Memoria per una città accogliente

Adel Jabbar

Nello scorrere del tempo l'intreccio di saperi, di conoscenze e di esperienze ha spesso costituito lo sfondo alla nascita delle città.

Le città rappresentano la prova delle tante storie che le hanno plasmate, lasciando tracce nello stile   urbanistico, nell’arredo urbano, nel patrimonio artistico, nella   gastronomia, nell’uso dei tessuti, nelle lingue e nelle credenze.

Tramite la conoscenza sedimentata  nello spazio urbano è possibile  indagare il passaggio e i lasciti del tempo. Le città sono come dei cantastorie narranti le vicende delle genti che le hanno abitate, attraverso i segni visibili di innumerevoli cimeli e di vaste eredità. Segni che compongono quella che viene chiamata memoria, anche se spesso tale memoria viene presentata e letta   secondo interpretazioni parziali, in cui prevalgono   visioni ideologiche a edificare un ben precisa coscienza collettiva, più funzionale alla congettura del presente  che alla vera conoscenza della complessità della storia.

I tempi attuali sono   caratterizzati dall’intensificarsi di intrecci e di scambi tra contesti territoriali e modelli culturali diversificati; le  conseguenze da un lato del  processo di de- territorializzazione,   ossia   i   processi   migratori,   e   dell’altro   del   processo   di   de- localizzazione, vale a dire  la  circolazione  dei beni e  delle  merci, implicano  dei   forti cambiamenti.

Tali mutamenti richiedono una particolare consapevolezza della “posta in gioco”   e la necessità di strumenti validi a comprendere e governare la portata delle trasformazioni nello spazio urbano e le sfide  che devono essere affrontate.

A tal fine diventa fondamentale una rilettur dei luoghi della città  al fine di conoscerne la complessità storica e la varietà a  socio-culturale spesso nascosta.

In un  fase di rilettura delle strutture e della storia di una città, si impone una metodologia interculturale al fine di riportare alla luce ciò che è stato richiuso nel dimenticatoio. E' necessario guardare ai luoghi con una visione attenta ai dettagli seminati nei più disparati elementi che compongo il puzzel: un puzzel che per essere ricomposto abbisogna   di osservatori abili, acuti e vigili per dare forma e interezza all’insieme dei frammenti.

Oggi la memoria deve essere capace di fare i conti con l’oblio che ha determinato il costruirsi di visioni restrittive e percezioni limitanti della propria realtà  a scapito della molteplicità delle sedimentazioni e della complessità dei fatti. Soprattutto in un periodo come quello che stiamo attraversando in cui imperversa, in vari contesti, una epidemia culturalista tendente ad esaltare lineamenti identitari integri e univoci, spesso scadenti in mere dicerie e leggende metropolitane.

La parole chiave di cui si sente la necessità è “esplorare”: camminare con le proprie gambe, guardare curiosi  con i propri occhi e riflettere con la propria testa per capire che quello che viene definito come “mio” ha   spesso   radici e legami altrove; entrare dal fruttivendolo e pensare alla provenienza di frutti come il mango, l’ananas, la banana, la papaya; aprire  la dispensa di casa e prendere in mano il cioccolato, la noce moscata, lo zenzero e altre spezie; parlare e scoprire l'origine straniera di molti sostantivi e beni di uso quotidiano, il coltan che si usa in elettronica, il petrolio, il gas per il riscaldamento. Questi sono solo alcuni minuti esempi di quotidianità.

Le città sono spazi complessi, contradditori,  includono e nello stesso tempo  escludono. La città è sempre extracomunitaria perché non si lascia possedere da una sola e specifica comunità, spesso più immaginata che reale. La città sa fare da sola e concretamente  una autentica interculturalità.

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