La scuola ripudia la guerra?
A partire dall’anno scolastico 2012-2013, Pax Christi sta proponendo la Campagna “Scuole smilitarizzate”, accompagnata dallo slogan: La scuola ripudia la guerra! A tre anni dal lancio, questa iniziativa appare quanto mai attuale e urgente, poiché l’alleanza Scuola-Forze Armate non solo non è cessata, ma pare addirittura in crescita.
Come è noto, la scuola è, dopo la famiglia, la principale agenzia educativa destinata a far maturare nei fanciulli e negli adolescenti un’attitudine civica, cioè una disponibilità e competenza ad essere parte viva del corpo sociale, a pensarsi e agire da protagonisti nella costruzione di una comunità democratica e sinceramente amante della pace. Questo compito può essere assolto in maniera soddisfacente dall’istituzione scolastica solo a condizione di offrire agli alunni un’esperienza educativa priva di contraddizioni con quegli obiettivi: mezzi e fini, come ricordava insistentemente Gandhi, devono sempre essere coerenti, poiché ogni albero produce esclusivamente i frutti che gli sono propri.
La scuola italiana, invece, promuove con un accordo Esercito Italiano - MIUR (il ministero dell’Istruzione) “conferenze informative rivolte agli studenti degli Istituti scolastici di primo e secondo grado (...) tenute da personale militare debitamente specializzato/formato per informare gli studenti circa le opportunità professionali e gli sbocchi di carriera, con particolare riferimento ai concorsi per l’accesso alle varie categorie (Ufficiali, Sottufficiali, Graduati). Vengono inoltre organizzate visite da parte di scolaresche presso gli Enti della Forza Armata finalizzate a far conoscere direttamente la vita di tutti i giorni dei reparti dell’Esercito” (cfr. sito internet dell’Esercito:www.esercito.difesa.it/comunicazione/attivita_promozionali/Conferenze-nelle-scuole-e-visite). Ecco l’alleanza.
È evidente come questa attività promozionale nelle scuole venga presentata nella sua veste di opportunità lavorativa: nessun’altra motivazione può essere più convincente per i giovani che già iniziano a temere per il loro futuro di disoccupati. Ma dove tale sollecitazione appare più appetibile se non là dove il rischio di restare senza lavoro è uno spettro che aleggia tra i giovani? Dove, cioè, gli alunni risultano più esposti alle ammalianti sirene con le stellette? Relativamente ai VFP1 (Volontari in Ferma Prefissata per un anno: il primo livello di accesso alle FFAA su base volontaria) sappiamo che: “Quanto alle regioni di provenienza (...) la Campania, la Puglia e la Sicilia la fanno da padrone, con circa il 70 per cento dei candidati. (...) dal sud e dalle isole arriva il 77,5 per cento delle domande, dal centro il 12,6 per cento e dal nord il 9,9 per cento. Con riferimento agli ammessi (...) l’80 per cento proviene dal sud e dalle isole, il 12,6 per cento dal centro e il 7,4 per cento dal nord”(Audizione del Direttore generale per il personale militare-PERSOMIL, Francesco Tarricone, Commissione IV Difesa, Camera dei Deputati, 3 ottobre 2012).
Presentare l’attività militare come opportunità lavorativa, dal punto di vista pedagogico è di particolare gravità, poiché pone sullo stesso piano l’apprendimento della guerra e qualunque altro addestramento professionale. Insomma, il messaggio che viene veicolato tra gli studenti è: tra i tanti lavori che potresti fare, l’elettricista, la sarta, il medico, l’autista, l’architetto, sappi che c’è anche il soldato. Un lavoro come gli altri. Questa normalizzazione dell’attività militare è uno degli elementi fondamentali che integra una “pedagogia della guerra” di cui la scuola si sta facendo – più o meno consapevolmente – promotrice. L’apertura a questo modello da parte dell’agenzia educativa scuola, una sorta di pre-addestramento all’attività bellica in chiave motivante e giustificante, è di notevole importanza per la continuità del sistema militare e, al contempo, rappresenta un’abdicazione della funzione originaria di quello scolastico. Infatti, come ho già avuto modo di segnalare, le scuole così facendo “si trasformano in strutture che educano al consenso verso un’istituzione in cui la violenza non è accessoria ma sostanziale (L’elemento della violenza fonda storicamente l’esistenza delle Forze Armate – che nascono per fare la guerra – e di esse caratterizza, dunque, l’attività specifica, NdA). Sintonizzando le personalità degli alunni con tale struttura di potere, in cui le relazioni fortemente gerarchizzate non lasciano che un minimo spazio alla coscienza e all’iniziativa individuale, la scuola rinuncia ad essere un laboratorio di sviluppo del senso critico e di ricerca di alternative senza violenza”(A. Lombardi, Satyagraha, Manuale di addestramento alla difesa popolare nonviolenta, Edizioni Dissensi, Viareggio 2014, p. 9).
