chiesa nella fedeltà al vangelo e nell’impegno sociale, missionario ed ecumenico.
Quale è il segreto di questa novità? Credo che stia nel fatto che l’uno e l’altro hanno messo al centro l’uomo: papa Giovanni XXIII aveva spostato l’attenzione dall’errore all’errante, la Gaudium et Spes aveva confermato questa centralità della persona umana che riconoscono insieme credenti e non credenti, e papa Francesco ha spostato l’attenzione dalla dottrina astratta alla persona concreta con tutti i suoi problemi, le sue gioie e le sue sofferenze.
Viviamo un’epoca straordinaria della storia della chiesa. Non a caso diceva il cardinal Martini nell’anno duemila: grazie al concilio, abbiamo vissuto i trentacinque anni più belli della storia della chiesa. E ora speriamo di viverne altri. Anche se sappiamo, come diceva ancora Martini, che dovremo affrontare con serenità qualche prova o sofferenza.
Un modello di chiesa sinodale e i problemi del matrimonio e della famiglia
Ora papa Francesco ha scelto come modello di una chiesa al quale ispirarsi un modello di chiesa come comunione di chiese, una chiesa sinodale, nella quale viene restituita una grande autonomia alle chiese locali e vengono maggiormente ascoltati tutti i fedeli. Costituiamo tutti insieme un popolo di Dio in cammino, nel quale i battezzati hanno raggiunto un’età adulta e quindi sono chiamati a prendersi le loro responsabilità.
Per realizzare questo modello di chiesa comunione il papa ha scelto proprio un cammino sinodale: un sinodo non più puramente consultivo (come in passato) ma con potere di decisione nella chiesa.
E il primo sinodo ha voluto che fosse consacrato al matrimonio e alla famiglia: due tematiche che interessano tutti, perché tutti vivono i problemi della famiglia, se non altro quelli della famiglia di origine, mentre la grande maggioranza dei battezzati entra in un matrimonio o almeno lo desidera. Due tematiche che come tutti sappiamo presentano molti problemi, soprattutto in questo mondo in rapida e turbinosa evoluzione nel quale siamo chiamati a vivere.
La novità delle due tappe sinodali e le speranze in esse riposte
Questo sinodo è stato voluto con una grande novità: quello delle due tappe sinodali, nel 2014 e nel 2015. La mia convinzione è che il papa desiderasse realizzare dei passi in avanti su alcuni problemi, ma che intendeva offrire la possibilità di un tempo di maturazione e di riflessione alla comunità cristiana nello spazio fra la prima e la seconda sessione del sinodo. Le innovazioni più importanti del concilio Vaticano II sarebbero infatti maturate nelle intersessioni.
Questo spazio di riflessione appariva necessario per l’orientamento che caratterizza come si è detto il pontificato di papa Francesco: non delle imposizioni e decisioni prese dall’alto, ma un cammino per quanto possibile sinodale, conciliare, comunitario di tutta la chiesa. Bisogna dare il tempo per informarsi, per riflettere, per capire. E in quanto possibile nella massima trasparenza.
E tuttavia con questa scelta ha accettato dei rischi, perché ha accettato di poter essere messo in minoranza proprio quando è noto il suo orientamento a non prendere decisioni contro la maggioranza.
Questo tempo fra le due sessioni sembra sia stato comunque utilizzato soprattutto dalla parte più conservatrice, che si oppone ai cambiamenti, in particolare per quanto riguarda il passaggio dal sistema attuale dei tribunali ecclesiastici al sistema penitenziale (che è ora il tema principale in gioco).
Lo si vede anche dal numero delle pubblicazioni intorno al problema del divorzio e delle nuove nozze comparse in questi mesi e che difendono con durezza le posizioni conservatrici.
Le due posizioni in gioco e le ragioni a favore di un rinnovamento
Tutti i cristiani e tutti i cattolici sono d’accordo nel riconoscere che il disegno di Dio è un matrimonio indissolubile: un unico matrimonio in tutta la vita, un uomo e una donna, per sempre. In questo senso, la chiesa sin dalle origini ha predicato la monogamia assoluta.
Purtroppo vi sono però dei fallimenti e molti non riescono a realizzare, soprattutto oggi, il progetto che si erano proposti al momento del loro ingresso nel matrimonio. Come venire incontro a chi ha fallito nel suo progetto di vita? La soluzione attuale nella chiesa cattolica è quella dell’eventuale riconoscimento dell’inesistenza di tale matrimonio attraverso un processo davanti al tribunale ecclesiastico. E’ la soluzione maturata nella chiesa latina del secondo millennio. Ma nei primi secoli la chiesa sottoponeva alla penitenza (che allora era pubblica) i responsabili dei peccati più gravi, fra cui quello di adulterio (che secondo le espressioni letterali dell’evangelo era il peccato di avere lasciato il proprio coniuge e di essere entrati in una nuova unione, o di essere entrati in una seconda unione dopo essere stati ripudiati, o infine di avere sposato una persona già legata a un primo matrimonio) ma dopo un anno o più di penitenza li assolveva e li riammetteva alla pienezza della vita ecclesiale e all’eucaristia. Questo è il sistema più antico e più tradizionale, che il papa e molti nella chiesa vorrebbero reintrodurre. Nel sacramento della penitenza viene confessato il peccato di avere posto fine al proprio matrimonio e di avere dato vita a una nuova unione (un peccato che è stato commesso nel passato), e la chiesa concede la riconciliazione e l’assoluzione. Una volta assolti da questo peccato si viene riammessi all’eucaristia e alla pienezza della vita ecclesiale, naturalmente alla condizione che vengano assolti i doveri verso il primo coniuge e i figli e che si prenda l’impegno a cercare di realizzare nella nuova unione quella “comunità di vita e di amore” (GS 48) che non è stato possibile realizzare nella prima unione.
