Non vi e scampo ne’ rifugio Per le donne irachene vittime di violenza

Loretta Mussi (Associazione Italia-Iraq)
Fonte: Il presente articolo, in versione ridotta, è pubblicato nel numero di luglio 2015 di Mosaico di pace

La violenza di genere è molto diffusa nelle guerre e nei conflitti, ed il corpo delle donne è diventato esso stesso terreno di guerra. La violenza fisica, piscologica e sessuale contro le donne, anche bambine, è ormai usata per fini politici e militari allo scopo di umiliare e distruggere intere comunità. Questa violenza non è un effetto collaterale di un conflitto, ma ne è parte integrante. La condizione delle donne in Iraq oggi lo dimostra nel modo più evidente (No Place to turn. Violence against women in the Iraq conflict  - Miriam Puttick – CEASEFIRE centre for civilian rights –  Feb.2015 .  Su questo lavoro si basa il presente report).

 

Premessa

Dopo l’occupazione americana del 2003, la condizione delle donne in Iraq, un tempo il Paese più avanzato del Medio Oriente per quanto riguardava i diritti delle donne, è regredita di decenni per non dire di centinaia di anni.

L’invasione portò alla disgregazione dello Stato, dei suoi apparati e del suo sistema legislativo e quindi al sorgere di milizie e bande armate che imposero la propria ideologia settaria. Le donne furono le prime vittime e scomparvero dalle strade delle maggiori città irachene, costrette a lasciare il lavoro e la scuola, per l’elevato rischio di uccisioni, rapimenti e aggressioni sessuali.

Al culmine delle violenze nel 2006-2007 le donne venivano rapite, violentate ed uccise ogni giorno. Dopo un periodo di relativa calma, con l’avanzata di Daesh (ISIS) e con la ripresa dei conflitti settari, le milizie, anche paragovernative, hanno ripreso sopravvento. È tornato così la paura per le donne e le loro famiglie, soprattutto nelle aree conquistate da Daesh, che ha imposto un regime di terrore e un rigido codice morale, rapinando e riducendo in schiavitù le donne appartenenti a minoranze etniche e religiose, o di fede diversa.

Le più colpite sono state le donne rimaste vedove e sfollate, secondo alcune stime almeno un milione e seicentomila. Prive di sostegno economico, spesso con famiglie a carico, abbandonate dallo Stato, ridotte alla disperazione si sono trovate esposte a violenze, abusi sessuali e al traffico della prostituzione da parte di milizie e bande criminali. Difficile per le sopravvissute tornare in famiglia, che troppo spesso le rifiuta perché non più integre, e in una società che non punisce gli autori delle violenze sessuali mentre invece stigmatizza le vittime.

Difficile anche ricorrere alla polizia, che non cerca di prevenire gli abusi e proteggere le vittime e dove spesso gli agenti sono complici delle milizie e dalle bande criminali, o alla giustizia, mancando una legge che le tuteli, mentre i funzionari sono pressoché indifferenti al dramma della violenza di genere.

 

Donne uccise

Le donne irachene sono morte a migliaia a causa di bombardamenti ed esplosioni o per le conseguenza del conflitto - per fame, malattie, mancanza di acqua potabile, crollo dei servizi sanitari. Sono state assassinate e punite per supposti crimini contro la “morale”, dalle milizie che, prima ancora di Daesh, avevano imposto i propri retrivi codici etici punendo ed uccidendo chi li trasgrediva, ed in particolare le donne. Sono state uccise perché impegnate politicamente, in ruoli pubblici, nel giornalismo e nelle professioni, perdendo le prerogative conquistate fino al 1980, quando rappresentavano il 46 % degli insegnanti, il 29 % dei medici, il 46 % dei dentisti, il 70 % dei farmacisti.

 

Rapimenti

I rapimenti di uomini e donne si sono diffusi dopo il 2003, allo scopo di far sparire avversari o persone pubbliche, per ottenere denaro col riscatto, e per il traffico della prostituzione.

