Costruire la pace attraverso l’educazione della scuola alla città

LA PACE SI STUDIA, LA PACE S’IMPARA
SE VUOI LA PACE, EDUCA ALLA PACE
Raffaello Saffioti (Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo Centro Gandhi)

Comunicazione di un’esperienza educativa al convegno nazionale sul tema “La guerra è follia” (Monteleone di Puglia, 6 dicembre 2015)

 

 “Le città devono trasformarsi in laboratori di cultura di pace.

Esse devono sorpassare la corazza delle sovranità statali,

che ancora sono segnate dall’arcaico antagonismo tra città e stato,

per restaurare la solidarietà in una dimensione planetaria.

Le città sono chiamate a questa grande, pacifica rivoluzione.

ERNESTO BALDUCCI 

 

  1. 1.      Dalla cultura della guerra alla cultura della pace

La lezione di grandi Maestri: per una scienza della pace. 

1.1.            MARIA MONTESSORI (1870-1952): EDUCAZIONE E PACE  

“La pace deve diventare una scienza, così come c’è stata e c’è una scienza della guerra.

Tale scienza della pace è la scienza dell’educazione. Educazione, dunque, uguale a Pace”.

“L’atto educativo è per sua profonda natura un atto pacifico e solo nella pace può esprimere i più alti frutti di intelligenza, socialità, amore. L’educazione è l’arma della pace e la pace è la condizione della buona educazione”.

“Educare è aiutare la vita ad incamminarsi nelle ampie e sempre nuove strade dell’esperienza con spirito di gioia, di fratellanza, di desiderio di bene, di responsabilità. Là dove, invece, o nella famiglia o nella scuola o nella società, il bambino sia messo in una condizione di conflitto, di competizione o sottoposto alla volontà di un adulto dominatore, o impoverito nei suoi immensi poteri, o, infine, impedito di esprimersi nella sua natura e nei suoi desideri, egli sarà costretto alla crudele necessità di nascondersi, di snaturare le proprie sensibilità, di difendersi in un impersonale adattamento. Questa condizione è per il bambino uno stato di guerra, di sacrificio e di sconfitta, perché il suo istinto non è quello della lotta e dell’opposizione, ma della pace e di una libera e consapevole obbedienza”.

1.2.            MARTIN LUTHER KING (1929-1968)

“Noi dobbiamo usare la nostra mente per pianificare la pace in modo altrettanto rigoroso di quanto abbiamo fatto finora per pianificare la guerra”.

 

2. La scuola per la pace

ERNESTO BALDUCCI (1922-1992)

“Se ne accorga o meno, la scuola è ancora un organo di diffusione della cultura padronale che è, per forza di cose, cultura di guerra […]. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che preparano e prefigurano la cultura della pace.

Uno dei modi con cui la scuola può inserirsi, con efficacia decisiva, in quei processi è la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed è un compito che comporta la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto in eredità.

Tutto ciò, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera dell’utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente sigillato nella dimenticanza o relegato come ingenuo o poeticamente evasivo.

È razionale solo ciò che è reale: ecco il dogma implicito o esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere.

La parola pace, nei libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre, i quali appaiono poco più che interpunzioni nel ‘continuo’ del divenire bellicoso della civiltà”.

 

3. Cosa significa educare?

DANILO DOLCI (1924-1997)

“Educare: lo scienziato appura quanto ignora di questo verbo.

Educare un mondo congruo a vivere, in cui l’umano uno senta necessario scoprire e attuare un’unità più complessa, forse significa:

imparando a guardare e osservare (dai miei occhi escono radici e cordoni ombelicali nel mondo, dalle mie orecchie, dalla pelle, da tutta la mia persona), favorire in ognuno l’iniziarsi dalla naturale curiosità allo scoprire esprimendosi, al sapere rapportare comunicando;

contribuire a svegliare, scoprire e ampliare l’ interesse profondo – il bisogno di essere tra, di essere dentro: poiché ognuno percepisce, esprime, reagisce e cresce diversamente, segnato dalla sua preistoria, esercitare la scienza-arte della levatrice rispettando i valori genetico-potenziali;

formare laboratori maieutici in cui, valorizzando anche tempi e spazi diversi, ognuno possa risultare levatrice ad ognuno: in cui la struttura ambientale condizioni in modo organicamente liberatorio dalle diverse forme di chiusura, oppressione, ignoranza, ansia, paura, attraverso la continua ricerca;

