La enciclica Laudato sii puntata e ristretta

Antonino Drago

L’ultima enciclica di Papa Francesco è certamente molto importante.

Il primo motivo, secondo me, è l’aver acquisito alla dottrina sociale della Chiesa il tema dell’ecologia.

Il secondo è di averlo fatto dirigendosi a tutti gli uomini, in un dialogo che si accorda con il pensiero ecologista e che implicitamente propone una nuova etica universale a cui tutti possono dare contributi.

Questi fatti storici però vengono sminuiti dall’aver mantenuto il linguaggio tipico di quel tipo di magistero, in cui non risultano chiare le cause sociali, le responsabilità, i cambiamenti da compiere noi cattolici e più in generale, le prospettive storiche, il tutto in una concezione ben congegnata e senza: sbaffi, riempitivi, diversivi, aggiunte consolatorie. Inoltre la lunghezza eccezionale della enciclica rischia di disorientare chi la voglia assumere come direzione di lavoro.

Per rimediare a questi difetti si può fare una operazione: prendere la parte più saliente dell’enciclica e snellirla nel linguaggio, sì da renderla stringente. Ammetto che questa operazione è un po’ una forzatura; ma è anche una chiarificazione ideale; che se anche non rappresenta esattamente la mente di papa Francesco, però rende più chiara una delle direzioni di lavoro lì indicate. In questo senso, e con questa avvertenza, considero lecita ed utile l’operazione del seguito.

La parte più saliente di questa enciclica mi appare un brano che tratta non tanto i temi ecologici, quanto il quadro socio-economico in cui essa colloca il problema ecologico oggi. Il Cap. V, IV Questa parte descrive in maniera molto forte il problema della attuale economia mondiale, la quale è diventata una morsa oppressiva quasi insostenibile, senza che appaia una risposta politica adeguata. E’ di questa descrizione sistematica che oggi i cattolici e tutte le persone nel mondo hanno bisogno per orientare le loro vite a costruire assieme un mondo più giusto e più ecologico.

Secondo me, se anche l’enciclica fosse ristretta a questo solo brano costituirebbe una novità radicale. Ma se queste 8 pagine restano immerse in un testo di 184 pagine, rischia di quanto meno restare nell’ombra, o scomparire nel contesto di tanti problemi e di un frasario ridondante.

Eccone una versione ottenuta semplicemente rinsecchendo quel brano alle parti più importanti e più forti.

 

Nota dell’autore:

Mi sono permesso di modificare leggermente qualche punto dell’enciclica inserendo parole in parentesi quadre [], perché non sempre il testo ufficiale pubblicato sul sito “Vatican.va” è risultato fedele all’originale. Vedasi il famoso esempio della condanna della guerra nucleare al pt. 67 della Pacem in Terris: “Alienum a ratione” che ancora oggi (vedi il sito) è tradotto con “riesce quasi impossibile pensare”, invece di “è pazzia”.

 

IV. POLITICA ED ECONOMIA IN DIALOGO PER LA PIENEZZA UMANA

189. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia…. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del [in realt, iniziata nel] 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione [politica] che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo… In definitiva, ciò che [oggi] non si affronta [più] con decisione è il problema dell’economia reale….

190. In questo contesto bisogna sempre ricordare che «la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente».[134] Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui…. All’interno dello schema [attuale] della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando [oggi] si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri.

191. Quando si pongono tali questioni, alcuni reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermare irrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo…. Si tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo.

192. Per esempio, un percorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità… La diversificazione produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità della vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e più superficiale insistere nel creare forme di saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità di consumo e di rendita immediata.

193. In ogni modo, se in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti. Diceva Benedetto XVI che «è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni del suo uso».[135]

194. Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», [136]… Non basta [cercare di] conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso…. In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe [i] valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e [così] la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.

195. Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte infima dei costi. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui «i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future».[138]

196. Qual è il posto della politica?... È vero che oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi. Ma non si può giustificare un’economia senza politica [pubblica]…

197. Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi…. Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità…. [infatti] non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida.

198. La politica e l’economia tendono a incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà e il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni si affannano solo per l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dal conservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi ambigui dove [= nei quali] ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e avere cura dei più deboli….”

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