La grande menzogna
Oltre il patriottismo e il nazionalismo, cento anni dopo, la Prima Guerra Mondiale in ciò che non si dice, in un libro di Kocci, Tanzarella e Gigante.
La ragione l’aveva Lisistrata: nel 411 Aristofane raffigurò la strategia dell’antimilitarismo femminile. Posto che la guerra è un’idiozia, “per fare una bella veste per la città”, bisogna eliminare la corruzione politica, mentre, per prevenire i conflitti esterni, si deve usare la diplomazia andando avanti e indietro come fanno le spole quando le donne tessono.
Cent’anni fa, duemila e quasi quattrocento anni dopo, incominciava la “prima” guerra mondiale, che produsse non solo sconquassi, ma milioni di morti, soprattutto civili, cosa che non si era mai verificata in passato. Se ci si ferma all’esercito italiano, furono chiamati alle armi sei milioni di soldati dietro una propaganda patriottica che ancora dovrebbe emozionare gli studenti e che snatura il concetto di società civile quando portiamo i bambini nelle caserme il 4 novembre, il giorno detto “della Vittoria”. Quale vittoria?
Bisognerà fare i conti con le favole che gli adulti amano raccontarsi per rendersi conto che. mentre ci si entusiasmava per Trento e Trieste italiane, le cose stavano in ben altro modo. Pazienza per gli scalmanati che avevano voluto la guerra (“una passeggiata!”), ma è grave non sapere che né Giolitti né il Parlamento avrebbero mai deliberato facilmente la dichiarazione di guerra e che quello che si conseguì con le armi era possibile ottenerlo con il negoziato.
Se non c’è appropriazione critica della memoria, sfuggono i nessi che collegano strettamente la Prima Guerra Mondiale con la Seconda, compreso il “ventennio” che, in modo diverso ma sostanzialmente analogo, subì il fascismo in Italia e il nazismo in Germania. Non si collegano mai le crisi economiche alle guerre; quindi il trionfalismo della vittoria impedisce di comprendere che il patriottismo nazionalista generò quel populismo che nasce dall’impoverimento (la disoccupazione nel 1918 fu feroce), sulla paura (nel 1917 in Russia c’era stata la rivoluzione di cui si temeva il contagio), sul leader – che proveniva dalla corrente massimalista del partito socialista – di quel movimentismo che era stato prima interventista, poi pronto a rovesciare le istituzioni marciando contro il governo incapace di fare giustizia.
Non è andando alle cerimonie o ascoltando Mattarella – che sembra si sia autocensurato sulla necessità di ristabilire la verità intera – ma andando ai documenti rimossi dagli stessi storici del passato che si “capisce” a che punto siamo della storia. Ottimo strumento, a questo scopo, il libro di Gigante, Kocci e Tanzarella che si rivolgono a lettori e lettrici chiedendo loro: “Lo sapevate che mentre i cappellani militari italiani – a cui venne proibito di utilizzare la parola “pace” – benedicevano le armi che servivano a uccidere o intonavano Te Deum di ringraziamento per le stragi perpetrate nei confronti dei nemici, plotoni di prostitute venivano inviate dagli Stati maggiori al fronte per tenere alto il morale della truppa? Che, nonostante la martellante propaganda e l’esaltazione dell’eroismo dei soldati, suicidi, automutilazioni, disturbi mentali di ogni tipo e alcolismo erano tra i fenomeni più diffusi tra i militari in trincea? Che le mazze ferrate erano tra gli strumenti in dotazione agli eserciti per finire come bestie al macello i soldati agonizzanti, specie dopo aver usato contro di loro i gas asfissianti? Che i fanti che esitavano a lanciarsi all’assalto del nemico venivano trucidati dai carabinieri appostati alle loro spalle? Che per essere fucilati bastava anche solo tornare in ritardo dopo una licenza, oppure venire sorpresi a riferire o scrivere una frase ingiuriosa contro un superiore? E che ai prigionieri di guerra italiani, considerati vili, imboscati e disertori, il nostro governo, unico tra i Paesi belligeranti, non inviò alcun aiuto che ne alleviasse le terribili condizioni di detenzione?”.
Ecco, questa è storia cancellata, che bisogna imparare per mantenere i piedi per terra. All’origine c’è, sempre, infatti, la follia della guerra. Peccato che non si cerchi per tempo, anche “dal basso” di prevenirla.