Colombia: difficile scenario per superare il conflitto armato ma papa Francesco apre alla speranza

A integrazione del dossier di Mosaico di pace di settembre 2015 (“Il grido dei movimenti popolari” a cura di Tonio Dell’Olio) pubbliciamo un’ulteriore riflessione sull’incontro del Papa con i movimenti popolari avvenuto lo scorso luglio a Biogotà.
Cristiano Morsolin

Un carnevale di colori è sfilato per il centro storico di Bogotà domenica 9 agosto 2015, con 180 artisti e carri allegorici che hanno mostrato il volto pluriculturale della capitale colombiana in occasione del suo 477 compleanno di nascita. Il carro allegorico di Bosa ha scelto il tema dell’acqua con lo slogan “l’acqua vale piu’ dell’oro”, per rivendicarlo come un diritto negato in una zona periferica del sud spesso vittima di inondazioni. Quello della zona “Puente Aranda” fa ballare con percussioni e musica rap giovanile. Il carro del festival “Negros y Blancos” proviene da Pasto (frontiera con Ecuador) dove la cultura quechua-contadina ricorda il cuore indigeno di questi popoli.

Debito storico ed esclusione dei popoli indigeni

Anche i popoli indigeni si sono radunati a Bogotà. Sono 18.000 rappresentanti di 32 popoli (su un totale di 102 gruppi etnici a livello nazionale), che hanno celebrato la Giornata Mondiale dei Popoli indigeni, con i colori e le tradizioni dei popoli Mhuysqa, Ambika Pijao, Kichwa, Inga Katio, Embera, Wayuu, Arhuaco, Kankuamos, Coreguaje.

È una data triste, perché i popoli indigeni continuano a subire le conseguenze e i danni del conflitto armato che si trascina da 60 anni, sradicati dalle loro terre ancestrali, vittime del desplazamiento forzato, l’espulsione a causa della guerra.

Circa 36 popoli indigeni dell’Amazzonia colombiana desiderano apportare nuove idee al governo di Juan Manuel Santos per consolidare la tanto ambita pace che il popolo colombiano chiede da più di 50 anni.

Il documento è stato presentato durante il sesto Congresso dei Popoli Indigeni, realizzato nella città di Villavicencio (centro colombiano) il 19 maggio 2015.

“Rendere visibili le condizioni nella quale vivono gli indigeni e sviluppare un documento dei nostri contributi e delle nostre esigenze nella costruzione della pace è parte del nostro obiettivo”, ha assicurato il portavoce dell’Organización de los Pueblos Indígenas de la Amazonia Colombiana (Opiac), Henrry Cabria Medina.

La Opiac è un’organizzazione che cerca di promuovere, sviluppare e stimolare meccanismi per l’interazione dei popoli e organizzazioni originarie dell’Amazzonia Colombiana, articolando processi con lo Stato e con le ONG nazionali e internazionali (www.telesurtv.net/news/Indigenas-aportaran-ideas-para-la-paz-de-Colombia-20150506-0043.html)

Il rappresentante in Colombia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti Umani, Todd Howland ha ricordato che “la costruzione della pace deve avvenire con la partecipazione dei popoli indigeni, attraverso il rispetto e il riconoscimento delle sue culture, tradizioni e conoscenze. Sia lo Stato che la società colombiana devono proteggere e garantire i loro diritti, diffondendo l’orgoglio delle culture ancestrali”. Todd ha aggiunto che “la stereopatizzazione-stigmatizzazione e i tentativi di colpire i popoli indigeni sono frequenti e quindi bisogna rispettare le autorità indigene come riconosciuto dalla Costituzione del 1991 e sanare questo debito storico”.

Diseguaglienze e conflitto

La grave crisi umanitaria che attanaglia Colombia, dove si stima una preoccupante cifra di 7 milioni di vittime su una popolazione generale di 42 milioni di abitanti, colpisce vasti settori, l’infanzia e adolescenza e anche gli afrodiscendenti della costa pacifica.