Poi, dopo il giungo 2014 sono iniziati i rapimenti di massa da parte di Daesh, che si è accanito in particolare, contro le donne Ezydi e di altre minoranze, allo scopo di controllare la popolazione, diffondere il terrore e procurare mogli per i propri combattenti. Le fasce di età più colpite sono state quelle tra i 7 e i 40 anni, i rapitori non si sono fermati nemmeno davanti a bambine molto piccole. Si parla di almeno 7000 donne Ezyde rapite, un numero molto superiore a quello denunciato dal governo iracheno che parla di 4000.

 

Il traffico sessuale di donne e ragazze

Un tempo sconosciuto in Iraq, è andato crescendo dopo l’occupazione, favorito dalla situazione di prolungato conflitto, dagli sfollamenti, dalla povertà e dallo sgretolamento della legge e dell’ordine.

Particolarmente esposte le donne sfollate, soprattutto se vedove e con famiglia a carico, che, all'inizio del 2014, erano almeno 1.600.000.121 Nel periodo di massima violenza settaria del 2006 - 2007 circa 90-100 le donne ogni giorno, perdevano i propri mariti. Circa il 33 % delle vedove sfollate non ha mai ricevuto alcuna assistenza umanitaria e il 76 % per cento non ha una protezione dallo stato. Spinte dalla povertà molte vedove si impegnano in matrimoni temporanei per sopravvivere, oppure diventano  preda dello sfruttamento sessuale. Nelle maglie del traffico sessuale cadono facilmente anche donne e ragazze fuggite da casa per sottrarsi alla violenza domestica, a matrimoni forzati o a delitti d’onore

In altri casi le famiglie, a causa della disperazione economica, vendono le loro figlie o le sposano a uomini più anziani che poi le costringono alla prostituzione, oppure vengono mandate a lavorare nei paesi del Golfo, dove, in realtà, sono costrette a prostituirsi.

Anche il carcere diventa un luogo di reclutamento per il traffico della prostituzione: una donna può essere scarcerata pagando, e poi è costretta a prostituirsi per restituire il debito.

Non vi sono dati ufficiali sul numero totale delle donne (ma anche bambini) soggette al traffico della prostituzione per lo scarso interesse del governo a contrastare questa condizione, ma si stima che siano diverse migliaia. Molto casi non emergono per la riluttanza delle famiglie a parlarne, e per paura  di ritorsioni.

Così il traffico della prostituzione prospera sempre di più sia all’interno che all’esterno dell’Iraq. Fuori dall’Iraq le destinazioni più comuni sono la Giordania, gli Emirati e la Siria. Un sistema molto comune per portare le vittime oltre confine è il matrimonio temporaneo, che viene sciolto appena arrivati a destinazione, dove la donna viene forzata alla prostituzione. Le donne sono vendute al di fuori dell’Iraq per una cifra che sta tra i 10.000 – 20.000 dollari, mente all’interno una prestazione vale circa 100 dollari, per arrivare a 200-500 se si tratta di una donna vergine. In alcuni casi poi, le ragazze sono costrette a ricostruire l’imene, cosicché possono essere di nuovo vendute come vergini.

Daesh è diventato ormai uni dei maggiori attori nel traffico della prostituzione, che rappresenta una delle maggiori fonti di entrate.

 

Particolarmente efferate le violazioni da parte di Daesh, a partire dal giungo 2014 nella zona di Sinjar nella zona di Mosul, ma anche nella regione sunnita di Al Anbar. Numerose le testimonianza raccolte. Si parla di donne cristiane violentate ai checkpoint mentre cercavano di scappare, di donne turcomanne violentate e poi uccise, i cui corpi mutilati sono stati poi appesi ai lampioni della luce. In un caso, il corpo di una bambina di dodici anni, dopo essere stata violentata ed uccisa, è stato appeso ad un palo dell’elettricità e quando la notte i residenti del villaggio hanno cercato di recuperare il corpo, sono stati uccisi.