Questa soluzione è quella che appare pienamente conforme non alla tradizione più recente, ma alla grande Tradizione seguita nella chiesa antica, sostanzialmente conservata in altre chiese storiche e soprattutto testimoniata dal canone 8 di Nicea, che non prescrive una prassi nuova, ma chiede ai novaziani di accettare la prassi di misericordia in vigore allora nella grande chiesa[1].
L’obiezione che non si vuole una soluzione puramente pastorale ma veramente dottrinale trova qui la sua risposta: il canone 8 di Nicea offre una soluzione dottrinale che ci vincola ancora oggi, riaffermando che la Chiesa ha ricevuto da Cristo il potere di assolvere tutti i peccati.
Ma per dare una giustificazione non solo storica ma anche dottrinale a questa richiesta di tornare alla grande tradizione dei primi secoli, si può fare ricorso ad un’ulteriore spiegazione fondata sulla più solida teologia scolastica, che aiuta una nuova comprensione del matrimonio in piena fedeltà all’insegnamento dell’evangelo. Il matrimonio sacramento non è una gabbia nella quale una volta entrati non si può uscire: esso è affidato alla responsabilità degli sposi che ne sono i ministri: sino a che essi si amano e confermano il loro consenso, nessuno al mondo può sciogliere il loro matrimonio (come nessuno al mondo può far scomparire la presenza reale nell’Eucaristia una volta che il pane è stato consacrato); ma una volta che il segno (sacramentum tantum) è corrotto, cioè quando il pane non è più pane e la volontà degli sposi di essere marito e moglie non esiste più, cade la res et sacramentum (cioè scompare la presenza reale per l’Eucaristia e viene distrutto il vincolo coniugale nel matrimonio), venendo così meno anche la res tantum, la grazia del sacramento. “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non deve separare” (Mt 19, 6) non costituisce una formula magica di intangibilità, ma contiene un appello alla coscienza degli sposi: non possono separare ciò che Dio ha unito senza commettere un gravissimo peccato. E tuttavia la chiesa ha ricevuto da Cristo il potere di assolvere anche questo peccato. E nel giudizio del confessore si terrà conto di tutti gli elementi, che talvolta mostrano che in quel caso non si trattava di un vero matrimonio, oppure che esso era diventato talmente invivibile per cui non vi è stata colpa a porre fine a tale situazione, o che infine colui che chiede l’assoluzione non ha responsabilità nel fallimento del suo matrimonio.
Purtroppo le resistenze a questo nuovo orientamento sono molto forti, e fra chi si oppone a esso c’è chi minaccia apertamente uno scisma. Ma di uno scisma sommerso parlava Pietro Prini (e altri con lui) ben prima della venuta di papa Francesco, e in un senso contrario a quello minacciato oggi, come se allora da una parte vi fosse il papa e l’alto clero, e dall’altra la grande maggioranza del popolo cristiano cattolico. Oggi la situazione appare capovolta, ma un dibattito aperto come quello voluto dal papa può proprio evitare un tale scisma cercando di portare attraverso il dialogo e il confronto aperto a una soluzione condivisa.
Le speranze riposte nel Giubileo
Il risultato della seconda sessione del Sinodo non appare a questo punto scontato, considerato l’atteggiamento duro di grande parte dell’ala più conservatrice, espressa per esempio dall’episcopato degli Stati Uniti.
Per fortuna l’annuncio del Giubileo della misericordia e la chiarezza e apertura della bolla d’indizione “Misericordiae vultus” lasciano davvero sperare bene. Se le indicazioni già date verranno tradotte in atto, questo Giubileo sarà occasione non per una assoluzione generale, ma per un coinvolgimento dei vescovi e delle chiese locali in un processo di riconciliazione caso per caso di coloro che sono entrati in un secondo matrimonio e che desiderano partecipare alla vita della chiesa e all’eucaristia, così come forse per la riammissione al ministero di tanti preti sposati che hanno avuto la dispensa per celebrare il matrimonio in chiesa ma ai quali è stata comminata la pena di non potere più esercitare pubblicamente quel ministero al quale pure si erano sentiti chiamati da Dio.
Un Giubileo della misericordia che vuole aprire le porte della comunità cristiana a tutti. La Misericordia è quella di Dio, che tuttavia ha scelto di esercitarla anche per mezzo della chiesa. Nella convinzione che anche se tutti nella chiesa e nell’umanità siamo peccatori (1 Gv 1, 8-10) e “anche se il nostro cuore ci condanna”, “Dio è più grande del nostro cuore” (1 Gv 3, 20) e nel suo amore e nella sua misericordia vuole abbracciare e accogliere tutti i suoi figli nella grande famiglia che ha progettato per loro.
[1] Per la dimostrazione sulla base dei documenti storici di una tale affermazione mi permetto di rinviare alle mie ricerche presentate in Divorzio nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, terza edizione Aracne Roma 2013, o a Divorziati risposati. Un nuovo inizio è possibile?, seconda edizione, Cittadella editrice Assisi 2014, nella quale esse sono sintetizzate e si ricordano i consensi che la comunità scientifica internazionale ha dato a tale soluzione.