Sara Oviedo, vice-presidente del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, ha usato parole importanti, espresse nella sua recente visita in Colombia di fine aprile (www.unimondo.org/Notizie/Colombia-le-diseguaglianze-colpiscono-i-bambini-150766), che si trova ad affrontare il fenomeno dei bambini soldato. “Dobbiamo sradicare tutte le forme di violenza contro l’infanzia, lo sfruttamento sessuale, la violenza domestica, il reclutamento forzato da parte dei gruppi armati illegali, perché sono la causa della morte di tre bambini ogni giorno in Colombia. Esiste una pessima distribuzione della ricchezza che divide la maggioranza dei lavoratori dai padroni dei mezzi di produzione. In questo modo si rendono vulnerabili anche i diritti dei bambini e adolescenti a causa di una cultura purtroppo diffusa in Colombia che accetta la divisione tra ricchi e poveri e il mondo politico mantiene questo sistema di esclusione”. La Colombia rappresenta uno dei primi paesi al mondo per disuguaglianza sociale e a pagarne maggiormente le spese sono proprio i bambini.

“La regione colombiana del Pacifico continua ad attraversare un conflitto sociale profondo” scrivono preoccupati i vescovi di Istmina-Tadó, Quibdó, Guapi, Tumaco, Buenaventura, Apartado e Cali in un loro messaggio intitolato “La pace è possibile, urgente, necessaria” (www.fides.org/it/news/58086-AMERICA_COLOMBIA_Una_societa_civile_emarginata_e_impoverita_chiede_giustizia_denunciano_i_Vescovi#.VcjCR3F_Oko)

Nel testo descrivono la dura realtà di questa regione: “Le necessità di base insoddisfatte, l’alto tasso di povertà economica, la crisi dei diritti umani”; “la mancanza di accesso alla salute, all’istruzione, a un alloggio degno, ai servizi igienici di base, al lavoro e agli incentivi per lo sviluppo dei contadini e dei settori popolari, hanno configurato una società civile emarginata e impoverita, che chiede giustizia e di essere liberata da flagelli come lo spostamento forzato, il confinamento, la persecuzione nel proprio territorio, il narcotraffico, l’estrazione mineraria illegale e l’estorsione. Questo panorama di sofferenza è aggravato dalla presenza costante di gruppi armati che fanno del Pacifico uno scenario di guerra, nel quale gli abitanti sono vittime degli scontri armati e di costanti minacce”.

Di fronte a questa situazione, i vescovi richiamano: “la volontà di pace di tutti i settori deve essere ferma, autentica e perseverante”, quindi propongono alcuni impegni precisi. Al governo nazionale raccomandano: “Il dialogo deve continuare e non si deve cedere alle pressioni che suggeriscono la via militare come unica soluzione al conflitto armato. È assolutamente importante superare il conflitto armato risolvendo il conflitto sociale”. Quindi “la società civile colombiana deve fare una decisa opzione per la pace. Nessun argomento deve giustificare la guerra come cammino normale per un popolo”.

All’inizio del mese di aprile 2015, quasi un milione di colombiani hanno marciato in appoggio ai Diálogos de Paz che mantengono il governo del presidente Juan Manuel Santos e le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo (FARC-EP) a La Habana; vedi l’articolo pubblicato nel mensile Mosaico di Pace del luglio 2015: “Da Bogotà a Milano insieme contro violenza e corruzione”.

Papa Francesco incontra i Movimenti sociali in Bolivia

Anche in Colombia sono giunti gli echi dei forti messaggi di papa Francesco che nel luglio scorso ha visitato Ecuador, Bolivia e Paraguay.

Dopo tre giorni di discussioni, le organizzazioni sociali riunite dal 7 al 9 luglio nel secondo incontro mondiale dei movimenti popolari (http://movimientospopulares.org/) a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia (il primo si era tenuto in Vaticano lo scorso ottobre) hanno elaborato il loro documento finale, la “Carta de Santa Cruz”. Hanno partecipato circa 1500 persone di organizzazioni di 40 Paesi. Papa Francesco li ha raggiunti il 9 luglio; nel suo discorso ha chiesto loro perseveranza nell’impegno di lotta per i cambiamenti strutturali necessari a garantire i diritti fondamentali (terra, casa e lavoro), affermando che sono urgenti trasformazioni profonde.

La Carta di Santa Cruz sostiene, in linea con il pensiero del Papa, il superamento a livello globale di sistema - sociale, politico, economico e culturale – incapace di garantire i diritti per tutti, “che mina la pace tra le persone e mette a rischio la stessa sopravvivenza della Madre Terra”. “Il nostro grido, il grido dei più esclusi e marginalizzati – scrivono i movimenti sociali – obbliga i potenti a comprendere che non si può continuare così. I poveri del mondo si sono sollevati contro l’esclusione sociale che soffrono quotidianamente. Non vogliamo sfruttare, né essere sfruttati. Non vogliamo escludere né essere esclusi. Vogliamo costruire un modo di vita nel quale la dignità innalzi sopra tutte le cose”.