In un altro villaggio turcomanno, Tuz Khurmatu, le vittime sono state ripetutamente sottoposte a violenze di gruppo, mentre i loro aguzzini prendevano fotografie (Beladi Center for Strategic Studies and Research, ‘Report on the Situation of Displaced Turkmen Families after the Events of the Mosul, June 2014,’ 1 August 2014, p.19). In questi casi è difficile sopravvivere: una sopravvissuta ha raccontato di essere stata violentata più di trenta volte di seguito.

Nel governatorato di Anbar, fonti governative hanno dichiarato che nel dicembre del 2014, 150 donne di Falluja sono state uccise per aver rifiutato di sposare i miliziani. Tutte, tra cui una donna in cinta, sono state sepolte in una fossa comune (Hammourabi Human Rights Organization (HHRO), ‘During 60 days: second report for the period from 10/8/2014 up to 10/10/2014 about Human Rights Violation in Iraq,’ p.9. - ‘August 24 Report on North Iraq -- Religious Shrines Destroyed,’ Assyrian International News Agency, 24 August 2014, http://www.aina.org/ news/20140824132833.htm -   ‘Iraqi Women Network Calls for Action Against ISIS,’ Assyrian International News Agency, 3 September 2014, http://www.aina.org/news/20140903021449.htm -  UNOHCHR/UNAMI, October 2014, supra, p.6. -  Anadolu Agency, ‘Iraq: 150 women executed after refusing to marry ISIL militants,’ 16 December 2014, http://www.turkishpress.com/news/415983 ).

 

Numerose le donne imprigionate, torturate e violentate nelle prigioni.

DAESH ha reintrodotto metodi utilizzati quasi 1.200 anni fa dichiarando  apertamente, che nell’Islam la schiavitù e il rapimento delle donne di altre tribù è ammesso. Non si tratta solo di vendicarsi del nemico e di praticare una tattica di guerra, ma anche di giustificare e legittimare la pratica della schiavitù se applicata al nemico.

Secondo i codici di Daesh è lecito ridurre in schiavitù le donne infedeli e permettere ai propri membri di avere rapporti con loro anche se sono ancora bambine. Una volta rese prigioniere e schiave possono essere vendute o regalate come semplici oggetti di proprietà (Jessica Elgot, ‘Islamic State ‘Slave’ Manual Permits Sex With Pre-Pubescent Girls, And Gives Details On Beating ‘Slaves,’ Huffington Post, 14 December 2014, http:// www.huffingtonpost.co.uk/ 2014/12/14/islamic-state- slave-manual-_n_6322044.html). Se tentano di scappare, la punizione è durissima per dissuadere le altre dal tentare la fuga.

Alcune ragazze e donne Ezyde, che sono riuscite a fuggire da Daesh e a sopravvivere, hanno raccontato alla “Lega Ezide per la fraternità e solidarietà” di essere state trasportate in Siria per essere vendute ai combattenti Daesh. Di seguito il racconto riferito alla testimonianza di una ragazza fuggita:

 

“N è stata catturata la notte del 3 agosto con diverse famiglie. Dopo vari spostamenti tra Sinjar, Tel Afar e la prigione Badoush a Mosul, N è stata trasportata a Manbij, in Siria con 350 altre ragazze, per essere esposte e vendute sulla pubblica piazza, come in un mercato di polli. Di notte, i jihadisti le minacciavano di morte e le violentavano ripetutamente, nonostante le loro suppliche e urla. N tentò più volte di suicidarsi, ma senza successo. Qualsiasi ragazza che tentava di fuggire o di suicidarsi veniva torturata con cavi elettrici. Spesso erano drogate prima di essere sfruttate  sessualmente. Molte delle ragazze sono state poi vendute a miliziani provenienti dalla Siria, dall’Arabia Saudita, dal Qatar, dall’Afghanistan o dalla Cecenia.”

 

Un’altra sopravvissuta, una ragazza Ezyde di Tel Afar di 17 anni, che aveva rifiutato di convertirsi e di sposare un uomo di 70 anni, è stata ripetutamente violentata e torturata per quaranta giorni, finché non è riuscita a scappare da una finestra. Ora si trova a Dohuk con una parente, traumatizzata per le torture subite (Testimony provided by Yezidi Fraternity and Solidarity League).