… contribuire a sviluppare metodi di apprendimento, attiva responsabilizzazione, arte di vivere (la levatrice non cela come opera ma non detta a chi impara ‘si fa così’), rispettando l’esigenza del maturarsi e la comune natura cosmopolita: considerando traguardi comuni i programmi;…”.

 

4. Quando diciamo “scuola”

Nella storia dell’educazione e della scuola Dolci, educatore rivoluzionario nonviolento, ha visto scontrarsi due fronti: “l’uno guidato dai dominatori (ove manca l’educatore autentico), l’altro promosso dai liberatori valorizza l’esperienza di ognuno. La cultura è potere quando autonoma, critica e creativa”.

“Per uno Stato non è certo un crimine, ad esempio, costruire e diffondere scuole. Ma quali scuole? Una serie di piccole galere? Criminale è spegnere nell’immane inerzia la naturale curiosità dei bambini e dei giovani, invece di potenziarla coorganizzandola; criminale è progettare di fatto lo spegnimento sistematico della creatività individuale e collettiva, alimentando così nei giovani e nei precettori la paura, e l’odio, per lo studio; criminale è insistere nel mantenere in situazioni insane miliardi di creature, malgrado le denunce rigorose ormai secolari, anche di medici. (Basti pensare a Decroly e alla Montessori)”.

“Quanti gli autentici educatori al mondo, nelle scuole e altrove? Non è vero che tutti sono venduti, ducetti soddisfatti delle loro cattedre, impotenti ad ascoltare, irrecuperabili al fronte del cambiamento democratico. E quanti giovani sono disponibili a crescere liberandosi? Decine, centinaia di milioni. Ma agli uni e agli altri in crisi, occorre incontrare occasioni per imparare a comunicare, laboratori di continuativa liberazione”.

5. Comunicazione di un’esperienza educativa dalla scuola alla città

“Dulce bellum inexpertis” (“La guerra è dolce a quelli che non l’hanno sperimentata”), scrisse ERASMO DA ROTTERDAM, l’umanista olandese vissuto a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento.

Odio la guerra perché sono vivo per miracolo, essendo un sopravvissuto ai bombardamenti alleati della Seconda Guerra Mondiale, a settembre del 1943. Posso dire di aver visto la guerra in faccia: la mia avversione alla guerra è nata sicuramente anche da quella drammatica esperienza.

La mia esperienza educativa nella scuola di Stato è documentata dalle seguenti pubblicazioni:

5.1. Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo, La montagna, la luce e il fiore. Esperienze di nonviolenza nella terra di Gioacchino da Fiore, a cura di Raffaello Saffioti, Pubblisfera Edizioni, San Giovanni in Fiore, 2015;

5.2. Se vuoi la pace educa alla pace. La scuola e la città, Stampa Pubblisfera, 2014;

5.3.Piccolo breviario della nonviolenza, 2015;

5.4.La scuola buona (e quella cattiva), 2015.  

Da segnalare, per ultimo, il recente “Se vuoi la pace, educa alla pace” in “Quaderni Satyagraha”, numero 28 (novembre 2015), Alfred Hermann Fried, La guerra è follia.

Mi vado chiedendo da tempo: quando in ogni scuola avremo una biblioteca della pace e della nonviolenza? 

6. Com’è sorto il grido “La guerra è follia!”

Il 9 agosto del 2013 in un convegno a San Giovanni in Fiore, sul tema “Il ripudio della guerra nella città di Gioacchino da Fiore”: “Un urlo: la guerra è follia. Ricordando la lezione di Hiroshima”.