Per questo il documento consiste in una serie di impegni, volti a “stimolare e approfondire il processo del cambiamento”. Consapevoli che le problematiche sociali e ambientali sono due facce della stessa medaglia, le organizzazioni sociali si impegnano a “vivere in armonia con la Madre Terra”, lottando per proteggerla, lavorando per leggi ambientali in tutti i Paesi sulla cura dei beni comuni e “promuovendo l’ecologia integrale di cui parla il Papa”. Il documento richiama l’attenzione sulla necessità di una “riforma agraria integrale per distribuire la terra in modo giusto e equo”, garantendo a tutti i popoli la sovranità alimentare. Si rifiuta con forza “la proprietà privata dei semi da parte dei grandi gruppi industriali”, l’inquinamento causato dai veleni agricoli e “l’introduzione di prodotti transgenici, che distruggono la biodiversità”, riaffermando invece “la difesa delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni in relazione all’agricoltura sostenibile”.

Sul fornte del lavoro, l’impegno è volto alla “progettazione e realizzazione di politiche che restituiscano a tutti i diritti eliminati dal capitalismo neoliberista, come il sistema di sicurezza sociale, le pensioni e il diritto di sindacalizzazione”. C’è poi l’invito ai governi a stabilire “forme di regolarizzazione che eliminino il lavoro schiavo, il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del bambini”, con la richiesta di sostenere gli sforzi che provengono dalle basi sociali.

Un capitoletto è dedicato alla libertà di espressione e all’accesso all’informazione. Scienza e tecnologia devono essere “a servizio dei popoli”, così come la conoscenza e le università, a cui si rimprovera di inseguire spesso l’interesse di pochi.

A partire dalla “vocazione pacifica dei nostri popoli”, i movimenti sociali si impegnano a “lottare contro qualsiasi forma di discriminazione” (con una condanna esplicita al maschilismo e alla violenza sulla donna), contro qualsiasi tipo di aggressione militare”, e a “costruire la pace e la cultura dell’incontro”, intensificando “le azioni collettive che garantiscano la pace tra tutte le persone, i popoli, le religioni, le etnie e le culture”.

“Condanniamo qualsiasi tipo di aggressione militare”, “rifiutiamo l’imperialismo e le nuove forme di colonialismo, militari, finanziarie o mediatiche”. Ancora: “Respingiamo il consumismo e la cultura dello spreco” e “sosteniamo la solidarietà come progetto di vita, personale e collettiva. Ci impegniamo a lottare contro l’individualismo, l’ambizione, l’invidia e l’avidità che si annidano nella nostra società e spesso in noi stessi”. “Continuermo a lavorare per costruire ponti tra i popoli che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento”.

In risposta a questo scenario continentale, per il Papa, la “globalizzazione della speranza” deve essere una risposta a quella “dell’esclusione e dell’indifferenza”. E così opporsi a quel “modello economico idolatrico che ha bisogno disacrificare delle vite umane sull’altare del denaro e del profitto”, ha denunciato poi sabato ad Asunciòn, davanti alla società civile paraguayana. Parole così dure non sono nuove sulle labbra di Jorge Bergoglio che fin dall’inizio del suo pontificato denuncia la “globalizzazionedell’indifferenza”. La sua esortazione Evangelii gaudium, del novembre 2013, fustigava già “l’economia che uccide”, respingendo la presunzione secondo la quale basterebbero i meccanismidel mercato a far sì che la prosperità finisca per essere di beneficio a coloro che ne sono i piùdistanti. Più recentemente, la sua enciclica Laudato si’ ha presentato un quadro sconvolgente di un’economia globale che si basa sul consumismo sfrenato di una minoranza, a scapito del resto dellapopolazione e del pianeta.Nel suo discorso di Santa Cruz va oltre, affermando che “questo sistema compromette il progetto di Gesù”. Avverte anche che “la debolezza nella difesa del pianeta è un grave peccato”. E presenta lagiusta distribuzione come “un comandamento”. Sul continente più cattolico, ma che presenta an chele maggiori disuguaglianze al mondo, questo linguaggio è destinato a sensibilizzare maggiormente i cristiani a questi problemi, a invitare le coscienze ad un esame e a toccare i cuori per farne scaturirela compassione, forza necessaria al cambiamento che desidera provocare.

