Un grido per la terra
L’Enciclica affronta con coraggio e passione, direi con amore, le questioni legate all’ambiente, alla sua fragilità, alle minacce che subisce, e alla sua bellezza.
Bellezza e poveri sono due dei pensieri dominanti in tutto il documento. La bellezza diventa una porta d’accesso alla fede nel Dio che ha creato e sostiene questo mondo, che non ci appartiene, ma ci è dato in prestito. Attraverso la bellezza il Papa ci invita a guardare ai mistici, cristiani ma anche musulmani, alla preghiera come forza di resistenza al considerare la natura solo un oggetto pronto per il nostro utilizzo.
Il consumo del mondo si accompagna, nella visione dell’Enciclica, al consumo della vita e della dignità di troppi popoli e persone. Parlando di povertà l’Enciclica entra nel dettaglio. Cita importanti documenti delle Conferenze episcopali e parla del furto d’acqua e di terra, della privatizzazione delle terre attraverso il latifondo e della sottrazione di abitazioni dignitose ai più poveri. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha tematizzato questo tema parlando di una ingiusta distribuzione tra Sud e Nord del mondo delle conseguenze dei cambiamenti climatici; nell’Enciclica esso viene affrontato con tutta l’esperienza vissuta dal Papa in Argentina e in America del Sud. Là dove le case sono di lamiera e cartoni, piogge torrenziali portano via tutto, compresa la vita delle persone. Là dove non c’è protezione per i piccoli agricoltori dalle pretese delle grandi aziende multinazionali, cessa anche un rapporto e una cura della terra che ha a che fare con la vita quotidiana.
Un bel passaggio dell’Enciclica sull’amore per il paesaggio in cui si è nati e di cui ci si prende cura, diventa lo spunto per parlare della necessità di processi democratici condivisi ogni volta che vengono messi in campo enormi interessi economici di sfruttamento della terra, delle montagne, delle risorse naturali. L’Enciclica non si limita a fare una fotografia dello sfruttamento ingiusto, offre anche possibili strategie di cambiamento per ridare speranza al mondo.
La bontà, la bellezza, l’armonia della creazione, in un’ottica giudaico-cristiana, e anche le promesse della nuova creazione, di una nuova armonia da cui sia cancellata ogni violenza, sono solo la base da cui partire per un discorso sull’ambiente naturale oggi. Sul piano teologico andavano toccati almeno alcuni punti, e questo l’Enciclica ha fatto: il superamento di ogni dualismo o antropocentrismo – tra materia e spirito, tra umano e ogni altro essere vivente e anche tra terra e regno dei cieli – la confessione di peccato su una distorta lettura della teologia classica cristiana e della filosofia europea sul comandamento di soggiogare la terra in Genesi 2; la necessità etica della collaborazione umana alla creazione di Dio che scaturisce dal dono della terra.
Su un piano più ampio sono entrate nell’Enciclica, proprio nel suo linguaggio, alcuni concetti della fisica contemporanea e alcuni concetti di una politica di partecipazione, a partire dall’idea della cittadinanza ecologica. Per esempio il Papa afferma che siamo un tutto interconnesso, una “comunione cosmica”; usa il concetto di limite e quello di precauzione di fronte all’arroganza di una tecnologia al servizio dei poteri economici e non degli abitanti della terra.
E questa terra ci è data in prestito perché la trasmettiamo alle generazioni che ci seguiranno. Tutto questo fa parte di una giusta relazione fra generazioni, che oggi appare spezzata.
In un linguaggio diretto il Papa critica il modello di sviluppo consumista e tecnologico della società, che crea una cultura dello scarto relativa alle risorse materiali del mondo e alle persone.
Quali sono i punti deboli o critici dell’Enciclica?
Per chi non condivide una visione così aspra della società occidentale tutto il suo impianto può apparire troppo radicale. Lo stesso tipo di reazioni ha suscitato in ambito ecumenico mondiale la Dichiarazione di Accra del 1998, troppo schierata con i Paesi del Sud che sono schiacciati dal neoliberismo economico e sociale; e tuttavia si tratta di una Dichiarazione profetica, aperta al futuro, così come è questa Enciclica di papa Francesco.
Da un punto di vista teologico manca un approfondimento sul legame tra questa terra fisica e il mondo promesso da Dio, un parola sull’impatto della resurrezione sul valore dei nostri corpi qui e ora, sulla veridicità della promessa di Dio con l’arcobaleno dopo il diluvio universale. L’Enciclica afferma la piena coincidenza tra il Dio che crea e il Dio che salva, evitando così un dualismo che in passato ha avuto conseguenze pericolose di fuga dal mondo. Tuttavia alcuni scienziati sostengono che il nostro pianeta è già così mutato per l’aumento di CO2 e l’acidificazione degli oceani che le nostre tradizioni di fede non sanno più parlare in modo adeguato di ciò che viviamo, perché sono radicate nella Terra pre-cambiamenti climatici.
Manca anche qualsiasi accenno alla questione di genere, alla violenza contro le donne come violenza contro la terra, alla cura dell’ambiente che le donne praticano coltivando la terra soprattutto nei Paesi del Sud del mondo. C’è solo un riferimento a Maria come custode e regina di tutto il creato e un altro che propone il valore della cultura della cura nei confronti del mondo. L’unica voce femminile citata è quella di Teresa di Lisieux. Vorrei segnalare che esiste invece un grande panorama di autrici, attiviste, ambientaliste e teologhe che si stanno occupando di nuovi stili di vita e di una riflessione che rovesci i criteri con cui si affronta questo tema.
Fra i temi controversi quelli relativi agli OGM e alla sperimentazione con embrioni umani. Anche qui nessun accenno al tema complesso della sovrappopolazione del pianeta e al controllo demografico.
Manca anche un riferimento più ampio e valorizzante del percorso compiuto nell’ambito del Consiglio ecumenico delle Chiese da cinquant’anni a questa parte. L’Enciclica si rifà solo al pensiero del patriarca ecumenico Bartolomeo I, la cui incidenza è certamente molto importante. Tuttavia riteniamo non si possa ignorare il cammino collettivo e condiviso compiuto dalle Chiese protestanti e ortodosse in questi decenni, i loro documenti e le loro esperienze sul piano della fede e della vita pratica.
Lo scopo dell’Enciclica era di portare l’attenzione del mondo sulla crisi ambientali collegando con i temi del creato, della pace e della giustizia verso i poveri. Uno scopo raggiunto in modo efficace.
La Chiesa si propone come forza morale e come una possibile forza di moderazione e risoluzione dei conflitti negli ambiti internazionali, nella costruzione di una nuova capacità di regolare gli interessi economici e finanziari con gli interessi della natura e delle persone. Possiamo essere grati per questa voce forte che esprime amore per la terra nel quadro di una fede forte nel Dio creatore; una voce capace di disegnare un mondo migliore, in cui tutti gli esseri umani, anche gli ultimi della terra, siano messi in grado di ritrovare la propria dignità di vita e di partecipare davvero alla trasformazione del mondo nel luogo di bellezza creato da Dio.