Leggere:

La montagna, la luce e il fiore, p. 27:

“Nell’era atomica, inaugurata da quell’avvenimento, il genere umano ha ormai un unico destino di vita o di morte e la guerra è uscita dalla sfera della razionalità.

E’ necessario cambiare il modo di pensare, come ha insegnato Albert Einstein.

La guerra e la pace non possono essere più concepite come in passato.

‘LA GUERRA È FOLLIA’: questa la scritta che campeggiava in uno dei cartelli esposti nella Sala dell’incontro.

Bellum alienum a ratione’ ha scritto Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris, dell’11 aprile 1963.

Questa espressione è esplosa come un urlo nell’incontro del 9 agosto. Forse è da considerare il momento culminante dell’incontro stesso, caratterizzato dal clima di intensa partecipazione e di forte tensione ideale”. 

 

7. Un segno dei tempi

Viviamo un momento drammatico di escalation di quella che ormai è chiamata, “terza guerra mondiale” e si diffonde la paura per il pericolo di attentati terroristici. Come distinguere la guerra dal terrorismo?

“La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune”, ha detto GINO STRADA ricevendo al Parlamento svedese il “Right Livelihood Award”, considerato il premio per la pace alternativo al Nobel.

In questo clima, la Deliberazione del 30 ottobre 2015 del Consiglio Comunale di Monteleone di Puglia, che ha anche istituito un “Centro di educazione alla pace”, va letta e interpretata come un segno dei tempi, nello spirito dell’Enciclica giovannea Pacem in terris. È anche un segno di speranza.

È stata come una luce che si è accesa sul monte più alto della Puglia.

Monteleone di Puglia è stato il primo Comune d’Italia a rompere con la retorica della guerra dei Monumenti ai Caduti, edificati dal Fascismo.

È da considerare un esempio per tutti i Comuni italiani, quasi un messaggio.

Possiamo dire che qui ha avuto inizio una nuova storia dei Monumenti ai Caduti?

A questo Comune dobbiamo rendere omaggio. 

I Comuni, secondo l’articolo 114 della Costituzione italiana, sono i primi enti che costituiscono la Repubblica, a fronte dello Stato, posto significativamente per ultimo.

Il Comune è l’ente più vicino ai cittadini, rappresenta la comunità locale e ne coglie, più e meglio delle altre istituzioni, l’aspirazione alla pace, con il “ripudio della guerra” sancito dall’articolo 11 della Costituzione.

 

8. Tre proposte conclusive

Il Convegno è un’occasione favorevole per avanzare proposte da rivolgere al Consiglio Comunale.

 

8.1. Una prima proposta è quella di inserire nello Statuto del Comune un articolo specifico per il ripudio della guerra, la promozione della cultura della pace, della nonviolenza e dei diritti umani, sulla falsariga di quello che segue.

Il Comune, nell’esercizio delle proprie funzioni, valorizza la cultura della pace, della nonviolenza e dei diritti umani, ne persegue la realizzazione con proprie iniziative e sostiene quelle della scuola, delle associazioni, dei gruppi di volontariato e di cooperazione internazionale, in coerenza col principio di sussidiarietà”.

8.2. Una seconda proposta è quella di deliberare l’adesione al Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace.

8.3. Una terza proposta è quella di approvare un “Ordine del giorno per il riconoscimento internazionale del diritto umano alla pace”, analogo a quello già proposto dall’Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo al Consiglio Comunale di San Giovanni in Fiore (in La montagna, la luce e il fiore, cit., pp. 230-232).

Lo scopo è quello di partecipare alla “iniziativa dal basso”, denominata “diplomazia delle città” (“City diplomacy”), per fare sentire la pressione degli Enti Locali sul Governo e sul Parlamento, a sostegno delle procedure avviate dalle Nazioni Unite, nella ricorrenza del Centenario della Prima Guerra Mondiale, per arrivare ad una “Dichiarazione sul Diritto alla Pace quale diritto umano fondamentale delle persone e dei popoli”.

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