Profughi, migrazioni e mobilità

Adel Jabbar

Era proprio necessario arrivare all'ennesima immagine di morte affinché alcuni politici europei cominciassero a parlare in modo razionale e ragionevole per cercare di individuare soluzione pratiche alla questione drammatica delle sempre più massive migrazioni di uomini, donne e bambini? Da anni si assistite quotidianamente a situazioni umanamente inaccettabili, di persone la cui unica colpa è quella di voler fuggire da una probabile morte e distruzione o per un sacrosanto bisogno di miglioramento delle proprie condizioni di vita.

Molte di queste persone devono pagare  somme significative ai trafficanti per intraprendere viaggi particolarmente rischiosi e umilianti. I costi di questi viaggi sono ingenti sul piano psicologico, fisico, materiale per i protagonisti stessi ma anche per gli stati che alla fine devono predisporre degli interventi di salvataggio e di assistenza, come accade nel mare mediterraneo, che pesano non poco sul bilancio degli stati stessi.

Se effettivamente si vogliono governare le migrazioni nel mondo globalizzato di oggi è fondamentale tenere presente che le persone si muovono all'interno dello stesso "sistema mondo", attraversato da flussi finanziari, impostazioni economiche e modelli culturali che producono continuamente connessioni, le quali rendono i diversi contesti territoriali sempre più permeabili. Queste connessioni creano un'apparente integrazione, in realtà caratterizza da forte asimmetria tra il centro del sistema, nel quale si prendono le decisioni che condizionano la vita dell'intera popolazione mondiale, e una vastissima periferia, che ha scarso o nessun potere contrattuale. In questo quadro la questione essenzialmente è quella di come governare la legittima richiesta di mobilità che viene dagli abitanti dei luoghi periferici.

A tale proposito sarebbe utile rendere più praticabili queste due modalità, già testate in diversi periodi e in diversi luoghi, ovvero:

1) L'allestimento di campi di raccolta dei profughi e sfollati di guerra da trasferire successivamente in paesi sicuri in base a delle quote. Questo anzitutto per evitare le tragedie alle quali assistiamo ormai quotidianamente. Per  esempio non  si comprende la ragione per cui i profughi siriani che fugono dalla Siria e passano per la Turchia debbano affrontare estenuanti e drammatiche attraversate per raggiungere la Germania o la Svezia, anziché consentire loro un viaggio meno angosciante che eviti a queste persone di finire nelle reti dell'illegalità.

2) Il rilascio di visti per coloro che intendono venire in Europa per lavoro e che dimostrano di avere i mezzi di sostentamento per un periodo iniziale ragionevole. Del resto  sappiamo che molte di queste persone pagano somme rilevanti a trafficanti di esseri umani per attraversare deserti, mari e monti. Visto che in un modo o nell'altro riescono ad arrivare in Europa, perché non regolamentare questo ingresso alla fonte? Ciò permetterebbe di ridurre drasticamente le vittime, togliere opportunità di sfruttamento ai trafficanti di essere umani e tagliare notevolmente i costi degli interventi di salvataggio nel Mediterraneo. Per non parlare del fatto che in questo modo le persone che entrano risulterebbero comunque note alle autorità del paese.

La questione migratoria, nonostante le immense difficoltà, richiede un cambio di passo e un cambio di approccio in grado di percorrere un'altra via che superi sia la perdurante emergenza umanitaria sia la politica dei muri e dei fili spinati. Entrambe, come dimostrano i fatti di ogni giorno, non sono né sufficienti né efficaci per governare i flussi prodotti da quello che viene definito come processo di de-territorializzazione, ovvero lo spostamento delle persone. È necessario riflettere serenamente e seriamente su come elaborare un progetto che riconosca il bisogno di mobilità tra la periferia e il centro del mondo.

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