Nei campi profughi. Le donne non sono tutelate nemmeno nei campi profughi, dove i ripari sono spesso di fortuna e gli sfollati sono costretti a vivere in situazioni di sovraffollamento e di promiscuità. Le donne che riescono a tornarvi, dopo essere state rapite, sono pertanto accolte in situazioni che non sono idonee alla loro condizione. Quasi tutte hanno un bisogno disperato di trattamenti medici immediati e di sostegno piscologico, ma pochissimo è stato fatto dalle autorità per aiutarle.

Peggio ancora, la situazione di promiscuità le espone alla violenza sessuale,  diffusa anche nei campi, tanto che  non sono poche quelle che si sono suicidate come unica via d’uscita dall’inferno.

La risposta delle istituzioni. Nonostante nel 2102 sia stata approvata una legge contro il traffico sessuale, sia il governo iracheno centrale che quello regionale del Kurdistan, non hanno mai affrontato seriamente il problema e l’Iraq occupa il 158° posto su un totale di 167, come capacità di contrasto alla schiavitù (According to the index’s estimates, 345,900 people in Iraq are trapped in modern forms of slavery, meaning Iraq is ranked the 13th worst country in the world. Walk Free Foundation, Global Slavery Index 2014). Nei pochi casi in cui sono state avviate delle inchieste i colpevoli non vengono mai perseguiti. Nessuno sforzo è stato fatto per individuare le vittime del traffico o per farle entrare in programmi di protezione, tanto che i rifugi che alcune associazioni di donne hanno cercato di allestire, sono stati chiusi perché considerati illegali. Quando nel 2013, il governo iracheno ha destinato un edificio a rifugio per le vittime del traffico della prostituzione, nessuna vittima aveva potuto accedervi, per cui è stato chiuso.

Molti attivisti ritengono che l’inerzia del governo sia dovuta anche alle forti complicità di diversi funzionari che riescono a trarre vantaggio e profitto  dal traffico degli esseri umani e della prostituzione. E’ noto che gli stessi agenti di polizia sono spesso clienti delle donne che sono state costrette a prostituirsi, tanto che in alcuni casi, donne che erano fuggite dai bordelli sono state costrette a ritornarvi da parte proprio dagli agenti di polizia. D’altronde il sistema giudiziario considera le donne costrette alla prostituzione più come criminali che come vittime della tratta e molte donne fuggite da tale traffico sono state poi condannate, essendo a prostituzione illegale secondo la legge irachena. Più della metà delle detenute nella prigione femminile Al-Kadimiyah a Baghdad sono accusate di prostituzione, alla quale, la maggior parte di loro è stata costretta (NOCHA and UN Information Analysis Unit, supra -  ‘Female Trafficking Soars in Iraq,’ Inter Press Service, 27 August 2011, http://www.ipsnews.net/ 2011/08/ female-trafficking-soars-in-iraq/).

A parte le connivenze né i membri della polizia e della sicurezza né gli addetti ai tribunali sono formati per affrontare questo enorme problema. In questa situazione, molte vittime della tratta che scontano pene detentive preferiscono rimanere in carcere piuttosto che rischiare di essere trafficate nuovamente o punite dalle famiglie.

 

Che fare? Le donne irachene coalizzate in diverse associazioni stanno combattendo perché venga cambiata le legislazione fortemente discriminatoria nei confronti delle donne (vedi relazione di Hanaa Edward) e si adoperano per costruire dei rifugi.

Ma il loro lavoro stenta ad avere successo per la mancanza di aiuto da parte dello Stato e da parte della comunità internazionale ha grosse responsabilità: se gli stati volessero davvero risolvere questa ed altre tragedie, basterebbe tagliare alle radici le fonti di sostentamento di Daesh e degli altri gruppo jihadisti, impedendo il reclutamento e il trasferimento di armi e risorse finanziarie, oltreché  l’addestramento nei paesi confinanti. Ma questa volontà non si vede. 

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