A questa azione formativa diretta si aggiunge, poi, anche una pregnante funzione simbolica che concorre, anch’essa, a definire il quadro di un modello educativo aperto alle suggestioni belliciste. In tal senso, ad esempio, può essere letta l’iniziativa del 4 novembre 2015 – notoriamente Giornata delle FFAA e dell’Unità Nazionale – allorché una rappresentanza di militari è stata inviata in alcune scuole di 27 città, individuate in accordo con il ministero dell’Istruzione, per una cerimonia di consegna della bandiera italiana. È evidente il forte simbolismo del gesto: i militari sono “i proprietari” della bandiera nazionale, in quanto i migliori rappresentanti e difensori di essa, e sono essi ad avere il diritto di consegnarla ufficialmente all’istituzione in cui i giovani cittadini si preparano ad essere parte viva della società: e magari anche delle FFAA!
Del resto, il richiamo alla Costituzione rappresenta un tema di primo piano negli incontri studenti-soldati.
Ecco quanto scrive il sito ufficiale dell’Esercito a proposito di un intervento di militari nell’Istituto tecnico “Franco Andrea Bonelli” di Cuneo il 9 novembre 2015: “nel briefing proposto agli studenti, sono stati richiamati i concetti fondamentali della Costituzione, i suoi Principi fondamentali e il percorso, punteggiato dalle date più significative della storia dell’Unità nazionale, attraverso il quale si è giunti, dal 1861, alla situazione attuale (www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/L’Esercito-torna-a-scuola-151109.aspx).
Al di là della consueta fuorviante retorica sull’unità nazionale, viene da chiedersi quali saranno state, nella prospettiva di chi pratica il mestiere delle armi, le date più significative dal 1861 ad oggi offerte all’attenzione delle ragazze e dei ragazzi: forse tutte le numerose guerre a cui l’Italia ha partecipato? Va inoltre opportunamente ricordato, che nella stessa circostanza è stato anche proiettato un video sugli interventi “civili” dei militari: ad esempio nell’operazione “Strade sicure” del 2008 e nel recentissimo Expo 2015 di Milano.
Ecco il messaggio dell’educazione alla guerra, intrapresa dai militari e proposta nella scuola: se vieni con noi avrai un lavoro sicuro, sarai il simbolo del Paese, concorrerai alla ricchezza nazionale grazie alle industrie belliche e svolgerai un’attività di utilità sociale; impara questo e fai la tua scelta!
A completamento di questo assedio alla scuola – un assedio, tuttavia, che l’istituzione scolastica sembra gradire – si collocano poi le visite agli impianti, alle basi e ai mezzi militari che, con una leggerezza sconcertante, gli istituti scolastici propongono agli alunni; anche a quelli delle scuole elementari e perfino della materna. Come se si andasse in gita a visitare un museo o un sito archeologico o un’area di rilievo naturalistico: una visita come le altre. Tutto normale, appunto: pedagogia della guerra.
A tutto ciò, però, le varie componenti scolastiche, in primis gli insegnanti, si possono opporre, proponendo che la loro scuola ripudi concretamente la guerra e non si presti ad essere l’ufficio di collocamento delle caserme. La Campagna “Scuole smilitarizzate” di Pax Christi si colloca anzitutto in quello spazio di dissenso che c’è e sta cercando strade per esprimersi visibilmente.
Si è già manifestato sia tra i docenti che tra i genitori e gli studenti un certo malcontento e obiezione agli effetti dell’alleanza scuola-FFAA. Alcuni genitori hanno scritto lettere di protesta o hanno impedito ai loro figli di partecipare alle visite “belliche” e ci sono stati insegnanti che hanno richiesto al dirigente scolastico l’organizzazione quanto meno di un evento di bilanciamento.
Gli obiettivi della Campagna si focalizzano sia sulla possibilità per docenti e famiglie di riscoprire la scuola come luogo di educazione alla pace e non alla guerra, sia sull’opportunità per gli studenti di formare la loro coscienza a una cittadinanza attiva che rifiuti la violenza e superi, nel concetto di difesa, l’obsoleta esclusività dell’attività militare, imparando che esistono alternative nonviolente nell’approccio ai conflitti e spogliando i soldati dell’immeritata etichetta di operatori di pace.
Come si può partecipare alla Campagna?
Le possibilità di adesione sono molteplici e si collocano a vari livelli di sensibilità, disponibilità e fattibilità nelle singole scuole.
Ecco alcuni esempi:
• prevedere l’inserimento delle tematiche relative alla trasformazione nonviolenta dei conflitti nel POF della scuola;
• rifiutarsi di esporre manifesti pubblicitari delle FFAA;
• non accettare progetti in partenariato con strutture militari o aziende coinvolte nel commercio delle armi;
• organizzare, qualche giorno dopo l’incontro degli studenti con i militari, un altro evento sulla nonviolenza e la difesa non armata;
• pretendere che la voce dei militari invitati a scuola non sia univoca, ma che vi sia la compresenza di esperti di pace e nonviolenza che possano interloquire in contradditorio;
• rifiutarsi di partecipare agli incontri a scuola con le FFAA;
• non mandare i propri figli alle visite alle basi militari;
• dichiarare l’istituto, con atto ufficiale, “Scuola smilitarizzata”, sottoscrivendo il “Manifesto della scuola smilitarizzata” e affiggendo all’ingresso dell’istituto il logo della Campagna.
L’alleanza scuola-famiglia nel segno della pace vera, quella senza armi, può rappresentare il cuore di un valido movimento di resistenza al dilagare dell’ideologia di guerra e consentire la ridefinizione concreta della scuola come presidio della nonviolenza in mezzo ai giovani, esposti alle sollecitazioni interessate e senza scrupoli di molti adulti.