Cristiani a Cuba
Giulio Girardi rileva come nelle riflessioni dello stesso Fidel Castro si proponga un rapporto diverso fra religione e rivoluzione segnato non dalla contraddizione ma dalla collaborazione. Nella famosa intervista del 1985, rilasciata a Frei Betto, Fidel aveva esplicitato la sua visio- ne dialettica della religione, affermando che nel caso di Cuba i conflitti con la Chiesa non sono nati da uno spiri- to antireligioso della rivo- luzione ma da divergenze politiche. “A mio parere, la religione, dal punto di vista politico, non è in sé oppio o rimedio miracolistico: può essere oppio o meraviglioso a seconda che serva a difende- re gli oppressi e gli sfruttati. Dipende da come affronta i problemi politici, sociali e materiali della persona che nasce e deve vivere in questo mondo, indipendentemente dalle teologie e dalle diverse fedi religiose. Dal punto di vista strettamente politico – e credo di sapere qualco- sa di politica – penso che si possa essere marxisti senza dover rinunciare ad essere cristiani e lavorare insieme ai comunisti marxisti per cambiare il mondo. L’im- portante è che, in ogni caso, si tratti di rivoluzionari sin- ceri, disposti a estirpare lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e a lottare per la giusta distribuzione della ricchezza sociale, per l’uguaglianza, per la fra- ternità e per la dignità di tutti gli esseri umani, che siano cioè portatori di una coscienza politica, econo- mica e sociale più avanzata, anche partendo, se cristiani, da una convinzione religio- sa” (Fidel Castro, La mia fede. Cristianesimo e rivoluzione in un’intervista con Frei Bet- to, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo – Milano – 1986, pp. 283-284).
Questa visione rispettosa della religione, pur tra le molte contraddizioni, si è esplicitata apertamente al- lorquando, con la riforma della Costituzione, comin- ciata nel 1975 e portata a termine nel 1994 e in parti- colare con il IV Congresso del Partito Comunista Cubano, si apriva ai credenti l’accesso al partito. In tale circostanza, Girardi osserva: “La decisio- ne del IV Congresso di aprire il partito ai cristiani rivolu- zionari, anche se tardiva, rappresenta senza dubbio un significativo passo in avanti nella direzione della risco- perta del marxismo cubano, che si iscrive coerentemente nel processo di ratifica. Ma si tratta solo di un primo passo. I successivi dovrebbero essere, a mio parere, l’analisi delle cause della discrimina- zione, la critica della teoria della religione che giustifica la discriminazione e anche il modello di marxismo del quale essa è parte integran- te. Non è possibile rifiutare l’‘ateismo scientifico’, come molti marxisti cubani fan- no oggi, senza mettere in questione la base teorica di questa dottrina” (Giulio Girardi, Che Guevara …, p. 155). Quattro anni dopo, il viaggio di papa Giovanni Paolo II a Cuba: sicuramente una delle tappe simbolo di questo percorso.
Dalla lunga analisi e dalla condivisone del cammi- no dell’esperienza cubana emergono, nel pensiero di Giulio Girardi, due convin- zioni: la prima è la prossimità profonda del cristianesimo originario e del marxismo umanista nella scelta di campo etico-politica e in- tellettuale della difesa degli oppressi e degli sfruttati, nel guardare la realtà del mondo partendo dalle periferie. La seconda che l’ateismo rap- presenta una deformazione del sistema e non appartiene alla sua ispirazione origina- ria; tali convinzioni portaro- no Giulio a sentirsi cristiano marxista cubano.
Girardi vedeva nell’esperien- za cubana un laboratorio, un punto di osservazione privilegiato per creare un futuro e un mondo migliore: “È certo che i problemi più urgenti per Cuba sono quelli della sopravvivenza fisica. Ma non meno importanti quelli sollevati dal futuro politico della rivoluzione e la ricerca delle alternative che esso richiede. Ciò che è in gioco nel laboratorio cubano è la vitalità del marxismo, nel momento in cui il mondo annuncia euforicamente la sua sconfitta e la sua mor- te, la possibilità di costru- ire un’alternativa umana e solidale alla dittatura del mercato, quando il capita- lismo mondiale proclama la sua vittoria definitiva e la fine della storia, la speran- za che l’ultima parola della storia non sarà la vittoria della violenza e della morte, ma del diritto, della dignità e della vita.
Per questo molti uomini e donne di tutto il mondo si identificano con la causa della rivoluzione cubana, considerandola, assai più della città dell’Avana, ‘patri- monio dell’umanità’: perché sentiamo che il suo destino sarà anche il nostro” (Ibidem, pp. 158-159).