E neanche formula un programma: “Non aspettatevi da questo Papa una ricetta”, ricorda. Prendendo ispirazione sia dalla dottrina sociale della Chiesa, sia dalla teologia della liberazione, chiede soprattutto che le soluzioni salgano dalla base, che gli esclusi ne siano co-protagonisti. “I poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano la solidarietà”, osservava in un primo discorso sull’argomento, il 28 ottobre scorso in Vaticano, i cui echi risuonano in quello di Santa Cruz anche in chiave politica affermando la centralita’ dei diritti “Terra, Tetto, Lavoro e integrazione dei popoli”.

Papa Francesco ha suggerito tre priorità da promuovere insieme: porre l’economia a servizio della vita di tutti gli esseri umani; proteggere la Madre Terra, perché tutti possano vivere bene; cambiare, avanzare nel processo dei cambiamenti necessari.

E ha insistito: “Voi dei movimenti sociali fate già molto a favore del cambiamento (parola ripetuta continuamente nei 55 minuti dell’intervento), e potete fare ancora di più. In verità, oso dire che il futuro dell’umanità sta nelle mani degli esclusi. Il cammino dei cambiamenti non avviene e neppure avverrà da chi pone a rischio la vita dei poveri e della terra; non avviene e non verrà dagli accordi bilaterali e più ampli comandati da governi compromessi con interessi di chi controlla la dominazione neoliberista. Il cammino dei cambiamenti viene e sta già avanzando nelle pratiche vostre e di molti altri che, come voi, vogliono e realizzano cambiamenti nella propria vita, nella propria organizzazione, nelle proprie relazioni con la natura”.

La portata rivoluzionaria dell’incontro di Santa Cruz è riassunta dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: se il compito di realizzare un processo di cambiamento in difesa della Terra e della dignità delle persone, ha dichiarato il cardinale, “non è esclusivo dei leader religiosi, degli scienziati, dei politici o degli imprenditori”, ma interessa tutta l’umanità, il clamore e le pressioni dei poveri “sono di vitale importanza perché i potenti del mondo comprendano che così non si può andare avanti”. E il compito della Chiesa è “ascoltare questo grido e unirsi ad esso”, sostenendo i processi di organizzazione con cui i poveri resistono “all’esclusione sociale, a una scandalosa disuguaglianza e alla devastazione dell’ambiente”, cercando di risolvere da sé “i problemi di accesso alla Casa, alla Terra e al Lavoro a cui né gli Stati né il Mercato danno risposta”.

Allo stesso modo, ha proseguito Turkson, la Chiesa è chiamata a riconoscere e promuovere le forme, proprie dei poveri, dei contadini e dei popoli indigeni, e alternative a quelle egemoniche, di “fare politica (organizzazione comunitaria), di sviluppare l’economia (economia popolare) e di custodire la natura (ecologia popolare)”, lottando contro il saccheggio delle risorse naturali: i movimenti, ha sottolineato Turkson, “non vogliono che si privatizzi l’acqua, né il sottosuolo, né il mare. Non vogliono che le transnazionali abusino della terra praticando, per esempio, un’attività mineraria inquinante o l’estrazione di idrocarburi con la tecnica della fratturazione idraulica (fracking), né che si usino i transgenici per sfruttare i contadini o concentrare la terra in poche mani, né che si distrugga la pesca artigianale attraverso una devastante industria ittica”. E la Chiesa deve accompagnare le loro preoccupazioni e le loro lotte “per i doni della creazione”. Così, è nel quadro di tale accompagnamento che, secondo Turkson, si è inscritto questo II incontro mondiale dei movimenti popolari, al fine di perpetuare “nel tempo la comunicazione, la cooperazione e il coordinamento tra gli stessi movimenti di base e tra questi e la Chiesa a tutti i suoi livelli”.

Il sindaco di Bogotà Gustavo Petro – invitato recentemente in Vaticano insieme al Presidente della Repubblica plurinazionale della Bolivia Evo Morales – è d’accordo nell’affermare che “con il Papa abbiamo enormi coincidenze sulle politiche economiche e sociali, coincidenze su come realizzare il Buen Vivir. Non avevamo mai sentito prima che un papa potesse condividere un messaggio di pace e giustizia sociale. Il nome di Francesco rende onore, orgoglio ai popoli e alla chiesa perché mette in risalto la figura di San Francesco di Assisi, un santo dei poveri”.

Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, commenta: “è stato il discorso più duro, con una dimensione politica. Non è facile incontrare i movimenti popolari, tra loro c’è una grande diversità: ci sono quelli che si auto-organizzano in spazi alternativi per rispondere ai loro bisogni, come la costruzione di case, l’organizzazione dei quartieri marginali, i riciclatori di materiali. Ma molti sono politicizzati e ancora ideologici, tesi a una lotta per il potere. In quell’incontro il Papa ha tentato di fare una rilettura coraggiosa del pensiero sociale della Chiesa, alla luce dell’esperienza delle organizzazioni popolari. Ha citato le tante situazioni di violenza dei contadini senza terra, delle famiglie senza tetto, dei giovani senza lavoro, dei bambini di strada, delle donne violentate, con lo sguardo commosso di un pastore, ma che sa riconoscere come tutto ciò sia legato a un sistema economico che uccide, provoca esclusione sociale e distrugge l’ambiente”.

Conclusione

Ho personalmente documentato il viaggio di papa Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay scrivendo vari reportage per la stampa latino-americana che sono stati tradotti al brasileiro per l’agenzia ADITAL (Brasile) e raccolti nell’e-book: Morsolin Cristiano. O futuro da humanidade está nas mãos dos povos. Propostas depois da viagem do Papa Francisco no Equador, Bolívia, Paraguai”. Editor Adital, Julho 2015 con la prefazione del vescovo Egidio Bisol (Afogados da Ingazeira-PE-BR). http://site.adital.com.br/site/noticia.php?lang=PT&cod=85891

Le parole di Papa Francesco confermano anche il lavoro che stiamo svolgendo qui nelle periferie degradate di Bogotà quando denuncia “Nessuna famiglia senza casa. Nessun contadino senza terra! Nessun lavoratore senza diritti! Nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro”.

Ho appena pubblicato il libro “En la periferia de la Copa del Mundo. Propuestas para enfrentar el apartheid de la segregación urbana y defender el derecho a la ciudad en Latinoamérica” (edizioni Antropos, Bogota – marzo 2015, www.unimondo.org/Notizie/Buen-vivir-e-periferie-nella-Regione-Andina-150089). 

Se l’informalità ha avuto nel tempo una sua declinazione prevalente negli aspetti fisici, è emersa da varie esperienze raccolte nel libro, un’accezione più antropologica e culturale. Questa è riferita soprattutto alle dinamiche e agli spazi di dialogo tra istituzioni e attori che non hanno un riconoscimento formale, ma che divengono accreditati per la loro capacità di interagire a nome delle comunità di cui rappresentano diritti e forme organizzative, che trasgrediscono i tradizionali sistemi istituzionali.

Il riconoscimento di questi attori diviene decisivo per comprendere i bisogni e per impostare le nuove politiche urbane nei quartieri marginali e informali, ribaltando i procedimenti tradizionali a favore di un pieno riconoscimento dei protagonisti dell’urbanizzazione irregolare, attribuendo loro un ruolo fondamentale nella costruzione delle strategie d’intervento.

Speriamo che la prossima visita di papa Francesco in Colombia possa contribuire alla ricerca di pace e riconciliazione.

Il Papa ha inviato recentemente un messaggio all’episcopato colombiano dove invita tutto il popolo a essere “collaboratore nell’opera di pace”. E invita a “rischiare di sostenere il processo di pace partendo dalle vittime” del conflitto che prosegue da decenni, perché si “riconosca il loro dolore e si ripari il danno che hanno sofferto”. “Si deve costruire la pace – scrive – a partire da coloro che vivono ai margini”. Chiede alla Chiesa colombiana di proseguire nel proprio impegno per i “desplazados”, coloro che sono sopravvissuti alle mine antiuomo, per coloro che hanno subito dei sequestri o sono stati vittime di ingiustizie, esortandola a essere un “ospedale da campo”. Papa Francesco ricorda infine che la famiglia è “seme e scuola di pace” e che “edificare una pace stabile e duratura significa lavorare per relazioni sane nelle famiglie, oggi spesso ferite da preoccupanti situazioni di violenza”.

Note

L’AUTORE: Cristiano Morsolin è esperto di diritti umani in America Latina e autore di vari libri. Analizza il legame tra diritti umani, movimenti sociali, politiche emancipatorie.
INFO: https://diversidadenmovimiento.wordpress.com/

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    L’AUTORE: Cristiano Morsolin è esperto di diritti umani in America Latina e autore di vari libri. Analizza il legame tra diritti umani, movimenti sociali, politiche emancipatorie.
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